All’esimio professore Gaetano Ricco, figlio di Albanella e di storia grande appassionato, la“Fanciulla Offerente” della antica tomba (V sec. a.C.) di Albanella … il suo saluto!
La Promessa del … ritorno!
Caro professore,
Cantava, prigioniero nell’isola di Calipso, additando la sua patria lontana, Ulisse: “Nulla c’è di più dolce che la terra natale e l’affetto dei suoi cari,nemmeno per l’uomo che abita in una casa opulenta ma lontano,in terra straniera,diviso dai suoi famigliari!” invocando il suo ritorno, così io da quando strappata alla mia amata terra di Albanella, dopo la mia ultima grande esposizione alla mostra nazionale “I Greci in Occidente”, fui sepolta in questo buio deposito del Museo Archeologico di Napoli, dove, incatenata insieme alle mie tre“sorelle” (le altre lastre della tomba!) contro questo freddo carrellone di ferro, invoco la mia patria lontana e miseramente inseguo le tante promesse che pure mi vennero fatte “quando, con vece assidua, cadde, risorse” e tornò di nuovo l’antico vincitor ed io, insieme alle mie tre “sorelle”, fui felice chè finalmente il nostro ritorno era assicurato ma … inesorabile si sta consumando il tempo ed io sono ancora qui sola ed abbandonata lontana dalla mia amata patria, prigioniera in questo infernale“girone” napolitano che senza requie mi sbatte alla furia della mia triste sorte e nessuno viene più a bussare alla mia porta chè ancora una volta con Albanella che pure “sfortunata, un giorno tenne radici greche” vedo cadere con
il grande giuramento il mio antico “sogno” e se ti scrivo, professore, io non piango per la mia sventura ma per Albanella la mia patria che sembra distratta e “in tutt’altre faccende affaccendata e a questa roba è morta e sotterrata”.
Eppure quando sul finire di quella prima legislatura, insieme al tuo amico fotografo Luigi, eri allora se ricordo bene, professore, assessore, venisti a visitarmi furono tante le promesse ed io fui felice poi tu ne andasti e nessuno più venne alla mia porta bussare, eppure, la gioia che ci rapì quel giorno, quando allo svolgimento fotografico delle mie lastre, tu con tutta l’amministrazione comunale, per una cartolina ed un convegno mi consegnasti alla memoria di Albanella fu davvero grande. E grande fu, davanti a tutto il popolo, la solenne promessa che mi faceste che presto sarei tornata ad Albanella, dove, tu mi assicuravi, da tempo si preparava, per un mio napoletano“comodato” d’uso di 99 anni, l’acquisto di un vecchio palazzo. Palazzo che fu non solo acquistato ma anche restaurato, ma tu, professore, già non c’eri più, per farne non più la mia casa, l’ “Antiquarium” comunale come promesso ma il regno silenzioso della “Biblioteca Comunale” e dell’”Opera Nicola Vernieri”… mentre io cacciata con le mie tre “sorelle” dalla mia casa e dalla mia amata terra di Albanella venivo bandita e ridotta all’esilio più terribile dove le fameliche Erinni che vennero da “Tebe” mi rubarono con la casa il “sogno”! Eppure mi dicevi che il popolo di Albanella mi agognava e mi desiderava tanto che puntuale ad ogni scadenza elettorale il mio ritorno diventava un impegno solenne di programma e tu, professore, infatti ogni volta c’eri e ogni volta ci credevi e sempre rispondevi presente … anche questa volta che “anche la Speme, ultima Dea”, sembra fuggire “i sepolcri” !
