È destino di questa estate infuocata 2017 che il fatto di essermi dato alla corsa podistica mi devo trovare a rincorrere, oltre il traguardo di un evento sportivo, anche i ricordi di persone e fatti che ho vissuto in alcune realtà del territorio dove si è sviluppata in parte la mia esistenza di giovane figlio della terra cilentana.
Ed è così che, per una caso fortuito, dopo Corri Roccadaspide e Laurino Happy Run eccomi a sgambettare per fare un po’ di riscaldamento tra le vie di Ottati che si trova incastonata sul lato degli Alburni della Valle del Calore.
Parto da Piaggine dove ho incontrato due giovani Australiani, Adriana e Daniele, arrivati fin qua per visitare la terra dei padri: Sicilia e Cilento. Percorro gli 11 Km che separano il mio paese natio da Sacco: l’ultimo avamposto del Cilento verso il Vallo di Diano.
Sacco è il paese dove mio padre ha “gestito” la scuola media per lunghi anni da “bidello” tutto fare, infatti, essendo quella scuola la sezione staccata di Piaggine, si verificava un continuo ricambio di docenti che era lui ad accogliere su incarico del preside di turno.
Sono ancora in tanti gli amici che ricordano l’uomo e numerosi i ragazzi, oggi anche nonni, che identificano gi anni della scuola media con il volto dal sorriso bonario che si apriva sotto i baffi di Peppino Scandizzo.
Farei torto a tanti se ricordassi in questo breve scritto qualcuno dei suoi tanti amici: uno su tutti l’amicizia che lo legò con Antonio Pecora il dottore per antonomasia.
Quando attraverso il ponte sul fiume Sammaro che collegò le due sponde che scendono a strapiombo per un centinaio di metri, non posso non ricordare che ero presente alla sua inaugurazione a conclusione dei lavori nella seconda metà degli anni ’60. Fu una grande festa. Soprattutto aprì la “porta” girevole che fece incontrare uomini e donne, giovani e anziani, imprese e commercio, sportivi e studenti di due mondi sconosciuti l’uno all’altro.
L’anno prima era stato istituito l’istituto magistrale a Piaggine e, grazie all’apertura della via sul Sammaro, vi fu un boom di iscrizioni di studenti provenienti da Roscigno, Bellosguardo, Corleto, Santangelo … fino ad Ottati.
Ed è su questa strada che sto viaggiando quando, raggiunto Roscigno, devo soffermarmi a ricordare i tanti amici con i quali ho condiviso 4 anni di “studio” e esperienze di vita ancora molto nitidi nella mia mente. Ricordo con affetto Giuseppe Pecori e i suoi genitori che mi accolsero nella loro casa come un figlio e con il loro figlio vissi goliardici anni di infinite esperienze. Lo stesso successe a Corleto Monforte, a Santangelo a Fasanella e a Bellosguardo dove, durante le mie scorribande in autostop alla continua ricerca di capire il mondo, ho scoperto l’amicizia disinteressata e che ho sempre cercato di coltivare in ogni luogo dove ho vissuto.
L’arrivo ad Ottati, invece, mi fa cambiare registro. In questo paese ci sono arrivato da Roccadaspide dove avevo conosciuto Gina, poi diventata mia moglie.
Lei, figlia di Giuseppe Chiacchiaro e Maria Piecoro, aveva i nonno materni che vivevano ad Ottati. Lui Giuseppe e Felicia. Giuseppe, il ciabattino del paese e lei, nata a New York e tornata al paese, si unirono in una strana coppia che, ancora oggi faccio fatica a trovare un lesso logico se non il fatto che si amavano.
Lui in bottega a riparare scarpe da notte fonda fino all’alba, quando prendeva la via della campagna per tornare a casa al tramonto, cenare e andare a letto prestissimo. Lei a gestire le 4 figlie femmine facendole crescere nel rispetto del lavoro e dando loro ogni strumento per discernere il bene dal male.
Anche in questa famiglia trovai un affetto gratuito, senza pregiudizi di sorta. Ancora oggi che ci si vede poco, è sempre una festa fermarsi a salutare l’ampia progenie che vive tutt’ora ad Ottati.
Infatti, appena arrivati, Gina si “inabissa” tra le chiacchiere dei cugini. Io, dopo i saluti di rito, mi avvio verso il piazzale adiacente il comune per iscrivermi alla “Marcialonga del Cardoneto”, una corsa di circa 8 Km con un percorso che si snoda le stradine del centro di Ottati con i muri delle case ricoperti di murales, discende fino al santuario della Madonna del Cardoneto, per poi risalire alla piazza del “piano” il centro del paese.
Gli iscritti (50 tra adulti e bambini) cercano riparo ai raggi del sole che qui fa fatica a ritirarsi oltre il tramonto. La temperatura, come è successo spesso in questa estate da record, è oltre i 32°.
Dopo la corsa dedicata ai bambini, alcuni veramente piccolissimi, parte la gara degli adulti. Due i giri per le strade del paese e poi in picchiata verso la valle che ancora emana folate di umidità che si inerpicano verso le rupi “incatenate” delle roccaforti alburnine.
Il gruppo di testa si lancia a capofitto per la discesa che porta alla chiesa rupestre. Anch’io non mi faccio pregare e cerco di portarmi avanti con il tempo approfittando del declivio ma il pensiero già calcola la fatica da fare riportarmi in quota dovendo ripercorrere la stessa strada in salita.
L’arrivo nella piazza certifica che, nonostante le difficoltà, ancora una volta, con un po’ di buona volontà si può affrontare la sfida con se stessi e portare a termine l’impresa.
Un po’ di tè, un saluto a chi si conosce e riconosce, e poi a casa dei parenti a salutare e a raccogliere il resto dei ricordi di un tempo che fu ma che, ancora una volta, non lasciano l’amaro in bocca … Anzi fanno a gara a rivoltare i luoghi comuni sul tempo che “appiana tutto” in un unico “asfalto” senza storie da raccontare.
Ma tutti sappiamo che anche ai margini dell’asfalto più duro, dove i pneumatici rullano raramente, fili d’erba fanno capolino a ricordarci che, proprio lì, un tempo c’era un prato che in primavera fioriva di fiori dai mille colori …