L’iconografia devozionale ci ha trasmesso l’immagine di San Giuseppe come anziano sposo della Madonna, padre putativo di Gesù con la barba bianca ed il bastone fiorito con rami di biancospino, secondo alcuni, con gigli candidi, secondo altri. La Chiesa accredita per lo più l’immagine del giglio. E giglio sia. Il “lilium candidum” è un fiore conosciuto sin dall’antichità. Plinio lo descrive così: “È di un candore straordinario … I gigli bianchi si riproducono esattamente in tutti i modi della rosa. La loro fecondità è eccezionale, giacché una sola radice mette spesso fino a cinquanta bulbi”. E, proprio grazie alla sua fecondità, divenne un attributo della Magna Mater e fu considerato un fiore sacro nei culti femminili. Uno dei tanti miti greci, riferiti ad Ercole, narra che quando la madre Era, si denudò il petto per allattare il bimbo, forzuto già in fasce, addentò i capezzoli e vi si attaccò con tanta forza che la dea, gemendo per il dolore, lo allontanò da sé, mentre uno zampillo di latte volava verso il cielo trasformandosi nella Via Lattea ed un altro cadeva verso terra mutandosi in giglio. Forse anche per questo nel nostro territorio pestano e velino, che sa di Grecia, sulla sabbia, a margine di mare, è diffusa la fioritura dei “gigli di mare”, bellissimi e profumati: una scheggia di poesia a rifrangenza di smeraldo di mare nel segno del mito! Anche nell’Antico Testamento il giglio ha ispirato i simboli della Bellezza e della Fertilità, non che quello della Fioritura spirituale dell’anima e del cuore. Straordinariamente belle e cariche di coinvolgenti metafore poetiche sono i versi del Cantico dei Cantici: “come un giglio tra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle… I tuoi seni sono come due cerbiatti gemelli di una gazzella, che pascolano tra i gigli… Le sue labbra sono gigli che stillano fluida mirra… Il tuo ventre è un mucchio di grano circondato da gigli”. Questa sposa è destinata a fiorire. E così canterà il profeta Osea: “Sarò come rugiada per Israele: essa fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano”. E questo simbolismo spirituale è più evidente ed esplicitato in Siracide, che scrive: “come un incenso spandete un buon profumo, fate fiorire i fiori come giglio”. A proposito di San Giuseppe, la leggenda dello Pseudo Giacomo si modificò ricalcando per analogia un episodio del Vecchio Testamento. Quando il Signore fece fiorire fra i dodici bastoni consegnati a Mosè dai capi delle tribù quello di Aronne, che così venne scelto con i suoi discendenti per esercitare il sacerdozio. E Giuseppe discendeva dalla tribù di Aronne, appunto. E proprio per questo, a partire dal XIV secolo fiorì anche nei quadri il bastone di Giuseppe disegnando gigli per significare la sua purezza e nello stesso tempo la sua Ubbidienza alla volontà divina. Ma in questa tradizione leggendaria è coinvolto anche il mandorlo, che è il primo albero a fiorire e ad annunziare il ritorno della primavera. Ed io ho un ricordo dolcissimo di un mandorlo che, nell’orto sugli abissi di un dirupo di fronte alla casa al paese dove nacqui e trascorsi l’infanzia, guerreggiava con le tempeste e mi faceva tenerezza spoglio ed infreddolito durante l’inverno. E mi incantavo a vederne lo spettacolo quando a gennaio la neve ne infiocchettava i rami. Ma ancora più bello oltre che profumato era quello che mi offriva verso fine febbraio con la velatura bianco/rosata. Io lo salutavo festante dal terrazzo di casa perché mi annunziava l’arrivo della primavera che schiumava, a distanza, sulla battigia del mare di Paestum e pensavo a Venere che nasceva dai garofani dell’onda litaniante con il sottofondo di una nenia d’amore. E all’ombra del mandorlo in fiore stampai sulle labbra della mia prima fidanzatina e mi ubbriacai di profumo di bellezza e mi sentii tanto Cupido ed Eros del mito, che avevo già interiorizzato sui libri di scuola. Poi nel mio vagabondaggio di curiosità d’amore e di cultura scoprii che in ogni paese del Cilento c’è un mandorlo che è punto di riferimento di una contrada o di una stazione di sosta. A Salerno, c’è una piazza, su in cima alla città, che faceva e fa da capolinea ad un autobus. La località si chiamava e si chiama “La mennola”. Nei pressi c’era, e credo ci sia ancora, la biblioteca provinciale e “la mennola” fu testimone di una breve ma intensa storia d’amore con una bella collega d’università, mentre preparavamo insieme gli esami di Latino. Avemmo la complicità della Lesbia di Catullo e della Lidia di Orazio, Potenza della poesia!!! Ma torniamo al Vecchio Testamento. Il libro dei Numeri scrive che Mosè ripose i bastoni davanti al Signore nella tenda della Testimonianza dove fiorì quello di Aronne che “aveva prodotto germogli, aveva fatto sbocciare fiori e maturato mandorle”. E non a caso il frutto del mandorlo, la mandorla, ha ispirato fin dall’antichità simboli divini perché essa interpreta l’essenziale nascosto sotto l’apparenza, ovvero il vero cuore dell’essere. Infatti non è facile raggiungere la candida polpa croccante. Bisogna prima aprire il mallo carnoso e verdastro, poi rompere la corazza legnosa ed infine togliere la pellicina. Solo allora apparirà e si potrà gustare il frutto denso di oli e di profumi. Oh la bellezza della poesia che svela i misteri delle piante e dei frutti!
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