Mario Marsico non è uno sconosciuto. Ha avuto amici d’infanzia, compagni di scuola e famiglia. Un mondo magari non di primo piano che ora condivide il dramma della sua famiglia che prova a reagire come può di fronte alla prospettiva di non rivederlo a lungo a causa della condanna definitiva all’ergastolo che sembra profilarsi sul suo capo. Senza gridare per forza all’innocenza o mettere in discussione i risultati delle indagini degli inquirenti che sono anche state vagliate dalla magistratura. “Prima di seppellire un uomo in carcere per il resto dei suoi giorni, la giustizia faccia uno sforzo per illuminare meglio la vicenda che ne è all’origine. Poi se Mario è colpevole abbia tutto quello che merita”. E mi chiede aiuto. Lo fa ingenuamente, scambiandomi per quei giornalisti della tv che fanno le pulci all’inchiesta e imbastiscono, a favore delle telecamere, un altro processo. Parallelo ma più importante di quello ufficiale. I fatti sono questi: Mario Marsico è già stato riconosciuto colpevole, in due gradi di giudizio, della responsabilità principale nel delitto di Matinella del 2 gennaio del 2012. Si tratta della mattanza di via Fravita. Armando Tomasino e Maria Francesca Lamberti, il primo originario di Altavilla e la donna del casertano, furono massacrati da oltre sessanta coltellate inferte da uno quei coltellacci che vengono usati per uccidere i maiali. I carabinieri arrivano alle 20,40 chiamati da Dario Santoro, il figlio 19enne della donna uccisa. Le perizie medico legali e il traffico sui cellulari fissano l’ora del duplice omicidio alle 17,30. Il giovane punta subito il dito su Halimi Radouane riferendo dei sospetti di Armando Tomasino, riferitigli dalla madre, proprio sul marocchino, per via di alcuni misteriosi furti recentemente subiti. Radouane però fa di più, il giorno dopo, di prima mattina si presenta nella caserma dei carabinieri di Matinella e confessa tutto quello che sa: il ruolo di Marsico quale esecutore principale del duplice omicidio e gli accordi che lui stesso ha stabilito per partecipare alla spedizione nella casa di via Fravita. Doveroso un passo indietro. Tutti i protagonisti sono soci di una ditta di fatto tra di loro: Mario Cosimo Marsico e Halimi Radouane, Armando Tomasino e Maria Francesca Lamberti. C’era chi metteva il gasolio e chi pagava l’assicurazione dei camion. Tomasino metteva a disposizione anche la casa – officina di via Fravita. Nella ragione sociale della “squadra” tante cose, ufficialmente rigattieri, robivecchi, ecc., ma i profitti, si dirà al tempo, arrivavano dall’incetta di rame da commerciare nei circuiti clandestini. Per un po’ le cose vanno bene, basta leggere i lunghi elenchi di sottrazioni subite dalle linee telefoniche ed elettriche delle campagne di Albanella, Capaccio e Altavilla… La storia poi si complica. Forse saltano le gerarchie, chi comanda e chi ubbidisce. Marsico decide di mettersi in proprio. La moglie continua a ripetergli che quella “compagnia” non è per lui. Con il ricavato della vendita di una casa che ancora possiede nel centro storico di Albanella, a Ponte Fornace, spera di comprarsi un mezzo per lavorare da solo. Un acquirente l’ha trovato, si mettono anche a delineare un preliminare. Non aveva più motivo per pensare di togliere Tommasino e la Lamberti dal suo orizzonte. Gli inquirenti invece danno credito al racconto di Halimi che mette a verbale di essere stato contattato e “contrattato” per un compenso di 500 euro, deve limitarsi a fare da palo. Fa anche altri nomi, tutti trovati con alibi di ferro. Nella concitazione dei fatti perde il suo cellulare proprio nel perimetro di casa Tommasino