Franco Palumbo ha raggiunto il suo scopo: quello di seguire le orme di Franco Alfieri. Infatti, è stato l’attuale consigliere del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, a tracciare il percorso che gli ha consentito il salto di qualità da sindaco di un piccolo comune, Torchiara, a quello di una città come Agropoli.
Siamo stati in tanti a pensare che Palumbo volesse intraprendere lo stesso percorso per andarsi a sedere sulla poltrona di sindaco della “Città dei Templi”. Aveva già fatto un tentativo 5 anni fa quando si era proposto come “risolutore” dei problemi che attanagliavano il comune di Capaccio (non era ancora stato aggiunto Paestum) ma, nonostante già allora aveva sollecitato la fantasia di imprenditori e cittadini disillusi dalle tre chiusure anticipate delle consigliature: “ci vorrebbe uno come Alfieri!”
In questa occasione la tendenza si è andata consolidando la tendenza nonostante il fatto che Italo Voza fosse riuscito a portare a termine il mandato e avesse mantenuto al suo fianco numerosi candidati di “peso” elettorale indiscusso (come si è dimostrato con il rastrellamento dei voti di preferenza delle sue liste).
L’elettorato ha virato già al 1° turno puntando su Palumbo ed ha completato l’opera al 2° con una valanga di consensi.
Ora si tratta di operare facendo bene e soprattutto dando subito una sferzata che risolva in volata qualche emergenza e lavorare da passista per il resto del programma che sembra ricalcare la marcia di Alfieri all’inizio del 1° mandato.
Fin qui il parallelismo tra le città gemelle poste come sentinelle alle porta del Cilento. La differenza, per il momento, sta nel fatto che Alfieri, vinte le lezioni, partì deciso anche alla conquista del Partito Democratico per darsi una “camera di compensazione” dove arginare e controllare i mal di pancia di consiglieri eletti e sostenitori rimasti fuori dalle stanze dei bottoni.
Avere un partito in grado di gestire in modo diffuso il rapporto con l’elettorato, far valere il peso del “potere” a livello politico sovra comunale e porsi in una posizione di riferimento per buona parte del ceto politico – amministrativo del territorio ha completato l’opera di “occupazione” dello spazio vitale necessario per crescere e far crescere una classe dirigente in grado di competere con altri soggetti sulla piazza da molto più tempo: basti pensare allo scontro che ancora si protrae con Antonio e Simone Valiante sia a livello locale sia a livello di competizioni a livello nazionale (alle ultime primarie Alfieri appoggiava Matteo Renzi e i Valiante sostenevano Michele Emiliano).
Lo stesso Palumbo arrivò al Ligotto di Torino quando aveva appena deciso di “scendere” in campo con un nutrito gruppo di amici e con lo stesso Alfieri con lo scopo preciso di accreditarsi presso il PD targato Renzi al fine idi ottenere il simbolo del partito che, come tutti sappiamo, è poi andato a Italo Voza sponsorizzato da Dario Franceschini.
Franco Palumbo dovrà fare una scelta anche in questo senso non tanto per ricomporre la fatidica “filiera istituzionale” che nell’immaginario collettivo dovrebbe garantire corsi preferenziali per l’approvazione di progetti e per ottenere finanziamenti. Quanto per dare alla platea dei suoi sostenitori, quelli della prima ora e tutti gli altri arrivati al traino del successo, uno spazio di confronto dove i più bravi e motivati possano diventare protagonisti del “cambiamento” e soprattutto, da dove attingere risorse umane ed idee che possano essere il suo retroterra politico – culturale da spendere nell’ambito comunale e nel partito politico a cui vorrà aderire.
In questa ottica un gemellaggio tra i due “Franco” potrebbe essere foriere di quell’intesa istituzionale tra le due città che finora hanno sempre agito come cognate invidiose e poche volete come “consorelle” con un unico destino, quello di fare dell’antica Kora di Paestum la locomotrice a cui agganciare tutti i vagoni in cui si articola l’area del Parco Nazionale del Cilento, Diano e Alburni.