Nascere nell’entroterra è come nascere nella bocca di una montagna, di una voragine: non sai quanto profondo sarà l’abisso che ti inghiottirà o lo spiraglio di luce che ti salverà, semmai ci sarà. Avrai paesaggi e profili familiari da guardare, la terra sarà il ventre materno dei tuoi anni infantili, la genitrice a cui ti rivolgerai nei giorni di foschia, ma sarà sempre la cortina di ferro che cercherai di scavalcare e dalla quale vorrai fuggire. Conoscerai tutti, fin dal primo giorno in cui aprirai gli occhi e imparerai a sillabare la parola “Mamma”. Nascere nell’entroterra è un parto condotto a fatica, ma non frequente. Pochi sono i vagiti che ormai si odono nel piccolo entroterra, e le cause non sono raggruppabili o riconducibili ad un motivo ben preciso. Si potrebbe additare la generica crisi come causa dello stop della natalità, fomentando un vago quanto (purtroppo) veritiero stereotipo; si potrebbe parlare di un più preciso cambiamento generazionale o del fatto che le morti superano di gran lunga le nuove vite; ma la verità è che non esiste una verità assoluta, soltanto constatazioni e dati di fatto. La natalità arranca, e non serve certo scomodare Malthus per spiegarlo. Essere un bambino dell’entroterra significa riuscire in davvero pochi casi a frequentare le scuole nel proprio paesino d’origine, per recarsi presso l’agglomerato urbano più vicino e popoloso a completare i primi step della propria formazione e imprinting scolastico. Significa avere due opzioni: integrarsi in modo capillare nei meccanismi (semplici, ma spesso spietati) della legge giovanile del proprio paese, fatta di regole sottese o tacite, branchi, immense compagnie e gerarchie, oppure divenire la voce fuori dal coro, la voce stonata o l’emblema perenne di diversità. Significa avere, bene o male, una seconda madre nei propri luoghi, incarnata nella natura selvatica e nei profili delle montagne, crescere conoscendo fin dal principio la solitudine dei luoghi e desiderando l’evasione, apprezzare fin da subito il valore della semplicità. Semplicità che non è luogo comune, ma cifra stilistica di una realtà che respira ancora a pieni polmoni, tra le leggi secolari della natura, delle tradizioni e la millenaria riverenza verso gli anziani, per fortuna ancora resistente e salda. I nonni (e gli anziani in generale), sono un grande esempio per i bambini e i ragazzini dell’entroterra, col loro carico di storie, leggende e folklore che si stampano nelle menti fin dall’infanzia e ci rimarranno per tutta la vita. Alzi la mano chi non è più ragazzino ma ricorda ancora perfettamente i racconti del nonno o della nonna, con tanto di dettagli e inflessioni del tono di voce. Come passare il tempo in paese, se sei bambino?
I più fortunati hanno dei parchi giochi in paese, altri hanno gli oratori e alcuni hanno, nella stagione estiva, anche una piscina comunale a disposizione. La maggior parte gode della campagna dei nonni, teatro di norme comportamentali e di civiltà semplice, altri hanno le case nei centri storici e altri hanno case altrove, in altri paesi, dove magari si recano spesso assieme ai genitori in villeggiatura o forse per trascorrere qualche week end di commissioni e cambiare aria. Studiano, chi più e chi meno, come tutti. Praticano sport, alcuni hanno dei campetti sportivi e altri si recano presso i paesi vicini. Si riuniscono tra loro e inventano nuovi giochi, magari prendendo in prestito quelli passati, tra cui il leggendario “mazza e piuzi” che è sulla bocca di ogni genitore nostalgico, o si intrattengono su una panchina a parlare tra loro, ridendo per se stessi o con gli anziani che osservano il chiarore della piazza. I bambini dell’entroterra imparano subito a prendere in mano un pulcino, a toccarlo con delicatezza per non ferirlo, imparano immediatamente leggende colorate e la frescura di un albero di gelsi. Li riconosci in fretta, perché le bambine hanno una nota materna nella voce e nei lineamenti infantili e i bambini conservano quella simbiosi selvatica e rude con le piante e la natura. Diventano uomini e donne, crescono e rimangono sempre figli dell’entroterra, ma li riconosci sempre. Ne nascono pochi, sempre di meno, ma rimangono figli di quei profili di montagne per sempre.