Nel Cilento ci sono alcuni santuari, prevalentemente mariani, la cui fama ha travalicato i confini del territorio e della stessa regione Campania ed ha attratto pellegrinaggi anche dalle regioni limitrofe, Calabria e Basilicata, soprattutto. Di sicuro il Gelbison è uno di questi. Ma il territorio può vantare anche piccoli santuari di campagna che sono stati punto di riferimento per fedeli e pellegrini di territori meno estesi, ma che, comunque, narrano notevoli pagine di storia religiosa e civile e sono stati e sono ancora testimoni di belle tradizioni.
E culti e ritualità affondano le radici nella notte dei tempi. Oggi intendo narrare la mia esperienza in due di questi, che, pur geograficamente distanti tra loro, hanno legami e presentano identità sorprendenti. Si tratta dei santuari di campagna di Trentinara e Massicelle. Il brano che segue è tratto dalla pubblicazione “I SANTUARI DEL CILENTO” (Edizioni Il Saggio), vincitore del Premio nazionale l’Inedito, ideato ed organizzato dalla Casa Editrice Il Saggio, che ha anche editato la pubblicazione.
Ha il fascino delle belle chiese di campagna, a veglia dei casali sparsi tra poderi coltivati e terrazze in dolce pendio verso la vallata. Dal sagrato aperto ai venti faccio il pieno di emozioni allo spettacolo della brezza che pettina il fogliame degli uliveti iridescenti all’ultimo sole.
Sono a Massicelle di Montano Antilia, nel cuore del parco del Cilento, e la chiesa dove trasmigrano intensi i profumi della terra è dedicata alla Madonna di Loreto e vi si venera Santa Irene. Ed il culto religioso innesca un meccanismo di memoria di un vissuto personale ad ingigantire gli anni della infanzia lontana.
Anche al mio paese di origine, Trentinara, si venera Sant’Irene e c’è una chiesetta di campagna, dal caratteristico campanile moresco, dedicata alla Madonna di Loreto. Misteriosi, ma forse non troppo, legami che accomunano terre lontane, anche se entrambe incastonate sulle colline prospicienti il mare.
Qui a Massicelle, in lontananza, rifrange e spumeggia alla battigia il mare della Costa dei miti e Palinuro ricanta alle grotte la leggenda di amore e morte del nocchiero di Enea.
Lì, a Trentinara, riluce al sole del tramonto il mare di Agropoli e nella pianura Paestum esalta la sua grande storia di città di snodi e di commerci lungo le Vie del Mediterraneo anche nella maestosa sacralità dei templi dorici.
Eppure, ad indagare nel cuore della storia devozionale del Cilento antico, si troveranno di sicuro dei legami tra due comunità che in santuari di campagna venerano la stessa santa e la stessa madonna.
Irene è santa greca, simbolo di pace, come recita il nome. E probabilmente a Massicelle come a Trentinara ve ne introdussero il culto i monaci basiliani, approdati per le vie del mare a Palinuro come ad Agropoli-Paestum, per risalire, poi, dalle coste verso l’interno alla ricerca di rifugi sicuri contro il furore iconoclasta.
Ed è sicuramente di importazione italo-greca il culto della Madonna di Loreto,diffuso a Massicelle e a Trentinara, ma anche in molti altri centri del Cilento e quasi sempre in minuscoli santuari di campagna.
Qui, a Massicelle, il pensiero corre ai secoli lontani, quando il nastro azzurro del Lambro vide fiorire la civiltà dei monaci. E questa contrada, oggi minuscola, con le case rade tra i coltivi, fu la “dispensa” dei potenti igumeni delle abbazie di Cuccaro, Eeremiti, S.Mauro, S.Nazario, da un lato, e Abatemarco e Montano, dall’altro. E vi fiorirono commerci di derrate alimentari, dall’olio al vino, dai fichi alle castagne, e di prodotti artigianali, dagli utensili per il lavoro dei campi al mobilio per l’arredo di case e chiese, alle pergamene di cartapesta per la confezione di libri di cultura e di preghiera e per la stipula dei contratti nei mercati o la scrupolosa elencazione del corredo delle spose, ai manufatti di lino, prodotto di mani esperte di lavoro al telaio. E, se chiudo gli occhi, la campagna dolce che caracolla a valle si accende del colore lilla-tenero del lino in fiore fin laggiù alle anse del fiume, le cui acque alimentarono concia di pelli, molini e marcite di lino, appunto. Il tutto per la ricchezza delle “celle” dei monaci che riscuotevano un quinto dei prodotti del lavoro dei contadini disseminati nei casali, ”masse”, delle campagne fertili tra il Lambro e il Mingardo. “Massi-celle” dovette essere punto di snodo importante dei traffici, che dal Golfo di Policastro risalivano lungo il Bussento o il Mingardo fino a Roccagloriosa; e di qui approdavano ai ricchi paesi dello stato di Cuccaro, dove l’abate di Santa Cecilia era una enorme e temuta potenza economica, oltre che una stimata autorità religiosa.
Se i culti di Massicelle mi accendono voglia di ricerca storica su periodi poco conosciuti e trascurati dalla cultura ufficiale, quelli di Trentinara mi fanno balenare schegge di lacerante nostalgia di infanzia con il fasto delle processioni al ritmo di banda, nella gloria delle campane e con il frastuono dei fuochi pirotecnici.
E m’è memoria dei frutti zuccherosi e pastosi nell’afa di agosto, all’assalto delle bancarelle della fiera e della rincorsa al carrettino dei gelati all’ombra del tiglio del sagrato del santuario di campagna con i passeri impazziti per l’intrusione della ressa vociante della festa.
Ah, i profumi, gli odori, i sapori, i suoni, i sorrisi, i volti di un Cilento gustato, centellinato solo nella nostalgia della poesia della memoria!
Forse è tutta da recuperare ed esaltare la storia devozionale dei Santi Protettori. Ecco un bel percorso di ricerca per giovani studiosi con la voglia di tentare strade originali ed inconsuete.