Kerasos era il termine con cui i greci indicavano la pianta del ciliegio, un termine di origine incerta sebbene San Girolamo sostenga che derivi dalla città Kerasunte, nel Ponto, da cui l’albero sarebbe stato portato in Italia nel I secolo avanti Cristo grazie a Lucullo, che aveva partecipato alla guerra contro Mitridate. Ha fecodato l’immaginario collettivo europeo e mondiale con metafore e simbolismi. Gli Albanesi, per esempio hanno l’usanza di bruciare rami di ciliegio nelle notti del 24 e del 31 dicembre come del 5 gennaio, perché, secondo loro, segnerebbero il rinnovamento dell’anno. Ne conservano le ceneri per fecondare la vigna. Nelle campagne francesi, invece ne mettono un ramo davanti alla porta di casa delle fidanzate nella notte tra i 30 aprile ed il primo maggio Fiori e frutti hanno costituito da sempre, in ogni tempo ed in ogni letteratura ispirazione per i poeti. È il caso di quelli giapponesi che con immagini di tenero romanticismo cantano: “Cadono i fiori di ciliegio/sugli specchi d’acqua della risaia/:stelle/ al chiarore di notte senza luna./ Oppure come in un’altra poesia:”Oh, guarda! E null’altro da proferire/davanti ai ciliegi in fiore/del monte Yshino. Ed infatti le falde del monte poco distanti da Tokio sono coperte da centomila piante di ciliegi in fiore, che nella stagione della fioritura, appunto offrono uno spettacolo di straordinaria bellezza e conseguente intensa emozionalità In Italia esiste un santo delle ciliege, Sa Gerardo Tintore, patrono di Monza. Ed in occasione della festa del santo che cade il 6 giugno l’amministrazione dell’ospedale della città era solita offrire ai canonici del Duomo un’abbondante e saporita colazione a base di ciliege in ricordo di un’usanza il cui ricordo si perde nella notte dei tempi. La letterarietà delle ciliegie è nota e la loro bellezza ha ispirato letterati, musicisti e pittori fin dall’antichità. E penso, tanto per restare nella nostra Campania, all’affresco nella casa del Gran Portale ad Ercolano o alle delicate e musicali poesie di Salvatore Di Giacomo: Era de maggio e te cadeano nzino/ a scocche a scocche le cerasa rosse/fresca era ll’aria e tutto lo ciardino/addurava de rose a ciente passe”, oppure l’altra non meno bella: L’anno passato,’o tiempo d’e ccerasa/facevo ammore co na Porticesa—/belli tiempi de lacrime e de vase!../ogne lacrema quanto na cerasa!/ ogni cinche minutele nu vaso… E tanto, per restare ancora in Campania, la Scuola Medica Salernitana apprezzava molto le ciliege per i suoi effetti benefici sul piano della salute. “La ciliegia assai purga il grave stomaco/E i suoi noccioli scacciano la pietra./Ed essa ancor fa nelle vene ottimo sangue”.
Ed ora, come vado facendo spesso, passo a trattare di due erbe aromatiche molto diffuse anche nel nostro Cilento, soprattutto per insaporire piatti della cucina della tradizione contadina, la malva e l’origano.
La malva è considerata una pianta eliotropica perché proietta suoi grandi fiori rosa-violetti lungo il corso del sole. Anticamente veniva usata come cibo semplice povero, come ci riferiscono Esiodo e Teofrasto fra i greci. Marziale, invece, afferma per i Latini che serviva a neutralizzare gli effetti della notti trascorse a mangiare e a bere in modo smodato. Pitagora, invece la sconsigliava, perché “era la prima messaggera e annunziatrice della simpatia tra le cose celesti e terrene e per questo impediva, al pari delle fava la liberazione dal ciclo.
L’origano, invece, appartiene alla famiglia delle labiatae. Il suo nome deriva dal greco origanos, ed è composto oros=montagna e ganos=splendore, quindi splendore di montagna, perché allo stato spontaneo alligna soprattutto nelle zone alte. Per il suo profumo intenso e la predilezione dei luoghi incolti, evocò a Gabriele D’Annunzio, una ninfa, come d’altronde la menta, di cui mi occuperò la prossima volta: “A mezzodì scopersi tra le canne/ del Motrone argiglioso l’aspra ninfa/nereciglia, sorella di Siringa,/ L’ebbi sui miei ginocchi di silvano e nella sua saliva amarulenta/assaporai l’origano e la menta/Per entro il mondo della nostra ardenza/udimmo crepitar sopra le canne pioggia d’agosto calda come sangue”. Fu molto apprezzato nell’antichità per le sue qualità terapeutiche come testimoniano Dioscoride, Columella e Plinio. Per queste sue caratteristiche l’origano è stato assunto a simbolo del Conforto. È citato spesso anche nella storia della medicina per le sue capacità terapeutiche. Spesso, infatti, viene riprodotta una immagine di una cicogna che tiene nel becco un rametto di origano, in quanto una leggenda molto diffusa già nel Medioevo. Narrava che questo uccello quando soffriva di mal di stomaco per aver mangiato un cibo nocivo era solito curarsi con un rametto di origano appunto. Il suo aspetto delicato e gentile lo legava soprattutto al mondo femminile. Ed infatti un tempo le donne lo coltivavano non tanto e non solo per usarlo in cucina, ma anche perché lo consideravano sia un talismano che un lenimento morale E per questo lo si regalava alle ragazze che avevano subito una delusione d’amore. E se malauguratamente una pianta di origano coltivata in un vaso sulla finestra o sul balcone disgraziatamente secca bisogna temere che pene d’amore siano in arrivo. Anche per questo come apotropaico si pone ancor oggi l’origano in sacchetti che si portano addosso o vengono posti nelle stanze di casa. Bella questa lezione di vita che ci viene da piante e fiori ad ulteriore testimonianza che LA NATURA HA UN’ANIMA.