di L. R.
La scorsa settimana sono stati in azione a Vallo ed hanno lasciato una scia di guasti materiali che hanno proiettato nella cittadina l’immagine di cosa è capace l’individuo legato ai meandri più oscuri del XXI secolo. Un branco di otto individui in pochi minuti ha arraffato dell’oro nella Cattedrale di Vallo. Ben poca cosa, rispetto alle aspettative di arricchimento, agli sforzi fatti per la preparazione del colpo ricorrendo ad inusitata violenza – a giudicare dal numero di automobili parcheggiate nei pressi della chiesa e danneggiate – non è corrisposto un consistente bottino.
La dinamica dell’impresa criminosa è stata descritta dalla stampa locale e regionale. Gli abitanti della cittadina cilentana, dopo lo sconcerto dei primi giorni, hanno dato la giusta valutazione all’accaduto. Al dispiacere per la perdita di oggetti ai quali era legato il sentimento di tanti è corrisposto il convincimento di non essere stati privati del vero valore degli ex voto. I delinquenti nella loro pochezza interiore non sono riusciti a inficiare i simboli che quegli oggetti rappresentano, vale a dire il dialogo convinto e rassicurante del bisognoso che si rivolge al santo perché interceda presso Dio. Ciò fa cogliere il livello di degrado raggiunto da tanti precipitati nel buco nero della cosificazione del sacro. Chi adora il vitello d’oro da sempre viene deprivato del senso profondo della propria umanità. La Chiesa Cattedrale di Vallo non è stata resa povera perché privata di collane, orologi, spille, anelli; il loro vero valore si misura per ciò che riescono ad evocare: volti, mani, sembianze di uomini e donne assillati da problemi spirituali, ristrettezze economiche e dolorose malattie e dai quali non riescono a venir fuori. Per questo, seguendo l’invito del Vangelo, cercano conforto e sostegno in chi ha realizzato nella propria vita le Beatitudini trasformandosi in sale che dà senso all’esistenza e in luce che illumina la comunità.
La cittadina ha avuto l’opportunità di riflettere sul messaggio agiografico collegato alla vita del taumaturgo Pantaleone, medico anargiro. Egli ha esercitato gratuitamente la sua professione con una tale generosa determinazione da essere annoverato tra i 14 santi intercessori più famosi nel Medio Evo sia presso la Chiesa Orientale che presso la latina. La sua biografia presenta parecchi riscontri con la situazione odierna, per cui è un santo veramente attuale per il suo messaggio.
Educato dalla madre cristiana, non è battezzato; il padre, pagano, decide per lui la professione di medico. Vive, quindi, una situazione di multiculturalità come quella che contraddistingue oggi tanti giovani. Il presbitero Ermolao gli fa conoscere il vangelo; comincia ad operare in coerenza con gli insegnamenti ricevuti trasformandosi in luce e sale per chi l’incontra. Persino il padre si converte in punto di morte. Rimasto solo, distribuisce il patrimonio ai poveri ed esercita gratuitamente suscitando l’invidia dei colleghi e l’intervento del potere, rappresentato dall’imperatore. Questi per riconquistarne la fiducia lo blandisce, ma il giovane medico rifiuta ogni profferta, anche a costo del martirio. I suoi sono i tratti di una vita troncata dal fil di spada.
Il Passio presenta Pantaleo come un martire intrepido, un taumaturgo che conforta ed infonde fiducia. La scelta di vita corrisponde al nome di Pantaleémon che si vede assegnare; così si trasforma in rifugio per gli sballottati dalle tempeste della vita, in consolatore degli afflitti, in protettore degli oppressi, in medico dei malati nel corpo e nello spirito.
Sono le perle di una vita spesa per Cristo il vero tesoro di San Pantaleone che né i poveri untorelli in azione la notte del primo febbraio, né altri possono con prepotenza e sicumera togliere alla comunità. La capacità di specchiarsi nell’esempio del santo per trasformarlo in vita vissuta nelle esperienze quotidiane costituisce il punto di forza della cittadina per nulla impoverita dalla sottrazione forzata di pochi monili se è capace di rimanere fedele al suo protettore.