e da qui … perde un po’ la testa. Tenta di riacquistare la sua Sim, pensa forse ingenuamente di occultare la precedente, serve una denuncia di scomparsa e va dai carabinieri. Quando, però, si presenta in caserma i militari sanno già di lui. Alle 20,40 è scattato l’allarme lanciato da Dario Santoro, il figlio 19enne della donna uccisa. Il giovane punta subito il dito su Halimi Radouane riferendo dei sospetti di Armando Tomasino, riferitogli dalla madre, proprio sul marocchino, per via di alcuni misteriosi furti recentemente subiti. I carabinieri lo trattengono e lui parla pensando di riuscire a cavarsela: il ruolo di Marsico, che lui dice di conoscere solo di vista – quale esecutore principale del duplice omicidio e gli accordi che lui stesso ha stabilito per partecipare alla spedizione nella casa di via Fravita. “Accordarsi per aiutare a commettere un omicidio con uno sconosciuto per soli 500 euro”. È da questo punto che scatta l’iniziativa degli amici di Mario Marsico per spingere oggi gli inquirenti a dare un peso diverso a circostanze che fino ad oggi sono servite solo ad accusare il capaccese, originario di Castel San Lorenzo e, in gioventù vissuto a Albanella e con una biografia accidentata dove c’è già la tossicodipendenza, una rapina, cinque anni di carcere e una figlia che vive lontano da lui. Poi ha un alibi che comincia alle 17,30 quando delle telecamere ne fissano alle 17,30 il passaggio da un ufficio di Capaccio. Della circostanza Marsico non si ricorda e infatti non la riferisce subito ai carabinieri che vanno a arrestarlo. Il delitto avverrà nei trenta minuti successivi dice l’inchiesta. Troppo pochi per muoversi da Capaccio Scalo e fare tutta la mattanza. In casa nessuno si accorge della sua sparizione e nessuna telecamera ne fisserà il “ritorno” in casa. Semplice, dicono quelli che gli credono: è andato a casa e da lì non s’è più mosso. In tv andava “Il Grande Fratello” e lui ne era appassionato, non se ne perdeva un minuto. Contro di lui ci sono poi altri indizi: un pentito che l’avrebbe fatto parlare in carcere, lui che quel mondo e con i suoi pericoli lo conosceva, e non si trovano le armi del delitto e i soldi che sarebbe andato a prendersi da Tomasino. Mentre sul coimputato Halimi comincia una ridda di ipotesi cha va dalla gelosia per qualche sguardo di Armando sulla moglie e poi un attivismo per cancellare la sua presenza – confessata – davanti a casa Tomasino, nella placida e operosa campagna di Matinella. Una condanna definitiva all’ergastolo, come dice la giurisprudenza, ha bisogno di più prove, solide e incontrovertibili, di quelle che – dalle carte che mi è stato possibile leggere – non sembrano esserci. Sì, aderisco anche io all’appello di “più luce” su questo delitto e sugli ideatori e responsabili. Halimi dice che dall’auto di Marsico scesero in quattro, presenze necessarie perché l’aitante Tommasino avrebbe potuto stendere l’esile Marsico con una sola mano e un grido. Altri misteri che incombono sulla mattanza che ci rovinò le feste natalizie del 2012.
Trending
- Scuola, 267 milioni per tutor e orientatori
- Vallo della Lucania, Teatro “Leo de Berardinis”: “Il calamaro gigante” con una straordinaria Angela Finocchiaro
- “Fiumi, Briganti e Montagne”: Il Salernitano tra storie e storia, coraggio, mistero e resilienza
- Orientamento scolastico, Valditara scrive ai genitori
- Un Re venuto a servire
- Il Collettivo Docenti di Sostegno Specializzati chiede al MIM di garantire i diritti dei docenti precari: presentata diffida formale
- OMEOPATIA E DOLORE AI DENTINI DEI LATTANTI
- Scuola: emendamenti ANIEF alla Manovra Finanziaria 2025