Il passo del vangelo proclamato domenica scorsa è una pagina lirica che assorbe il lettore, attratto dalla scena per la densità delle emozioni descritte, per le parole pronunziate, per le mani gesticolanti che i colori di Caravaggio hanno esaltato, per i volti che riflettono l’evoluzione del cuore umano che lentamente passa dalla tristezza alla gioia. Protagonista è il Signore sempre vicino nel pellegrinaggio della nostra vita, anche quando non sappiamo vederlo. È anche sintesi e parabola dell’Eucarestia con l’evocazione della liturgia della Parola, del gesto dello spezzare il pane, della decisione di ritornare a Gerusalemme per la missione dell’annunzio. Il tutto converge verso la locanda di Emmaus dove due discepoli intravedono il Risorto nelle sembianze del pane e del vino. Il viaggio era iniziato pensando alle delusioni e ai sogni suscitati da una esperienza unica per un incontro singolare con una persona speciale. Ma di quei giorni di luce e di gloria non era rimasto nulla, se non il cadavere di un crocifisso in una tomba sigillata, anche se cominciavano a circolare voci stupefacenti. I due sono delusi, si scambiano commenti nel descrivere gli eventi più significativi di cui sono stati testimoni. Ma cattura, condanna e crocifissione di Gesù hanno cancellato in loro ogni speranza di essere protagonisti di una grande storia. Si sentono frustrati. Lo avevano seguito credendo in lui, ma la sua morte è stata veramente la fine; era un profeta, compiva azioni colme di significato, ma i sacerdoti l’hanno consegnato ai romani, che l’hanno crocifisso. Sono ormai tre giorni, Gesù è morto per sempre; la vita di discepoli non ha più senso. Alla comunità del Nazareno non rimane che sciogliersi; ecco perché Cleopa e l’amico stanno ritornando a casa. Chiusi nei loro pensieri di dolore s’imbattono in un viandante che intesse il dialogo; poco dopo la sua partecipe empatia per l’evidente tristezza del loro animo stimola un barlume di speranza. Spiega il significato da dare al Messia sconfitto ricorrendo all’esegesi biblica che aiuta a dar senso persino alla croce. Queste parole scuotono i due, i quali costatano che il loro cuore aveva cominciato a battere di ardore, contagiato dalle affermazioni dello sconosciuto. L’esperienza è talmente coinvolgente da accendere il desiderio di continuare a godere della sua compagnia; lo invitano perciò a restare perché si fa sera. Entrati nella locanda ed iniziato il rito della fraterna ospitalità a tavola per un pasto frugale, questi compie un inconfondibile gesto: spezza il pane per condividerlo e gli occhi di Cleopa e del compagno si aprono. Riconoscono Gesù proprio nel momento che egli scompare. Diventa invisibile pur rimanendo con loro perché non è assente, li accompagnerà ora che sono impegnati a dare, trafelati, l’annunzio ai fratelli ancora chiusi nella stanza per paura. Diventano così nomadi per amore.
Il cammino dei due discepoli è anche quello dall’assenza alla presenza del Maestro percorso dall’umanità. Qual è la meta? Qual la verità dell’uomo e del mondo? È possibile fidarsi di Dio? Lungo la strada il Signore è presente anche se nascosto. Bibbia e avvenimenti di Gerusalemme si ritrovano nella Parola e i cuori si “riscaldano”, ma Cristo non è riconosciuto. Il libro scritto non aiuta a superare tutte le distanza; allora la Parola diventa pane spezzato e gli occhi si aprono. Non è solo un ricordo, ma un legame che fa accogliere il Verbo che riscalda il cuore. Il pane ricevuto è Cristo, la conoscenza autentica di Dio dona la vita, tutto aiuta a riconoscere il Vivente, culmine della rivelazione, che si può comprendere a pieno soltanto se si prende e si mangia. Come per la Samaritana: è Gesù che offre acqua viva e si fa invitare per comunicare il dono ultimo dello Spirito: “forza che viene dall’alto”.
