Caro Costabile Carducci,
ero poco più che un ragazzo quando sentii parlare per la prima volta di te in una bella cerimonia celebrativa della rivoluzione cilentana del 1848, che ti vide animatore instancabile e capo indiscusso. E, da allora, ogni volta che ritornavo al mio paese d’origine, Trentinara, ed il mezzo di locomozione arrancava sbuffando sui tornanti panoramici che dalla piana di Paestum si inerpicavano su verso Capaccio, il tuo volto fiero di condottiero con quel decoro di barba a corona di occhi vivaci mi ossessionava nel ricordo degli eventi eroici e drammatici che ritmavano i primi mesi del ’48, da quel fatidico 2 gennaio, in cui esplose violenta la fiammata rivoluzionaria, fino al 12 di luglio con la disfatta del campo di rivolta di Trentinara. Con gli anni e con gli studi ti conobbi meglio attraverso la lettura attenta ed interessata di un bel testo di Matteo Mazziotti, gloria cilentana anche lui, ristampato alcuni anni fa dall’editore cilentano Giuseppe Galzerano “Costabile Carducci e la rivoluzione cilentana del 1848”. E mi appassionai alla tua vita avventurosa. Ti seguii nella contrastata attività di operatore economico, alle prese con i dispetti dei tuoi concittadini influenti che osteggiarono il tuo lavoro di albergatore, prima, e di gestore della scafa sul Sele, dopo. D’altronde il tuo rapporto con il notabilato capaccese non fu dei più tranquilli. Vi dividevano impostazioni diverse di vita e fede di ideali contrastanti; ancorati al passato, loro, filo borbonici e conservatori, timorosi e pavidi di fronte al nuovo e preoccupati di seppellire già sul nascere qualsiasi idea di riscatto e di libertà del popolo, liberale e democratico,tu, profondamente convinto che fosse giunta l’ora di reagire contro il Borbone tiranno e guidare la marcia di riscossa della plebe sfruttata. Forse per questo mi riconobbi in te e ti amai da subito. Ero giovanissimo e dalle nostre parti infuriava la lotta per l’occupazione delle terre, quella stessa che un secolo prima aveva caratterizzato anche la tua battaglia di politico impegnato e poi deputato eletto nel Parlamento di Napoli. Fu naturale e spontaneo per me schierarmi, anche nel tuo nome e sul tuo esempio, dalla parte dei deboli e dei diseredati. Il notabilato capaccese anche allora, come ai tuoi tempi, stava dall’altra parte e dava man forte alla reazione politica ed istituzionale con la polizia in assetto di guerra e determinata a sparare sulla folla alla conquista disperata di un pezzo di terra da coltivare. Tempi eroici quelli, caro Costabile, come i tuoi, d’altronde! Tu almeno, nel tuo soggiorno napoletano, potesti contare sull’amicizia e sul sostegno politico ma anche economico di un concittadino nobile illuminato, quel Gennaro Bellelli, di cui mi occuperò a breve con uno scritto a parte come è giusto e doveroso che sia. Non ti nascondo che, in quegli anni ed anche dopo, ogni qualvolta ingaggiavo politiche tanto generose quanto impossibili per la mia terra guardavo a te come modello e guida e riandavo a quei mesi di eroismo diffuso su tutto il territorio del nostro Cilento, da Capaccio a Rutino, da Trentinara a Torchiara. Da Vallo a Vibonati, da Ogliastro a Sapri…
Era il 15 maggio e gli eventi cominciarono a precipitare tra alterne vicende fino a quel drammatico 4 luglio, in cui Vincenzo Peluso di Sapri, fanatico prete sanfedista, prezzolò rozzi sicari e ne ramò la mano. Cadesti ad Acquafredda di Maratea, sulla cui spiaggia eri approdato fortunosamente, sopravvivendo al mare in tempesta. Fosti finito, a tradimento, a notte fonda, sulle alture e scaraventato senza pietà nell’abisso di un burrone sotto la regia accorta e perfida del prete sanguinario. Solo sette giorni dopo un altro prete, questa volta pietoso e consapevole del suo ministero, raccolse le tue martoriate spoglie e ti diede sepoltura nella locale chiesetta. Ti venni a trovare con il cuore gonfio di commozione e piansi calde lacrime sul tuo sepolcro. Ricordi? Ero giovane e con in testa un turbinio di ideali, che gli anni e gli eventi hanno sedimentato ma mai cancellato. All’occorrenza il cuore è ancora capace di accendersi generosamente per cause nobili. Le tue ossa riposano ancora lì nella chiesetta di Acquafredda. Io ho sempre salutato con entusiasmo e seguito con interesse le iniziative del tuo paese di origine per onorare la tua memoria: il tentativo di trasformare in un museo degno di questo none la tua casa, l’intitolazione al tuo nome della Scuola Media, un atto dovuto, un monumento a tua memoria nei giardini pubblici del Tempone come monito ed insegnamento a futura memoria per i giovani che sanno poco di te. Ma io, nonostante le difficoltà burocratiche, inseguo la folle utopia di veder le tue ossa traslate nel tuo paese natale. Mi batterò in questa direzione, nella speranza di veder realizzato il mo sogno. Spero che la Nuova Amministrazione democratica e progressista eletta di recente ponga anche questo obiettivo nella sua agenda di lavoro, diventando, così “laboratorio politico di futuro”. Vorrei salutare, prima di morire, il ritorno dei tuoi resti mortali nella tua Capaccio. È un atto dovuto. È l’augurio che ti faccio e che mi faccio. Con la stima incondizionata di sempre, anzi la venerazione dovuta ad un Eroe e Maestro della mia terra. A futura memoria tuo
Giuseppe Liuccio