Nondimeno quel giorno del convegno su di me erano politici e presenti tanti relatori importanti io fui fiera del governo di Albanella e della mia terra e fui felice con le mie tre “sorelle” di offrire la mia bellezza e per voi di raccogliere quel bell’appellativo di “Fanciulla Offerente” che ancora oggi mi onora e che voi “rubaste” allo stupore di quel primo archeologo che accorrendo da Napoli al mio capezzale così di me scriveva: “figura femminile stante di offerente, rivestita di un lungo chitone violaceo sino ai piedi che lascia, alla maniera antica, scoperte le braccia. Solo agli omeri fermato da alcune fibbie colorate il chitone è ai fianchi stretto da una cintura gialla orlata da doppie linee trasversali incrociate in rosso-violaceo” e continuando: “I capelli di colore rosso rame che sono raccolti in una cuffia nera sfuggono ribelli alla sua presa fluendo con abbondanti ciocche morbidamente sulle mie spalle, sono opera certamente della mano di un sapiente pittore” consegnandomi per sempre alla storia dell’arte antica ed a quella mia più cara di Albanella!
Era infatti il mio viso molto bello e di leggeri lineamenti dipinto, quando il piccone assassino me lo sfigurò riducendolo miseramente in polvere ma per fortuna la mia elegante e snella figura che ancora conservo si salvò tanto che anche lo scopritore della “Tomba del Tuffatore” l’archeologo Mario Napoli non potè non convenire sempre con quel primo archeologo che per la mia bellezza mi assegnò a quel grande secolo V a.C. che fece ed ancora oggi tiene con i suoi meravigliosi templi la grande “fortuna” di Paestum !
Scrive infatti nel suo saggio “Chiese,Baroni e Popolo nel Cilento” lo storico cilentano Pietro Ebner: “Nel Museo di Napoli vi sono lastre dipinte provenienti da Albanella. Della tomba, però, non venne rinvenuto il corredo funerario che ne avrebbe consentito una datazione più sicura. Comunque gli affreschi assicurava il compianto amico Mario Napoli, ( ed è scritto nella monografia “I Lucani e La Pittura lucana “ Galatina anno 1975 pg 100) qualitativamente e iconograficamente si staccano da tutta la pittura lucana, per cui lo stesso Autore ne propone la datazione alla fine del V secolo a.C. (Scrive ancora Mario Napoli nel saggio “Pittura antica in Italia” Bergamo anno 1960, pg 7 sgg) e cioè in un’età più antica della datazione comune della pittura lucana, quando cioè la cultura ellenica era molto sensibile e determinante”.
Un vanto che tenni alto nel nome di Albanella e per molti anni ( fui scoperta infatti nell’anno 1935 il 5 di aprile!) ancora in tutta la “chora pestana” prima che precipitando la imprevedibile bellezza della“Tomba del Tuffatore” non ne alzò della pittura la misura e tutto cambiò e … pure ridotta a due anche continuai per la gloria di Albanella a rivendicare senza misura quella mia sottile piegatura del gomito che dolcemente risolvendosi in quell’agile flessione delle mie mani sapientemente tratteggiate e quel mio moderno scollo alla “paolina” che, come ebbe a scrivere un grande archeologo, fu della mia figura l’immortalità!
Ed se con il mio volto andò distrutto il mio corredo funebre solo mi dispiacque per quella piccola “coppa” che con “sveltissima figura alata” verniciata in nero “si distingueva dalla grossolana sciattezza dei vasi di tutte le altre tombe” e che io, nel segreto della mia tomba avevo gelosamente custodito, perché onorando tu, Albanella, un giorno il tuo giuramento, potesse di nuovo come una volta bruciare incenso ed esalando agli dei che mi furono, ringraziarli del favorevoli del mio ritorno, che più non vedo all’orizzonte che si fa sempre più scuro e più non sento di Albanella il cuore battere alla mia parte e tremo al dio del tuono chè non ti onora, Albanella, se una novella strada ricorda il luogo dove, sfortunata, un dì venni ritrovata, perché sacro è il giuramento e: “Nulla c’è di più dolce della terra natale”!
Questo, professore, dovevo questo mi sentivo e questo è il mio “fiore” per Albanella!
La Fanciulla Offerente
(Stesa nelle ultime ore di sabato 21 ottobre dell’anno 2017)