Io sono nato in una terra bella. Ne ho respirato la sacralità nell’aria. Ne ho approfondito la ritualità con studi rigorosi. Ho familiarizzato con dei ed eroi che assumevano, quasi sempre, volti ed avevano voci dei miei padri contadini nel lavoro sapiente e paziente a cogliere frutti generosi dalla Madre Terra. Io questa sacralità intendo riproporre con un percorso di amore e di cultura con la segreta speranza/ambizione di accendere la “curiositas” della scoperta.
L’arrivo della bella stagione consiglia e consente lunghe passeggiate all’aria aperta per godere a pieno sole, nella gloria della luce, l’esplosione di vita della natura, che si rigenera nello scialo caleidoscopico della fioritura e nella generosa e ricca fruttificazione dei campi. Mai come in questo periodo si avverte il sacro dell’Alma Mater Terra, venerata dagli antichi e cantata dai poeti della classicità. E a chi, come me si porta dentro, la forza espressiva della grande poesia risuona nella mente e gonfia il cuore il bellissimo inno alla vita che è l’introduzione del “De rerum natura” di Lucrezio: Alma Venus, che è l’elogio della bellezza, dell’amore, della vita che rinasce a primavera.
Nel territorio che mi ha dato i natali si avverte più che altrove la sacralità che è connaturata certamente alla storia della grande civiltà di Poseidonia/Paestum, ma anche ai culti preistorici preesistenti, le cui tracce sono ben visibili a chi visiti, con occhi curiosi e intelligenza di scoperta, il cuore antico di montagne, sorgenti e corsi d’acqua, alberi e campi coltivati. Il tutto lo si avverte e gode in una gita fuori porta, con nell’aria i profumi diffusi sulle ali della brezza leggera o con nelle narici il solletico dei sapori che fuoriescono e veleggiano dalle cucine di campagna, dove massaie poppute e creative gareggiano con Cerere, Demetra ed Era Argiva a impiastricciar leccornie della dieta mediterranea e non solo.
È il momento magico del respiro del sacro, che è vento e acqua, eco di chiacchiericcio di sorgente, che leviga ciottoli o carezza massi lipposi di vita umidiccia, ma anche fruscio di fogliame che canta preghiera d’esistenza alla eternità della bellezza,lustra di sole i germogli vergini, si gonfia di forza nei rami che gemmano vita, anticipo/promessa di gusto nella polpa del frutto che prende forma e sostanza.
Ed è allora che si trova spiegazione alla teoria del totemismo, considerato una pratica religiosa tribale, ma che è ancora presente nella civiltà contadina a tutte, o quasi, le latitudini e sotto ogni cielo e che è basato su un oggetto di forte valore simbolico, detto, appunto totem. E propone una analisi del fenomeno che lo presenta sì come una forza del culto animista, ma anche come una espressione del culto degli antenati e più precisamente del legame dell’uomo con la natura e ciò che lo circonda.
È il trionfo della ierofonia (dal greco: hieròs: sacro phainein: mostrare), un termine proprio della scienza delle religioni, della storia delle religioni, della fenomenologia della religione e, conseguentemente, dell’archeologia dell’ideologia del sacro, che designa la manifestazione del sacro.
Il termine fu introdotto dallo storico delle religioni, il rumeno Mircea Eliade, che ne fece il punto cardine della sua ricerca. E si completa con l’altro, teofonia (apparizione/manifestazione della divinità), che ne precisa ed integra il concetto, ampliandolo.
E manifestazione la si trova nella pietra, nell’acqua, negli alberi.
Se avete gambe buone avventuratevi alla scalata degli Alburni fino a Costa Palomba e con la visione a tutto tondo dell’orizzonte senza confini su terre, fuoco e mari della mediterraneità, dal Vesuvio all’Etna ed oltre vi stupirà la sacralità del culto della pietra nella maestosità dell’Antece, dio o guerriero dei primordi intagliato nella pietra. Né minor meraviglia desta La preta nzitata sul Monte Stella con la ritualità ed il valore simbolico del culto della fecondità e della vita. Analogo respiro lo si avverte sul Monte Sacro di Novi di fronte ad un monolite che luce di sole all’ombra dei faggi a margine della strada dei pellegrinaggi e che nelle scanalature prodotte dalle intemperie di venti, acqua e neve nel corso dei secoli la fantasia popolare figura “il manto della madonna” con tanto di forbici, ditale, ago e filo, a cui si attribuisce, ovviamente, una simbologia di grande fascino e mistero.
Ma sacralità c’è nelle sorgenti. E anche qui il richiamo alla poesia classica è d’obbligo: Bellissima l’ode di Orazio, dedicata alla Fonte Bandusia con le acque più rilucenti del cristallo. Avreste la stessa impressione incantandovi alla spumeggiante cascata del Fasanella che dirupa dagli Alburni nella Valle del Calore o a quella che canta melodie sotto la rupe di Felitto nell’oasi di Remolino, o allo zampillo fragoroso del Salso dal ventre della terra a Capodifiume, ai piedi del Santuario del Granato o alla risorgiva del Bussento a Morigerati dove il carsismo e capricci di natura espongono concrezioni di stalattiti e stalagmiti in cattedrali con guglie gotiche e pagode svettanti nei minareti con processioni di lontre timide e stupefatte insieme.
Lo stesso dicasi delle piante, che ebbero culti di ninfe, dei e dee. E gli uomini primitivi abbracciandone i tronchi immaginavano di abbracciare Naiadi e Nereidi. E, nel Cilento, i Longobardi che lo governarono insegnarono che l’albero è vita e storia e rappresenta il passato con le radici, il presente con il tronco e d il futuro con la chioma dei rami che cercano cielo .
Da qualche anno a questa parte è stata istituita la Giornata della Terra, per esaltarne la bellezza, difenderne la fecondità, assicurarne il futuro. Il culto della terra e per la terra non può e non deve essere il rito di un solo giorno, ma una costante di vita di tutti i giorni, per combattere i barbari moderni, che, in nome del feticcio del dio denaro sfregiano la bellezza della Natura, Magna Mater, inquinano sorgenti, fiumi e mare, sbancano montagne, stravisano colline e campagne con lottizzazioni improvvide e di pessimo gusto e cementificano coste di macchia mediterranea. Sono i perfidi e rozzi cultori del barbaro che è in noi.
E vien da gridare con rabbia con i versi del grande poeta Virgilio: Quid non mortalia pectora cogis auri sacra fames: Fin dove non spingi il cuore degli uomini o esecranda fame del denaro! Mi piacerebbe molto se sindaci già eletti e quelli ancora da eleggere nei ballottaggi di domenica prossima, come nel caso di Capaccio Paestum, e relativi assessori alla Cultura ed al Turismo già nominati o da nominare ponessero nella dovuta evidenza dei loro dichiarazioni programmatiche questa Sacralità della Natura e dell’Alma Mater terra e ne facessero un punto di orgoglio della loro amministrazione in sintonia con gli operatori economici e, quel che conta di più, con dirigenti scolastici e consigli di istituti di ogni ordine e grado, per la formazione dei ragazzi, che saranno i cittadini di domani e lo saranno con le stimmate della formazione da noi ricevuta. Una responsabilità enorme da non prendere a cuor leggero, ma da prendere e perseguire con la sacralità della CULTURA e ancora e sempre più CULTURA.
E per vincere questa battaglia decisiva della e per la CULTURA serve un sindaco determinato e volitivo: un SINDACO DEL FARE e FARE BENE.