CAPACCIO. Infastiditi come siamo dal fenomeno migratorio che sta investendo lo stivale, si accantona sempre più l’immagine dei nostri cervelli in fuga. Stando ai dati della Fondazione Migrantes i flussi dall’Italia sono cresciuti del 49%, ridimensionando i dati all’affollamento serale di Piazza Tempone si può dire che circa il 15 % della popolazione con età compresa tra i 24 e 30 anni ha preparato le valige ed è andato via, scontento e anche un po’ sconfitto, alla ricerca del proprio angolo di mondo. La retorica speranza di un lavoro civilmente riconosciuto come tale, la libertà di comprare un’ auto e pagarla un po’ alla volta, la serafica sensazione di aver iniziato a costruire una regolare vita di dignità fisica e intellettuale. E’ questo che si cerca, altrove.
Parliamo con qualcuno di questi ragazzi che con la loro assenza ha mestamente decimato il belvedere capaccese.
Il più grande d’età è Enzo Marino (30 anni), ci pensa per 2 mesi prima di partire, sebbene il suo lavoro inizi a dare soddisfazioni, decide di scommettere su se stesso e andare in Francia. Trova subito un’occupazione e inizia a placare i suoi dissidi da ragazzo grande. Dopo qualche tempo chiama, come ogni sera, suo fratello che pure era dell’idea di partire, per la Svizzera magari, dove già c’è il suo amico Pasquale, disposto ad ospitarlo. << Oi Marco, vuoi venire qui in Francia a lavorare … domani?>>.
Marco Marino (26 anni), già aveva chiesto ad un’amica “I fiori del male” di Baudelaire con testo a fronte, per iniziare a simpatizzare con la lingua francese. Coglie l’occasione offertagli dal fratello Enzo, parte il 27 giugno 2015 e il 29 già lavora. Si sente beatificato Marco : “Mamma mia, neanche devo cercarmelo un lavoro! “, dice. Tre mesi di contratto determinato per prova e un contratto a tempo indeterminato dopo, Marco non ha più paura di muovere i passi importanti della vita e con un piccolo contributo da parte dei genitori per le spese burocratiche, compra casa a Bourg Saint Andeol.
Emma Corradino (28 anni), in Italia lavorava tanto e guadagnava poco, non riusciva ad essere autosufficiente, ha provato ha cercare qualcosa di diverso, ma la canzone era sempre la stessa e decide di partire. Ora vive a Reconvilier (Svizzera), sta realizzando i suoi sogni, lascia l’Italia, i genitori, il fratello e la sorellina col groppo alla gola, se ne dispiace, ma il suo futuro oramai lo vede oltre le Alpi.
Pasquale Di Filippo (24 anni), compagno di Emma, in Italia gestiva una stazione di servizio con la madre e, lavorando 12-13 ore al giorno, riusciva ad essere autosufficiente sì, ma rinunciando a tante cose e tirando la cinghia per arrivare al 30 del mese. Specifica che in Svizzera non solo riesce ad ottenere la sua autonomia ma ha anche la possibilità di specializzarsi nel settore in cui lavora.
Da qualche tempo anche Carmine Sabia (30 anni) è in Svizzera, a Yverdon Les Bains per la precisione. In Italia, nonostante la sua qualifica di Sommelier-mixologist, era senza lavoro da 5 mesi. Le sue occupazioni precedenti erano sempre precarie, i contratti sempre molto fantasiosi. A meno di 3 mesi dalla sua partenza ha già un contratto a tempo indeterminato, con ferie ed extra opportunamente pagati, ha già ottenuto un Permesso di Dimora B, che gli permette di poter chiedere finanziamenti, di poter comprare casa e mettere in atto altre operazioni di questo genere e ha la valenza di 5 anni.
Torniamo in Francia.
A fare compagnia ai fratelli Marino c’è anche Enrico Accarino (24 anni), partito per la Francia un anno e mezzo fa. Anche lui in Italia ha sempre lavorato tutti i giorni senza vedere il filo conduttore che dovrebbe collegare il dovere al diletto, ora non ha trovato l’America ma riesce a trovare un senso alle fatiche e ai sacrifici di un ventenne emigrato. A lui manca tantissimo Capaccio ma non viene nemmeno sfiorato dall’idea di rinunciare alla sua attuale posizione di placida serenità.
Poi c’è Maria Lucia Gioia ( 27 anni), partita da Capaccio poco meno di un anno fa, anche per lei la scelta è stata abbastanza tempestiva, giusto il tempo di trovarsi una sistemazione e subito raggiunge il suo compagno, anch’esso capaccese emigrato . In Italia riusciva a vivere di quello che guadagnava, ma il gioco non valeva la candela. Si è sistemata a Mulhouse e le interminabili ore di lavoro a nero nel settore alberghiero che faceva qui, sono solo un rabbioso ricordo. Rammenta ai colletti bianchi del territorio che Capaccio Paestum ha tutte le carte in regola per dare un futuro ai giovani ma la gestione non è delle migliori, ad essere gentili.
Tirando le livide conclusioni, questi ragazzi hanno dovuto affidare il loro destino ad un’altra bandiera, scrivendolo possibilmente in un’altra lingua, non la loro. Altrove hanno trovato lavoro, diritti, lezioni di civiltà. Amano Capaccio Paestum ma quasi tutti non vorrebbero più tornarci, perché qui la strada del decoro economico e sociale è tutta in salita. In pochi seguiranno le imminenti elezioni amministrative e al prossimo sindaco fanno un ironico in bocca al lupo, con loro Capaccio perde un valore aggiunto, menti e braccia allegre ed instancabili.
Il loro “altrove” ora sono i Giardini con i suoi bar, piazza Orologio, le vie cadenti del Lauro, i rintocchi puntuali della torre campanaria. Il loro “altrove” ora sono anche gli amici da riabbracciare a Natale, il vino di famiglia, il carnevale un po’ trash, la quaresima da ossequiare, la raccolta delle olive e i ragù della domenica. Sono giovani, hanno il dono del cambiamento stretto fra le mani e costruiranno di sicuro nuove meravigliose tradizioni, ma loro si chiedono se era proprio necessario viaggiare per costrizione e non per diletto e non contribuire alla macchina economica della propria terra e a proposito di questo, se tutti in massa decidessero di partire, se tutte le contrade si decimassero di ragazzi, com’è accaduto al capoluogo (è una previsione tutt’altro che immaginifica), cosa se ne faranno i cittadini rimasti, oramai rugosi, delle colonne doriche, del mare, delle terre fertili, delle testimonianze barocche, dei carciofi cotti in umido e della mozzarella di bufala?