La scorsa domenica protagonista del passo evangelico letto in chiesa è stato Tommaso. L’episodio è noto ed ha ispirato alcune delle opere pittoriche più belle e significative. La fronte corrucciata dell’apostolo dipinta da Caravaggio è un’icona che evoca ondate di pensieri, domande, rifiuti e riscontri di un uomo affascinato dal mistero di Gesù. Il vangelo gli attribuisce anche il nome di Didimo, che significa gemello e costituisce una sorta d’invito ad identificarsi con lui nella ricerca della verità. La sua condizione aiuta chi, attanagliato dal dubbio, ha bisogno di prove per venire a capo della propria incredulità.
Tanti si sentono partecipi di questa esperienza, al punto da potersi considerare nell’animo veramente gemelli dell’apostolo che vive indubbiamente un doloroso dramma interiore. Lo sconcerto determinato dall’esperienza della morte di Gesù e dalle prime voci di chi ha costatato che la tomba era vuota causano la reazione non solo fisica, ma anche mentale di Tommaso, posto di fronte ad una vicenda che risulta difficile da comprendere. Dopo l’esperienza traumatica della settimana precedente egli è deciso a rivendicare il diritto di vedere prima di credere e per questo motivo si sarà più volte posto l’interrogativo: Figlio della storia ed elaboratore di un mito questo Gesù?
La domanda ritorna sovente nell’animo di chi è consapevole che la verità si cinge sempre di molteplici trame e disegni. Oltre al mero fatto, in essa è possibile rinvenire anche miti fondativi, leggende popolari o i vertici del sublime poetico. Infatti, la verità ricorre a tutti questi strumenti per esprimersi: se necessario, per farsi capire, non disdegna la musica, la danza o perfino silenziose ispirazioni. Tommaso è angustiato al pensiero di poter precipitare in due trappole contrapposte: ridurre la verità al suo aspetto di mero avvenimento, rassicurante certezza per chi idolatra l’inespugnabile oggettività dei fatti, ritenuta fortezza inespugnabile grazie a presunte evidenze; oppure dubitare di tutto o credere in una verità impalpabile, frutto dell’angoscia di un pensiero che, nonostante le pretese, non è mai solare, ma sempre soggetto agli umbratili condizionamenti del dubbio, senza ancoraggio nella storia, disincarnata dall’io pensante, di cui alla fine sarebbe il prodotto.
Tommaso non sa a cosa credere anche perché aveva amato Gesù di vera amicizia, aveva apprezzato la sua bontà, ammirato la santità dei suoi sogni e la sua portentosa intelligenza, anche se a volte accompagnata da gesti provocatori che si scontravano col buon senso che non abbandonava mai lui, ancorato alla lettera della Legge. Come devoto discepolo, gli era rimasto vicino nonostante la distanza delle idee, ma la crocifissione era stato il colpo definitivo per le sue speranze. Dopo quell’orrendo spettacolo aveva sentito il bisogno d’isolarsi. Durante il primo giorno della settimana, quando aveva fatto ritorno nel luogo dove si erano rintanati gli altri, nota che i suoi compagni sono felici perché dicevano di aver visto segni prodigiosi. Egli aveva reagito in nome della ragione contro le pretese di una fede evidentemente credulona che pretendeva reale un fatto così distante da ogni prospettiva di umana razionalità. Ma otto giorni dopo, nello stesso ambiente il Risorto si rivolge al discepolo più polemico e lo invita a constatare offrendo a Tommaso la prova da lui sollecitata la settimana precedente. Consapevole di quanto sta avvenendo, Didimo evoca il suo Signore in una esclamazione di fede personale, una fede a porte chiuse, ancora non aperta agli altri, alla comunità.
La testimonianza tormentata di Tommaso costituisce una preziosa guida anche per il Didimo odierno desideroso d’iniziare la ricerca sul Gesù storico nella convinzione che il racconto elaborato dalla tradizione orale costituisce l’unico ed autentico tramite per conciliare le conoscenze circa il Cristo del dogma e l’uomo Gesù. Nonostante le apparenze di un diffuso disinteresse della società liquida, Cristo ancora attrae l’uomo il quale, nel chiuso della propria coscienza, si dibatte tra le esigenze di una solare elaborazione intellettuale e i toni sfumati, ma caldi e corroboranti, di un approdo verso una fede fiduciosa.
Questo Didimo alla ricerca della verità che salva da un quotidiano che angoscia deve porsi alcuni problemi circa il senso della vita, immaginare di vedere di fronte a sé una grande bilancia, da una parte illuminata da un sole meridiano, dall’altra da una penetrante luce mattutina. Sul primo piatto scorge la Legge e tutte le situazioni che essa evoca, soprattutto il bisogno di giustizia giusta, realizzata col dare agli altri in proporzione a quanto si è ricevuto, occhio per occhio insomma, il solo modo realistico per convincere gli uomini a non compiere il male; sull’altro intravedere abbracciati il padre prodigo di amore ed il figliuolo bisognoso di perdono, il pastore con una pecora sulle spalle, il mercante con una perla in mano. Riflettere su questi aspetti può dare la sensazione che, dopo la fede. anche l’intelligenza soddisfatta è partecipe della beatitudine di coloro che credono senza vedere.
Nella Galilea delle genti, come è oggi diventato il mondo, è possibile sperimentare la dimensione più profonda e persistente dell’insegnamento del Maestro di Nazaret. Dio l’ha fatto risorgere per illuminare appunto questa prospettiva di vita. Limitarsi ad annunciare di aver visto non toglie la paura, né suscita la fede. E’ necessario sentirsi mandati, accogliere il suo Spirito per aprire finalmente le porte della propria anima, ascoltarlo quando invita a vivere come Lui. Per questo motivo credere non è il semplice gioire alla sua vista, ma mettere la propria mano dentro la sua vita per imitarlo; infatti, il Risorto non è colui che convince con un ragionamento, ma colui che domanda: Mi ami? Amare è un seguire anche dopo aver compreso che può essere rischioso. L’esperienza del Risorto non toglie la fatica di vivere in un contesto che arreca dolore, angoscia e morte ma, nonostante i dubbi, le esitazioni, i difetti, le cadute e le brusche fermate essa costituisce l’unica praticabile risposta al suo invito: Tu seguimi!”