La strada è nastro bianco nel verde della macchia mediterranea. La visione di Trentinara a volo ventoso dai dirupi, cede il posto ai poderi coltivati a girotondo di valloni e fiumare nella vallata con chiesa e case di campagna a profluvio odoroso di effluvi di macchia che brucia le sue essenze al caldo sole di una mattinata nitida estiva. Cavallazzo rievoca nel nome stazione in postazione strategica di difficili vie di comunicazione nel medioevo cilentano.
Tra i castagneti a breve tunnel di fogliame denso occhieggia il sole e si rifrange a raggiera d’oro sul parabrezza a ricamo di pulviscolo di polline e nei fossati timido ride e spiuma il fiore del cardo ad esplosione viola dal cilicio della scorza. Qualche tornante in comodo pianoro e Monteforte si affaccia a scivolo di case nell’ariosa vallata a margine di fiume.
I contrafforti del Chianiello a solida trincea di cerreti, lecceti e faggeti nascondono tra il verde la rotabile a conquista della cima del Vesole per aprirsi, poi, all’anfiteatro dei displuvi del Calore. La macchia, stenta, arabesca le fiancate pietrose a mezza costa e si fa sempre più rada fino alla lunarità dei cuspidi massicci che minacciano trafitture al cielo. La piazza civettuola ascolta in solitario dormiveglia la cantilena gocciolante della fontana. E la storia del paese si materializza i signorotti blasonati che elessero il territorio ad avamposto a difesa del potente stato di Novi, di gastaldi longobardi che ne fecero un fortilizio, di baroni voraci quanto oziosi che, di mano in mano, ne vendettero le sorti, in una con i destini del popolo innocente ed inconsapevole, per pagare i debiti di gioco e/o per soddisfare i capricci di una notte d’amore nelle alcove napoletane. E, a chiudere gli occhi, s’ode il crepitio della boscaglia in fiamme ad improbabile cattura dei Fratelli Capozzoli, nati briganti e morti eroi nella rivolta cilentana del 1828. Gabbarono lo spietato Maresciallo Del Carretto con fuga via mare prima di finire moschettati, per tradimento d’amore in quel di Perito, a Vicolo del fico, dopo una fortunosa e funambolesca fuga per mezza Europa. I loro corpi martoriati fecero il viaggio a ritroso da Vallo a Palinuro, donde erano partiti in una luminosa giornata di giugno ebbri di successo dell’assalto al Forte e con il cuore acceso alla vittoria della rivoluzione. La strada a penetrazione del centro storico caracolla a budello di case fino al sagrato della Parrocchiale, dove un giovane leccio promette ombra futura là dove, fino a qualche decennio fa, un tiglio vigoroso s’incurvava a carezza dell’icona di San Donato, protettore, incastonato sul frontespizio a decoro di portale. Il parapetto è davanzale ardito a scialo di poderi fino alla chiesa di campagna, a margine di fiume, con il santo a guardia di coltivi e d’acque. Ad agosto, il 6 per l’esattezza, si riannoda il filo d’amore e fede tra paese e campagna a snodo lungo di processione a ceri accesi a guizzo d’alba e d’imbrunire e canti di devozione a lacerar silenzi. Ed è spettacolo tutto da vedere e da gustare l’arabesco dei falò che accendono le campagne. I “focari” sono un segno tangibile di partecipazione emotiva dei pastori che impossibilitati a partecipare alla processione perché impegnati nella custodia delle mandrie, testimoniano così la loro devozione al Santo Patrono. E nell’oscurità delle ombre della sera quelle lingue di fuoco gareggiano con le stelle e con le lucciole che piroettano tra vigneti e frutteti, Forse è ancora tutta da scrivere la storia religiosa dei piccoli centri contadini, che, forse per comodità o per istintuale bisogno di protezione, edificarono chiese di campagna t a tutela dei prodotti della loro fatica, affidandone le sorti a santi e madonne.
S’accende ad iridescenze di meriggio l’invaso di Piano della Rocca a figurare speranze di futuro d’agri coltura fertile e turismo verde là dove fino a qualche decennio fa, imperava l’intrico della macchia di lentischi, eriche e ginestre ed impazzava il coro estenuante ed assordante d’amore e morte di cicale e grilli nella calura estiva, sempre che le pastoie burocratiche e del fondamentalismo di alcuni ambientalisti consentano la rotabile di penetrazione dal mare greco di Elea ai monti del Cilento interno lungo il fiume, che quasi lambisce la chiesetta di San Donato, Il futuro dello sviluppo del medio ed alto Alento è, in parte, legato a questa opera di infrastrutturazione primaria. È quanto sogna l’oste ospitale nell’intimità raccolta di una trattoria all’ombra dei castagneti tra un piatto di fusilli al sugo di castrato con spolvero di pecorino, un affettato di salumi di sapiente lavorazione, e la sublime pastosità dei formaggi di alpeggio ad immancabile e frequente richiamo d un gradevole barbera spremuto ai vitigni generosi degli assolati coltivi ai margini del corso del fiume.