Nelle scorse domeniche la liturgia della Parole ha sottoposto alla nostra attenzione molti episodi che testimoniano l’insanabile contrasto tra i farisei e Gesù, il quale denuncia la loro ipocrisia ed infedeltà. La reazione di questo gruppo di potere nella Palestina di duemila anni fa è decisa; temono le insidie al proprio ruolo di maestri e guide d’Israele e non vogliono perdere la deferenza e la sottomissione del popolo. Erano invidiosi del giovane maestro consapevoli che risultava difficile tener testa ai suoi insegnamenti; non riuscivano a confutare il suo vangelo e si preoccupavano per le folle che lo ascoltavano con crescente stupore apprezzandone il messaggio. Lo avrebbero volentieri imprigionato, ma a trattenerli era il timore della reazione del popolo, che riteneva Gesù un profeta.
Negli ultimi giorni prima della vergognosa crocefissione, così come si legge nel vangelo di Matteo, Gesù si scontra con coloro che saranno i suoi accusatori al processo-farsa. In due capitoli si sintetizzano le polemiche intercorse tra il Maestro e i suoi nemici. Lo scontro con i sadducei è determinato dal contrasto sulla resurrezione, con i farisei sul comandamento più grande e sulla signoria del Messia rispetto a David, con gli erodiani dalla discussione circa il tributo a Cesare. Alla fine di ogni contraddittorio risulta che ad obbedire veramente alla Legge è Gesù, che non assume mai il ruolo di ribelle contestatore, invece è pronto a chiarire la portata delle prescrizioni quando viene pervertita del formalismo sterile e presuntuoso dei capi del popolo.
Per vendicarsi, pur se nemici tra di loro, questi gruppi di potere concordano sull’espediente da usare per mettere in difficoltà il Maestro di Nazaret verso il quale nutrono un odio che diventa il vero cemento di questa innaturale alleanza. Il capzioso quesito che gli pongono contiene un intricato nodo di problemi religiosi, politici e di concreti interessi economici. Gli Ebrei non sopportavano la dominazione dei Romani, ai quali dovevano consegnare molto danaro per le tasse e i balzelli loro imposti; mentre la minoranza erodiana aveva interesse a enfatizzare aspetti politici per consolidare la propria posizione. Gesù sembra non avere scampo: un SI’ gli avrebbe alienato il popolo, avrebbe rischiato il pugnale degli zeloti e la soddisfatta recriminazione dei farisei, un NO lo avrebbe messo contro l’aquila romana perché accusato di essere un sobillatore del popolo ed un sovvertitore dell’ordine.
Il Maestro non elude la questione ed in tal modo fa emergere la cattiva fede di chi lo interroga spinto da una gelosa ipocrisia malgrado il mielato sussiego del saluto: “sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio senza guardare in faccia a nessuno”. Queste espressioni di fatto sono una testimonianza di come egli veniva percepito anche dai nemici: veritiero, impegnato a insegnare la strada di Dio, per nulla intimorito non si fa condizionare da nessuno.
Gesù coglie l’occasione per apostrofarli: “Ipocriti, perché mi tentate?”. Li ridicolizza considerandoli dei commedianti dimostrando, come altre volte, che la loro esistenza è una continua recita. In poche battute l’evangelista evidenzia con ironia la situazione esplicitata con la richiesta della moneta. Gesù non ne possiede; rispetta la legge e non usa danaro con l’immagine imperiale nel Tempio, al contrario degli avversari che prontamente ne mostrano una dimenticando di essere nel recinto del luogo pià sacro di Gerusalemme e così di mancare gravemente alla Legge che prescriveva di non usare altro conio se non quello degli ebrei, motivo per cui all’ingresso operavano tanti cambiavalute. Inoltre, i farisei portano nel luogo sacro una effigie umana, il volto dell’imperatore, gravissima offesa alla santità di Adonai. Puri osservanti, come si qualificano, violano la norma per possedere denaro anche se l’uso della moneta implicava il formale riconoscimento della divinità imperiale in essa iscritto!
Al gesto fa seguito la famosa risposta: Restituite a Cesare quello che è suo e date a Dio quello che è di Dio. Gesù volutamente usa due verbi per sottolineare la differente portata dell’azione; così afferma la netta separazione tra sfera religiosa e sfera politica, invita a rispettare le legge ma all’origine e al di sopra dell’autorità umana pone Dio perché i valori politici ed economici non possono prescindere da quelli religiosi, come non è accettabile l’invadenza della religione sulla politica. Gesù raccomanda l’equilibrio di elementi posti in dinamica relazione, affermazione che oggi conserva la sua evidente attualità e che per il cristiano comporta il dovere di consolidare nella società i valori che derivano dalla fede, senza parteggiare per un regime, interferire e allearsi. Intanto non bisogna dimenticare di rendere a Dio ciò che è di Dio: la terra e quanto contiene perché, se a Cesare possono appartenere cose, le persone sono di Dio e nessun potere terreno può condizionare la loro libertà di figli. Gesù evita qualsiasi rischio di politicizzare Dio o di sacralizzare il potere politico. Con questa risposta Egli dimostra di non essere un messia politico e contemporaneamente invita i suoi seguaci ad essere leali cittadini.
L’uomo deve dare a Dio se stesso interamente e obbedire a lui; a Cesare deve invece restituire quanto gli appartiene: messaggio attualissimo oggi con un governo che deve raschiare il barile per far quadrare i conti della finanziaria e un paese che fa segnare in Europa il primato degli evasori fiscali!