Mi trovo al “Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona” per un controllo dopo un malore a conclusione della mia 3^ mezza maratona la StraSalerno del 22 ottobre 2017.
Arrivo al P.S. e vengo subito preso in carico dal personale infermieristico in locali ben definiti che trasudano efficienza. Mi trasbordano dalla lettiga dell’ambulanza alla “barella” ampia e comodo: quasi un letto. Vengo destinato ad un “codice Verde” e un gentile infermiere mi effettua immediatamente un tracciato al torace, base essenziale per arrivare in sala visite con le “carte in regola”.
Passa poco tempo e mi sento chiamare da una gentile infermiera che mi spinge verso la sala a cui sono destinati i pazienti bisognosi “ma no troppo”. Esistono altri 3 colori, oltre al verde: bianco e verde poco grave; giallo e rosso, in pericolo di vita!
Arrivo in una sala ben organizzata dove “troneggia” una dottoressa coadiuvata da diversi infermieri professionisti. È la stessa infermiera, secondo una procedura, che si ripeterà come un mantra per tutto il mio “soggiorno” a farmi le domande di rito: come, quando, dove e perché. Apre una “finestra” nella mia vena sul braccio infilandovi un tubo dal quale vi faranno entrare ogni medicina necessaria. Allo stesso tempo, mi vien fatto il prelievo del sangue da inviare al laboratorio.
Nel frattempo la Dott.ssa Accursina B., mi ha “preso i carico” annotando il perché mi trovo in ospedale e, appena conclusasi la fase preliminare (fato che si ripete, con piccole varianti, per ogni ingresso) mi si avvicina per conoscermi da vicino e per confrontare ciò che ho riferito alla sua assistente e quello che racconto a lei. Mi comunica che in attesa dei risultati delle analisi che completeranno quelli già in suo possesso, mi inietteranno tramite la “finestra” aperta ciò che ritengono utile ad idratarmi.
A questo punto inizia l’attesa che si protrarrà fino alle 7:00 del giorno dopo. Sono adagiato sul lettino, in un ambiente predisposto per assicurare cure immediate, valutare la situazione in tempi rapidi, capire se è necessario un ricovero o effettuare un trattamento in pronto soccorso e dimettere il paziente.
La sala avrà una quindicina di posti, non sempre occupati da barelle che vi vengono impilate man mano che arrivano dopo la presa in carico. Quando è tutto pieno, i pazienti assegnati ai vari codici colorati, vengono trattenuti nei locali e guardati a vista dagli addetti all’accoglienza: “i codici bianco e verde possono avere tempi di attesa che variano in base all’affollamento”.
Pertanto è essenziale il lavoro del responsabile del reparto che è garante sia della salute dei pazienti sia della necessità di ottimizzare i tempi e gli spazi per evitare attese estenuanti.
Passo il mio tempo a leggere e scrivere sul cellulare, ma ogni qualvolta c’è un nuovo ingresso o avviene una dimissione non posso far a meno di mettermi in ascolto, visto che sono a pochi metri della plancia di comando da dove si governa questa nave che conosce pochi attimi di bonaccia.
Oggi è domenica, i medici di base sono a riposarsi, le guardie mediche hanno il loro da fare per gestire le emergenze e il pronto soccorso diventa l’ultima istanza per ogni problema di tipo medico.
