L’unica cosa che dà un’anima ed un sapore a queste nostre terre è il santo patrono. O la patrona. E’ il turno di Santa Sofia di Albanella, l’unica che oltre a tutti i miracoli di prammatica, fece chiudere una stagione delle piogge che non permetteva al popolo di seminare il grano e quindi poter mangiare. Tutti gli altri, a cominciare dal mio S. Antonio, fece il contrario e i miei antenati lo cacciarono addirittura dal convento perché non si decideva a intervenire. Santa Sofia segna anche i tratti “orientali” della cultura albanellese, a cominciare dall’accento dialettale che si differenzia dai paesi vicini, che uno studioso esperto e capace qual è Gaetano Ricco è capace di mostrare. Finora erano considerati tracce forti di “lucanità”, poiché la Basilicata da qui è davvero vicina, ma ora gli orizzonti si fanno sempre bizantini. A rinsaldare e a rinnovare l’ancestrale legame di connessione sentimentale è la notizia dell’arrivo di nuove reliquie della Santa madre e martire. SOFIA CON FEDE, SPERANZA E CARITÀ La leggenda narra del passaggio nel Bosco di Camerine della beata, costretta a rifugiarvisi con le sue tre figlie – Fede, Speranza e Carità – in fuga dalla persecuzione cristiana dei Romani sotto l’imperatore Traiano. La Santa, per riconoscenza verso il popolo albanellese, lasciò il segno del suo passaggio: un roseto di rara bellezza e profumo. Il bosco diventa così teatro naturale che apre al rito della condivisione popolare della leggenda e delle tradizioni locali. Tutto si esalta e si moltiplica. I nonni raccontano ai nipoti storie di santi, streghe, briganti, femmine e viandanti, con musica e ritmo intorno ad un fuoco, come ritualmente si faceva un tempo, degustando le antiche ricette del bosco come mozzarella nella mortella con pomodorini spontanei; pancotto alle erbe del bosco; acqua sale alle erbe selvatiche; fusilli e gnocchi di tradizione; carne arrosto macerata nel mirto, lentisco, mentuccia e finocchietto selvatico; cioccolata, ciambotta e pizza cilentana; ravioli con ricotta di capra, con miele, mirtilli e more e così via. LE TRACCE STORICHE “Dalla distruzione di Pesto ne sorse la terra di Albanella. Fu edificata in distanza di sopra a quattro miglia dal fiume Selo…colla veduta della città di Salerno, Eboli, della vecchia Capaccio, della Costiera d’Amalfi e dell’isola di Capri.” E’ lo storico settecentesco Lucido Di Stefano a descrivere il piccolo paese chiamato anticamente “la greca alba”, che adagiandosi, si allunga su morbide colline di uliveti. In realtà le sue origini sono ben più antiche e risalgono alla fine del V sec. a.C., epoca a cui sono databili le tombe finemente affrescate, qui rinvenute e custodite tuttora nel Museo Archeologico di Napoli. Nella contrada San Nicola poi, sono ancora ben visibili i resti di un santuario dedicato alla dea Dèmetra che insieme a Kore, sua figlia, presiedeva al ciclo della rinascita e della fertilità. ALBA E NELLA, LE DUE SORELLE GEMELLE Una leggenda secolare che sa un po’ troppo di fiaba, narra che il nome deriva da quello di due sorelle gemelle, Alba e Nella che, sposatesi con due giovani del luogo, diedero il nome all’abitato. Su un pianoro assai scenografico che domina il golfo di Salerno, si erge invece la chiesa di Santa Sofia, veneratissima in tutta la zona. L’edificio, seicentesco, sorge su una struttura più antica. Il culto per Sofia di Costantinopoli, si infervorò a seguito di eventi miracolosi. Si narra infatti che, in occasione della sua festività, il 15 di maggio, la Santa facesse sgorgare dal pavimento della chiesa, un’acqua miracolosa che spariva immediatamente in presenza di scettici. Un’usanza antichissima delle donne albanellesi legata a questa festività, è quella di lavarsi il viso con l’infuso di petali della rosa di Santa Sofia che cresce copiosa nella vicina oasi di Bosco Camerine dove potrete recarvi per una piacevole passeggiata. La leggenda racconta anche che la Santa in segno di riconoscenza verso il popolo albanellese, che l’aveva accolta e protetta dai suoi persecutori, volle lasciare loro, il segno di gratitudine e del suo passaggio un roseto, unico per bellezza e profumo, che unito ad altri fiori, e tra questi anche orchidee, che spontaneamente nascono nel Bosco, “certificano” la straordinaria devozione alla Patrona che hanno gli albanellesi. Una Rosa particolare quella di Santa Sofia, che, sempre da quello che si è tramandato da padre in figlio tra gli albanellesi, pare dalle sue foglie si estraesse un’essenza particolare: l’Elisir della Giovinezza; giovinezza per dire purezza e per coronare quel sogno a cui tutti ambiscono di voler restare giovani. “Santa Sofia” non è solo una varietà di rosa ma anche un vitigno molto pregiato. La santa sofia, appunto, che è stata sempre considerata come una specie varietale autoctona cilentana e spesso confusa con il fiano. Per il prestigioso enologo Sergio Pappalardo questa è un’altra occasione che Albanella potrebbe cogliere. “Non si tratta di un’uva straordinaria, – racconta – ma poiché non esiste un vitigno a bacca bianca bandiera del Cilento la santa sofia potrebbe ergersi a simbolo”. Per il momento gli albanellesi dovranno “accontentarsi” di nuove reliquie. I resti della santa, infatti, erano esposti in una cappella del Vaticano. Arriveranno a Albanella, che l’aveva scelta come patrona del paese sin dal 1630. Nel santuario a lei dedicata, promosso a «diocesano» da qualche anno, erano già conservati due pezzettini di osso appartenenti al corpo della santa. Alla collezione si aggiungeranno ora le restanti reliquie.
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