Di tutto ciò sembra che nell’opulento Occidente sia rimasto ben poco. Perciò ci si dovrebbe rimettere in viaggio perché il giorno dei primati sembra nascondersi oltre la linea dell’orizzonte e per tanti in questa area del mondo, dalla ricchezza sfrenata e con insopportabili ingiustizie, veramente si sta facendo sera. Il Sole sembra tramontare! Per non rassegnarci e precipitare nell’oscurità della caverna della tragica irrazionalità che spoglia di ogni residua umanità, Papa Francesco si è impegnato in un difficile viaggio nel paese dove per millenni: “Fedi diverse si sono incontrate e varie culture si sono mescolate, senza confondersi ma riconoscendo l’importanza di allearsi per il bene comune”. Egli lo ha fatto armato di profondissima fede nell’unico Dio misericordioso sperando che l’esperienza secolare di civiltà e patrie mediorientali possa porre un freno agli spericolati protagonismi di chi a Washington continua ad optare per superati ed insostenibili unilateralismi e consentire agli operatori di pace nel mondo di venire a capo delle barbarie perpetrate da chi è precipitato in una indescrivibile barbarie. Sceso dalla cattedra, Bergoglio ha rotto gli argini di una prevedibile tensione invocando Francesco di Assisi, che otto secoli prima aveva incontrato Malik al Kamil. Il gesto ha reso subito credibili le sue affermazioni sul dialogo, mai «strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità». Il papa ha ricordato che tentare di giustificare l’odio omicida in nome della religione è una «falsificazione idolatrica di Dio». Non vi sarà pace senza adeguata educazione dei giovani rispondente alla loro natura chiaramente relazionale; risulta controproducente la tentazione d’irrigidirsi e chiudersi, occorre indagare tutto ciò che appare diverso, rendere fecondo il dialogo tra passato e presente grazie ad una intelligente ed accurata ermeneutica della storia per imparare che dal male deriva solo male e la spirale della violenza fa precipitare l’umanità nella caverna dove tutto è brutale. Su questa base si fonda il dialogo interreligioso che, senza secondi fini, valorizza l’identità, rispetta l’alterità e anima la sincerità delle intenzioni. È un’impresa che richiede pazienza per trasformare le rivalità in collaborazione, convinti che l’unica alternativa alla praticata civiltà dell’incontro è la tragica, ingiusta, dolorosa, mortale, inciviltà dello scontro.
Bergoglio lancia il suo messaggio dall’Egitto, la terra del Sinai, il Monte dell’Alleanza per ricordare che «la religione non è un problema ma è parte della soluzione perché invita a non adagiarsi in una vita piatta, infatti ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini dove domina la civiltà dell’amore. Perciò è giunto il momento di smascherare una volta per tutte la violenza travestita di sacro, denunciare perverse commistioni tra linguaggio religioso e atti di morte. Il bisogno dell’Assoluto iscritto nel cuore umano esclude «qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza, negazione di ogni autentica religiosità». Francesco, rivedendo il testo scritto che si riferiva in generale all’impegno dei leader religiosi, con un gesto di umiltà inteso a rafforzare il messaggio, sostituisce a “sono” un significativo, caritatevole ed incoraggiante «siamo» per esaltare come responsabilità di tutti la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica. Infatti la «fede che non nasce da un cuore sincero e da un amore autentico verso Dio Misericordioso» è «una forma di adesione convenzionale o sociale che non libera l’uomo ma lo schiaccia». A queste condizioni le religioni possono divenire volàno di pace in grado di amalgamare l’opinione pubblica mondiale ed impegnare gli uomini di buona volontà a combattere insieme povertà e arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate». Sono parole chiare pronunciate dal successore di quel Pietro al quale fu conferito il mandato di confermare i fratelli nella fede. Queste parole trovano un riscontro di efficacia se riscaldano i cuori freddi e i piedi stanchi nel cammino della vita.