Caro Oreste,
ho letto e riletto con attenzione e grande partecipazione il tuo bell’articolo dal titolo “ Il Monaco e l’ Avvocato” che hai pubblicato qualche settimana fa su “Unico Settimanale” e, al di là del tuo mestiere di giornalista che svolgi sempre con grande passione e professione, rimango colpito come sempre dalla tua ostinata determinazione a scavare nella nostra storia “minore” ( ma quanto poi minore veramente !) per dare voce a chi voce non ha ed a scoprire “perle” che altrimenti seppellite nella polvere dei archivi rimarrebbero a noi tutti sconosciute. Il tuo amore per la nostra storia e il tuo sentimento di vera “pietas” verso coloro che la “storia oblia” mi commuove sempre ed al pari del famoso versetto del Vangelo Apocrifo di Tommaso che dice che :”colui che cerca non desista mai dal cercare fino a quando non avrà trovato e quando avrà trovato si stupirà”,anch’io mi stupisco delle tue ricerche e per questo sono stato felice di scriverti e non solo per ringraziarti di questa storia ma anche per la palese ingiustizia che la contiene e che sempre mi indigna e d’istinto mi porta a solidarizzare con te ed… a fronte dei tanti, forse troppo “fiori” assegnati alla memoria del brigante Giuseppe Tardio di Piaggine, anch’io come te grido alto e reclamo per lo sfortunato monaco di Campora, frate Giuseppe Feola un “fiore” che alto lo ripari dalla mano impietosa del “volgo”!
Una storia questa nella quale per avere avuto un ruolo capitale proprio l’avvocato brigante Giuseppe Tardio da Piaggine, mi ha subito colpito la diversità del trattamento l’uno il brigante agli altari della storia di Piaggine e l’altro invece il frate alla “damnatio memoriae” del popolo di Campora.
Infatti e tu lo scrivi,Oreste, fu proprio il brigante Tardio che iscenando un processo “farsa” davanti a quegli“ uomini bruti” che nulla fecero per fermare la mano assassina e che in un ultimo grido di disperazione il frate maledisse per “sette generazioni”, lo condannò a morte facendolo seduta stante fucilare dai suoi 33 briganti, in quel fatidico mercoledì del 3 giugno 1863, sferrandogli lui stesso con la sciabola il colpo i grazia e giustificandosi, di aver ricevuto l’ordine direttamente da Roma, mentre come tu, Oreste, lasci intendere, molto più probabilmente, chiamato da qualche potente locale che mal sopportava (fra Giuseppe Feola da Campora infatti oltre che fine intellettuale come leggeremo avanti, fu soprattutto vero uomo di chiesa e come tale cristianamente osservante e votato all’amore per il prossimo fu un autentico“filantropo illuminato” . Fu lui infatti, a Campora,suo paese natale, ad aprire la prima scuola pubblica del Cilento e la prima società di mutuo soccorso!) l’opera troppo avanzata di un frate che voleva solo e solamente il “bene” del suo paese!
Un frate, un uomo, un intellettuale che leggendo lungimirante nel futuro (era stato autore di un libello contro il potere temporale della Chiesa) vide l’Italia e la Chiesa di Roma, separati i due poteri quello “temporale” e quello “spirituale” eppure uniti in un sol, comune destino: l’Italia, con la “spada” e la Chiesa con il “pastorale”!
Distinti e separati i due poteri nel pensiero del frate di Campora, avrebbero dovuto camminare uniti nella comune ricerca della doppia felicità ma … i tempi non erano ancora maturi e nel papa regnante di allora ancora i due poteri erano ancora congiunti e questo ,come ebbe già tanti secoli fa ad ammonirci il grande padre Dante (e frate Feola fu un profondo conoscitore dell’opera di Dante ed un grande estimatore della Divina Commedia!), non era cosa buona!
Infatti Dante ad una precisa domanda rivolta al nobile cortigiano Marco Lombardo, che incontra nel suo viaggio ultraterreno, in Purgatorio, se “causa del male che appesta il mondo siano le influenze celeste o l’uomo” questi risponde che : “Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,/ due soli aver, che l’una e l’altra strada/ facean vedere, e del mondo e di Deo./ L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada/ col pasturale, e l’un con l’altro insieme/ per viva forza mal convien che vada; / però che, giunti, l’un l’altro non teme:/ se non mi credi, pon mente a la spiga,/ ch’ogn’erba si conosce per lo seme” avanzando, in contrapposizione all’antica teoria teocratica del “sole e della luna” che voleva il papa unico depositario del potere sulla terra, quella più moderna teoria dei “due soli”, in cui separati i due poteri assolvano la loro specifica missione “illuminando” nella pace e nella concordia il cammino dei popoli. Come Dante anche frate Giuseppe Feola da Campora guardavano e avendo per una miracolosa forma di profezia visto quello che in effetti sarebbe avvenuto e…veramente avvenne quando, al di là di ogni reazionaria posizione teocratica, la storia decise di svoltare e solo qualche anno dopo la morte dello sfortunato frate, venne con l’Italia Unita Porta Pia e con Porta Pia vennero poi qualche decennio dopo i Patti Lateranensi e come era stato predetto dalla profezia tutto si compì e tutto addivenne nella giusta attesa di quell’umile frate di Campora che aveva solo, con Dante avuto l’ “ardire” di sognare:“una libera Chiesa in un libero Stato”!
Una lungimiranza di pensiero che, per le benefiche conseguenze che essa ha portato non solo alla Chiesa ma anche a chiunque ami la libertà, da sola vanta ed innalza il frate di Campora alla gloria dell’Olimpo di chi “per la libertà morendo” cade ma con la morte afferma “finché il Sole risplenderà su le sciagure umane” la sua immortalità e … che, riguadagnato alla memoria della nostra storia più alta, potrebbe portare onore e vanto ad un piccolo paese dell’Alta Valle del Calore che avendogli dato i natali oltre avanza al di là dei Savoia o dei Borbone che ancora troppo spesso e talvolta strumentalmente continuano ancora oggi ad infiammare alcune nostre contrade e fiero ed orgoglioso procedendo con un fiore in teoria alla sua tomba tornasse ad onorare il suo illustre figlio apponendo, lì dove ancora in gelosa cura custodisce il pronipote Turibbio Feola la sua antica “stanzetta”, una “sasso” che, al canto del grande poeta“distingua le sue dalle infinite ossa che in terra e in mar semina morte”, noi … ci saremo ed intanto che tutto si compia, io con te, Oreste, e chiunque con noi vorrà, noi andremo a Campora, nell’Alta Valle del Calore e sostando ci fermeremo meditando in silenzio davanti alla sua “povera tomba pubblica posta lungo il Corso principale di Campora “ e alla luce di quel nostro luminoso proto cilentano“sole nascente” noi deporremmo quel “fiore” rosso che altrimenti mancante spetta ed appartiene a chi come il frate Giuseppe Feola, al mondo Vito Antonio da Campora, “per la libertà muore” …
(Stesa nelle prime ore diurne e notturne di domenica 8 ottobre 2017)