Il capaccese Pierpaolo Mandetta è uno scrittore, vive da due anni a Milano, gestisce un blog di successo e la sua “Posta del cuore” straripa di domande, consigli e struggenti dichiarazioni. Il suo sogno è scrivere in una casa in campagna con il pollaio, curare piante e pagine di carta. Non è difficile capire perché sul web ha un seguito che supera le centomila persone: Pierpaolo è un bagno di realtà in una società che ostinatamente si presenta complicata e piena di sovrastrutture. Dall’11 maggio è possibile trovare in tutte le librerie il suo ultimo lavoro “Dillo tu a mammà”, lo incontriamo per parlare della sua storia e del suo libro…
Che bambino eri? Iniziamo col difficile! Sembrerà incredibile ma l’infanzia è la parte della mia vita in cui vorrei tornare. Da bambino vivevo a Licinella, sono stati anni bellissimi, avevo tutto quello che un bambino poteva volere. Poi ci siamo trasferiti a Capaccio, che al confronto di Licinella già mi sembrava una città e i bambini già cittadini ed ho iniziato a chiudermi, non avevo più i miei amici. Sono stato strappato dal mio mondo ideale e in più mia madre iniziava a lavorare nel bar di famiglia. Quindi nella prima infanzia ero un bambino felice e spensierato, poi decisamente chiuso ed impaurito.
Quando hai iniziato a scrivere? Non presto, in realtà da adolescente amavo disegnare ed ero molto bravo. Disegnavo sempre per poter costruire i miei mondi, a scuola avevo ottimi voti in disegno. Poi, da un giorno all’altro, misteriosamente, è scomparsa la mia attitudine. Alle superiori non sono riuscito più a disegnare e lì ho avuto una mia rivoluzione interna. Ho vissuto alcuni di stallo in cui comunque avevo bisogno di creare storie, comunicare.
Di creare storie o di comunicare? Di entrambe, perché ho bisogno di creare storie per comunicare. A vent’anni, finita la rivoluzione, scelsi la scrittura come mia personale via di comunicazione, poiché mi sembrava la strada più idonea a me. Ma ero totalmente inadeguato, non avevo le basi, non leggevo, la mia strada era un po’ da strutturare.
Che formazione hai avuto? Ho avuto la fortuna di seguire un corso alla Scuola Holden di Torino, che di norma è economicamente proibitiva, ma in quell’anno la regione dava delle sovvenzioni ed io rientravo nella fascia d’età idonea. Così sono partito da Capaccio con la grammatica delle elementari sotto braccio per seguire il corso. Da lì ho iniziato a scrivere, ero molto acerbo, il percorso è stato lunghissimo e ovviamente, ancora deve finire.
Il bar e poi il cambiamento … Tornato a casa da Torino, ho iniziato a lavorare al bar dei miei e contemporaneamente a scrivere. Scrivevo tantissimo. In quel periodo ho pubblicato anche qualche mio lavoro che, nella forma sicuramente poteva lasciare a desiderare, ma il contenuto c’era, infatti il mio primo romanzo “Vagamente Suscettibili”, pubblicato con una piccolissima casa editrice, lo sto riscrivendo, perché quella storia merita la sua dignità letteraria. A 27 anni, scoraggiato dal mondo troppo chiuso dell’editoria, ho deciso di prendere la mia vita in mano. Sono partito per Bologna alla ricerca di un posto di lavoro. Sono stati i due mesi più brutti della mia vita: ero troppo grande per qualsiasi posizione, quasi sempre solo. Non potevo permettermi un abbonamento ai mezzi pubblici, dunque camminavo a piedi e il clima di certo non aiutava! Ho preso un po’ di batoste a Bologna e ne sono uscito distrutto. Poi, con l’aiuto di Massimo, il mio attuale compagno, sono riuscito a ragionare, anche in modo diverso. Ed è stato in un modo diverso che ho iniziato a proporre i miei scritti ai lettori: scegliendo la strada dell’auto-pubblicazione. Quella è stata una scalata faticosa ma inebriante, ho dovuto rivestire più ruoli e ho iniziato a investire sulla mia vita a 360°. Poi è nata la pagina Facebook e anche il blog, entrambi con un bel seguito.
Sul blog troviamo spesso temi come le differenze tra nord e sud, provincia e città ma soprattutto l’amore… Gran parte del mio pubblico è femminile e mi ritrovo spesso a parlare di amore, rapporti e sessualità. In particolare parlo delle complicazioni dell’amore, di quello che arriva – prepotente – dopo l’innamoramento, le situazioni quotidiane gestite male, i muri che si creano tra le coppie. Ho sempre osservato questi aspetti della vita. Spesso ascolto come la gente litiga per capire cosa si dice e quando lo dice, lo adoro, e al pubblico piace sapere che certe cose accadono a tutti.
Ora vivi stabilmente a Milano, cosa ti manca di Capaccio? Sono arrivato a un buon compromesso di malinconia: quando sto qui a Capaccio mi manca Milano e viceversa. Entrambe le realtà hanno cose indispensabili per vivere. Ma di casa mi manca l’aria pulita, la tranquillità della vita. Io quando scendo mi rassereno, mi ristoro. Milano ti offre molte possibilità ma può logorare qui invece la vita ti concede solo piccole cose che però ti riempiono. Tornare a Capaccio e avere un quartiere che ti conosce è meraviglioso, a Milano puoi sentirti molto solo, qui sei parte di qualcosa. Ma, come ho detto, Milano offre poi cose che a Capaccio non ci sono e soprattutto ti concede la possibilità di valorizzare il tuo lavoro.
“Dillo tu a mammà”, perché? Il titolo può sembrare essere legato al coming out, in realtà è legato alla famiglia. Spesso nelle famiglie non c’è il coraggio di dire molte cose importanti. Diciamo solo quello che vogliono sentirsi dire, capiamo quando non vogliono sapere delle cose e non le diciamo. “Dillo tu a mammà” mi fa ricordare di quando dicevo a mia madre “dì tu a papà che stasera esco” e questo racchiude tutte quelle dinamiche tra genitore e figlio di cui ho voluto parlare nel libro. Non so se questo atteggiamento sia più comune al sud o è solo un cliché, ma credo riguardi davvero tutti i tipi di famiglia. “Dillo tu a mammà” significa “io non so dire ai miei genitori chi sono”, non il mio essere omosessuale, ma quello che sono diventato. E questo è vero, vero per me e per tutti quanti.
L’ambientazione è Trentinara e un po’ di Cilento in generale … Questo romanzo è anche un bel tributo al Cilento. Ho sempre sognato di poter ambientare una delle mie storie nei nostri paesini, farlo poi con un grosso editore come Rizzoli è incredibile, un sogno che s’avvera. Sono innamorato di Trentinara, quando ci sono andato per la prima volta ho detto “qui ci devo ambientare un romanzo”.
Perché leggere il libro? Perché racconta un pezzo di storia privata di tutti noi, è un romanzo che riesce a parlare di tutti indistintamente, l’ambientazione trentinarese è una bella location ma la storia riguarda l’amore e la famiglia, che annulla ogni divario tra le persone. Non importano le differenze sociali, culturali, anagrafiche: amore e famiglia accomunano tutti. Consiglio di leggere questo romanzo perché ognuno si ci può rivedere dentro.