Il nome botanico è prunus armenica. I romani erano convinti, infatti, che l’albero fosse originario proprio dell’Armenia e lo avevano battezzato armeniacun malum. Successivamente è stato accertato che proveniva dalla Cina settentrionale dove cresceva spontaneamente, come ci attesta Chan-hai King nel suo “Il libro dei monti e dei mari”, attribuito all’imperatore Yu il Grande vissuto intorno al 2020 avanti cristo. Solo successivamente fu introdotto nell’Armenia, dove ancora è raccontata una bella leggenda. Inizialmente non produceva frutti, ma sono bei fiori bianchi e profumati, che spesso si schiudevano, e si schiudono ancora oggi, già a fine febbraio. Quando il paese fu invaso da un esercito straniero ci fu la disposizione di abbattere tutti gli alberi improduttivi per farne legna e tra questi anche un albero di albicocco, a cui una razza era molto affezionata e che vegliò l’albero per tutta la notte alla vigilia del suo abbattimento. Ma l’indomani mattina ebbe la felice sorpresa di vedere l’albero stracarico di frutti dorati. E l’albero fu salvo e continuò a regalare albicocche pastose dal profumo intenso e dal colore che variava, e varia, dal giallo al rosa e al rosso acceso. Vanta anche una sua dignità letteraria. Pietro Bembo, infatti, evocò una donna che lui chiamava come i suoi contemporanei “armellino”, con un termine veneto che deriva da Armenia.E così lo chiamò anche il Pascoli nella sua nota poesia “la cinciallegra”: “Avevi i piedi nudi sulla soglia/tremavi come un armellino in fiore/che trema tutto al vento che lo spoglia”. Una curiosità storico/letteraria: La nota Katherine Mansfield era molto ghiotta della marmellata di albicocca e amava mangiarla spalmata sul pane e accompagnata dal tè, come ci racconta nel suo diario. Le albicocche sono state paragonate alla rotondità di una guancia femminile e, qualche volta,a causa del morbido solco che le percorre ad un’altra rotondità sempre femminile e che accende spesso desideri erotici trasgressivi in quanti apprezzano il lato B delle donne. Per concludere queste mie riflessioni sulle albicocche mi corre l’obbligo di una divagazione/precisazione linguistica. Gli alberi di albicocche sono coltivate soprattutto nelle zone di pianura, lungo la costa,ma anche nei paesi di collina, con le campagne soleggiate esposte al mare. I frutti sono belli tondeggianti, colorati e saporiti. In dialetto cilentano in molti paesi si chiamano “cresommola” di evidente derivazione greca: crusos e malos = pomo d’oro.
Ed ora, come vado facendo tutte le settimane, passo a fare alcune riflessioni su una pianta pprezzata soprattutto per i suoi fiori: la magnolia, Fu introdotta la prima volta in Europa, a Nantes, in Francia da un mercante che faceva la spola fra Europa e America. Correva l’anno 1740. Il nome gli derivò da quello del nome dello scienziato Pierre Magnol, come volle il re Luigi XIV. L’albero ha foglie perenni e così coriacee da crepitare al minimo soffio del vento o sotto gli scrosci della pioggia. A primavera avanzata si agghinda di larghi e tondeggianti fiori profumatissimi, che scatenano forti emoioni a vederli ed intensi e penetranti profumi ad odorarli. La scrittrice inglese Vita Sackville-West li paragona con bellissima immagine a “grandi colombe bianche posate tra le foglie scure” ed aggiunge “Il fiore è di per sé di una bellezza splendida. Ho appena guardato nel cuore di uno di loro. Il tessuto dei petali è una densa crema; non dovrebbero essere definiti bianchi, perché sono avorio, se mai potete immaginare l’avorio e d il color crema combinati in una densa c rema; con tutta la morbidezza e la levigatezza della pelle umana giovane. Il suo profumo, che evoca il limone, è insostenibile”. No, non è insostenibile, come non è insostenibile tutto ciò che ci trascina fuori della quotidianità, ci afferra introducendoci nel mondo immaginario e nel mondo degli archetipi, come testimonia Alfredo Cattabiani facendo riferimento ad una magnolia grandiflora che troneggiava in un giardino pubblico a Milano davanti a casa sua. Nel linguaggio dei fiori la magnolia è simbolo di candore ma se è bicolore simboleggia il Pudore virgineo. A proposito di magnolie anch’io ho una esperienza da raccontare. La feci a Valle dell’Angelo alcuni anni fa. M’era compagno Oreste Mottola, giovane allora, collega, occhio vivace e pizzetto ben curato, da anarchico postmoderno, a cattura di immagini con la fotografica che faceva capricci. Nella Valle risuonava l’eco delle gesta di Giuseppe Tardio, a riscatto sociale di classe e famiglia,brigante/eroe a vendetta di ingiustizia, a reclamare revisione di processo a riabilitazione di memoria. Ed una magnolia, lustra di brezza e sole,bella piazza del paese cantava malinconia di solitudine, a nostalgia di ville di pianura, nell’habitat che era, ed è, regno di querce. Lecci e roverelle. Però i fiori erano di un candore accecante e di profumo intenso e penetrante.