La parabola, genere letterario nel quale eccelle Gesù, è lo strumento al quale il maestro di Nazareth ricorre nella sua predicazione per togliere il velo della non conoscenza o dell’indifferenza verso il mistero di Dio, inesauribile realtà salvifica da scoprire, da accogliere, da invocare.
La scorsa domenica la liturgia della Parola è stata dominata dalla figura del seminatore, invito a prestare attenzione al cuore umano, pugno di terra dove è stato seminato buon seme anche se l’esperienza quotidiana fa sentire assediati da erbacce, quasi che in ogni zolla s’intreccino esperienze positive e negative. Nel nostro quotidiano siamo portati a lamentare la costante proliferazione del male, di conseguenza riteniamo inefficace il Vangelo; ne consegue il diffuso scoraggiamento che accompagna la nostra esistenza.
Questa percezione non trova riscontro nella prospettiva che Gesù ha della storia umana. Le parabole proposte alla nostra attenzione esaltano l’ottimismo di Dio perché celebrano la pazienza del suo amore. Non è mielato buonismo. L’amore salvifico di Gesù per tutti invita a crescere per prepararci nel modo migliore alla futura mietitura, ricordando che Dio non giudica prima del tempo. I suoi interventi non sono intempestivi, ma si esplicano in un lavoro lento, un atteggiamento paziente, un abbraccio misericordioso.
È l’insegnamento della parabola della zizzania, mentre quella del granello di senape invita a porre attenzione ai germi di speranza, di bene e di verità presenti nella storia dell’uomo (Matteo 13, 24-43), il quale ha sempre maggiori opportunità nel guardare al suo avvenire che chiudersi in un passato segnato da tante sconfitte. Infatti, dando fiducia ai suoi poveri, Dio continua a compiere meraviglie dimostrando quanto sia fecondo il paradosso evangelico del “piccolo gregge” impegnato a svolgere la funzione di “sale della terra” e di “luce del mondo”, cristiani chiamati ad essere icone dell’Amore di Dio.
Alcuni vorrebbero intervenire con mano pesante e sradicare la zizzania. Ma il Signore con inequivocabile chiarezza pronuncia il suo «No». E’ una prospettiva diversa, Egli non rivolge il suo sguardo al male, come fanno i servi della parabola, i suoi occhi sono fissi sul bene; sa che una sola spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo perché da sempre la luce conta più del buio.
Il significato della parabola è chiaro. Gesù ci dice che la morale evangelica non è evocazione di nicchie dorate dove collocare i perfetti, ma invito a mettersi in cammino, iniziare il pellegrinaggio verso la terra promessa per entrare nel Regno. La nostra coscienza è invitata a gioire di quanto di vitale, bello, buono Dio ha seminato nel cuore dell’uomo, Eden affidato alla cura di ciascuno di noi. Il Signore, come la primavera, inizia il processo di maturazione, a noi è affidato il compito di curarne lo sviluppo divenendo protagonisti della stagione estiva, quando il profumo delle messi ondeggianti al sole promette un raccolto abbondante; sono i nostri talenti, semi della vita che avranno la meglio sulla zizzania perché le sottrarranno progressivamente terreno consentendo alla chiesa, comunità di forti e di deboli, di semplici e di eruditi, di fedeli e d’infedeli, tutti amalgamati nell’abbraccio con Gesù, di crescere.
I discepoli sollecitano la spiegazione della parabola e Gesù è pronto a far comprendere che la rigidità di una comunità fatta tutta soltanto di giusti può essere anche pericolosa se dimentica che i confini tra giustizia e ingiustizia non sono sempre così netti da poter essere facilmente individuati, evidente ammonimento che deve indurre a rivedere uno stile ecclesiastico nel quale a prevalere sono l’intolleranza, la partigianeria, integralismi che cedono a pericolose tentazioni di catarismo teologico e morale.
Nel precisare ancor più il suo insegnamento Gesù ricorre alla parabola del minuscolo granello di senape, un modo per richiamare la nostra attenzione sul momento iniziale e finale del processo di sviluppo della Parola nel cuore dell’uomo. Nel far riferimento al Regno Egli evidenzia il contrasto tra più piccolo e più grande; agli inizi appare veramente piccolo, tuttavia nel suo nucleo è dotato di dinamica forza, capace di determinare una crescita prodigiosa. Gesù ne è consapevole. Grazie a questa forza il Regno registrerà uno sviluppo che gli consentirà di divenire il sostegno di ogni individuo desideroso di rifugiarsi alla sua ombra salutare, riparo nell’assolato deserto di una vita di aridità spirituale.
Per comprendere il significato della parabola non si deve far riferimento ai criteri mondani perché la forza del Regno di Dio non va confusa col fascino della grandezza: numero, prestigio, potere non sono i criteri di riferimento per procedere ad una sua adeguata valutazione. Nella stessa prospettiva si colloca la similitudine del lievito: esso è assorbito nella farina; diviene la forza nell’impasto ed opera proprio perché scompare in essa. Questo lievito è il Regno che fa fermentare il mondo. A noi il compito di confonderci con la pasta consapevoli che solo a queste condizioni e senza paura di perdere la nostra identità diveniamo i collaboratori del misericordioso disegno di salvezza dell‘umanità. È un impegno che presuppone coerenza, lavoro per il bene comune, soccorso dei fratelli in difficoltà. Così i cristiani nella comunità rafforzano la giustizia distributiva, pronti ad una sussidiarietà che li rende – come rivendicavano in uno scritto del II secolo – i migliori cittadini di una nazione.