È un turbine di situazioni che si sovrappongono l’una all’altra senza soluzione di continuità: la vecchietta di 93 anni ricoverata a Potenza e trasferita a Salerno dalla figlia, un signore barbuto che mentre sta per partire per Milano è colto da una colica e richiede un intervento immediato per placare il dolore e bloccare il vomito, una ragazza che arriva fortemente irritata con un “fuoco” dentro che da tempo non la fa vivere bene, più di uno cerca ristoro per un mal di testa cronico, un altro deve bloccare un aumento improvviso della pressione sanguigna, un ragazzo accompagnato dai genitori che dichiara di avere vertigini, una signora che accusa dolori addominali e vomito, un signore che ha conati di vomito e dolori allo stomaco dovuti ad un pranzo trotto ardito, una signora che necessità di una trasfusione e all’ultimo momento rinuncia confortata dal marito e dal resto delle analisi positive, una clochard (spinta al PS dal tempo inclemente di questa ottobrata di sole) che rifiuta di farsi lavare e pulire se non dopo aver fatto colazione, un giovane che dopo essere stato “intubato” si strappa il lavaggio e, imprecando contro il mondo in un dialetto incomprensibile tra bestemmie e insulti, si allontana rifiutando le cure … tante altre situazioni che sono gestite con una calma e una tolleranza mista ad attenzione che, bisogna riconoscere, non può essere rutine ma attaccamento al lavoro di medico o infermiere che, come tutti sanno, buona parte è una missione.
L’Attenzione e la fermezza abbinata alla professionalità di questo personale che ogni giorno sta la “fronte” della sofferenza umana con abnegazione e senso del dovere è un bell’esempio dell’Italia che ci spiace non riesca ad emergere dall’inettitudine di chi nello stesso ambiente posta a spasso il camice bianco di medico o la divisa verde di infermiere professionale.
Il cambio della “guardia” tra il primo turno di 12 ore filate del giorno e Il 2° di altrettante ore di notte avviene in un’atmosfera affastellata ma lineare tra le due “donne”: la prima che consegna e l’entrante, dott.ssa Gabriela P., che prende in carico.
L’entrante in poco tempo fa “spazio” per poter smaltire chi è in attesa nel “limbo” dell’area del PS di uomini e donne destinate al codice Verde. In mezz’ora dimette, trasferisce, si presenta, conosce …
Alle 21:00 arriva anche da me, intanto ho chiamato il mio cardiologo e le passo il telefono. In poche battute gli spiega la situazione è concordano che è importante seguire il protocollo che prevede ancora un prelievo per la mattina seguente.
Mi rassegno a passare la notte in questo spazio di dimensione umana immersa nella sofferenza.
I due “arcangeli” angeli che guidano la nave sballottata dal vento della sofferenza umana non dimenticano chi in guardiola è in attesa di notizie dei propri cari affidati alle loro cure. Ed ecco che chiedono i nomi di chi è in attesa, compongono il numero di chi è a casa o al lavoro, li chiamano per un ok da dare le decisioni assunte, illustrare le alternative, lasciare a loro le decisioni finali … insomma non sono indifferenti alle apprensioni di chi ama e si preoccupa dei congiunti che soffrono.
Gli occhi contano le gocce che, una ad una, scendono dalla sacca posta in cima alla piantana, le luci le esaltano fino a deformarle per confondere chi le osserva calare dentro di sé.
Arriva un po’ di calma, entrano gli addetti alle pulizie, mi organizzo per dormire usando la coperta per cuscino e la giacca della tuta per coprirmi gli occhi a difesa della luce.
Nel dormiveglia continuo a seguire il “film” delle emergenze, mi arrivano lamenti dovuti sofferenze che non disturbano … aspetto con relativa tranquillità il “giorno” e il terzo, e spero ultimo, prelievo.
Alle 6:30 subentra un nuovo staff di infermieri e prontamente il tutto viene inviato in laboratorio che nel giro di un’ora comunica il rientro dei valori nella normalità. Vengo dimesso con la consegna di bere molto nei prossimi giorni e ripetere le analisi a distanza di 72 ore.
Saluto la Dott.ssa Gabriela, sorvolo con lo sguardo ciò che resta sulle barelle, inforco la porta d’uscita, il vento freddo del mattino mi sferza il viso … abbandono la nave che non fa mai scalo in un porto tuffandomi nella quotidiana “insofferenza” verso tutto ciò che ci fa “perdere” del tempo.