di Giuseppe Liuccio
L’ondata di freddo della prima metà e passa di gennaio non ha incoraggiato le scampagnate fuori porta nei weekend. Ho preferito rincantucciarmi nel caldo di casa con i termosifoni a tutto vapore ed ho ritrovato il piacere della lettura con due testi belli e di scottante attualità: il De officiis di Cicerone e La vita liquida di Zygmunt Bauman. Il grande oratore latino dedicò il saggio al figlio, come eredità di lezione morale a conclusione di una vita intensamente vissuta. “Come conciliare l’utile con l’onesto?” E’ la domanda fondamentale, la cui risposta riguarda direttamente i compiti e le prerogative dell’uomo e che Cicerone si pone, per l’uomo/civis in generale, ma soprattutto per chi ha in mano il governo della città. Il saggio si lascia apprezzare già nel titolo, che, nella traduzione, va oltre il tradizionale generico “Sui doveri” per il più problematico ed impegnativo “Quel che è giusto fare”. La forza dell’etica della responsabilità è nelle parole conclusive dell’autore: “Chi ha incarichi pubblici deve capire che indossa direttamente la persona (questo il nome latino della maschera). “Egli è perciò obbligato a sostenerne l’onore e la dignità, preservandone le leggi, né può “scordarsi” di ciò che è affidato alla sua credibilità”. In giro oggi la categoria conta e, spesso, esalta parecchi smemorati. Purtroppo!
Ho riletto, poi, il saggio di qualche anno fa “La vita liquida” di Zygmunt Bauman, scomparso di recente. Il sociologo, filosofo/politologo di origini polacche, ma conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, vi teorizza “il liquidismo” applicato a tutti i comportamenti dell’uomo ma che è diventato attualissimo nell’analisi della vita politica. Noi, infatti, viviamo in una società di disvalori, in cui si privilegia più la vanità dell’apparire che la concretezza dell’essere. E’, forse, una eredità dura a morire nei comportamenti sociali, nonostante la grave crisi che ci attanaglia e che ci dovrebbe rendere più pensosi e responsabili. Nella società in perenne vorticoso cambiamento mancano, perciò, punti di riferimento certi e solidi. Tutto è fluido ed insicuro. E, come se non bastasse, sulla cancrena della malapolitica irrompe, poi, impetuoso lo tsunami devastante dell’antipolitica vociante, arrogante ed urticante senza uno straccio di proposta.
E tutto perché manca una diagnosi seria in grado di prescrivere una terapia d’urto da parte della POLITICA, che non riesce a diventare MAIUSCOLA immiserita nel bla-bla balbettante delle nuove aggregazioni nella gara poco creativa di nomi nuovi (discutiBIli anche questi) ma di personaggi vecchi e, spesso, irreparabilmente e pesantemente compromessi e, pertanto, poco credibili e per niente affidabili. L’esercizio più praticato e diffuso è concentrato sul restauro del passato, come operazione di facciata, e spacciato per futuro (penso al trionfo multicolore/arlecchinata delle liste civiche): Il vecchio che avanza nella gara patetica dell’USATO SICURO!!! Urgerebbe, invece, una sana e seria rivoluzione delle coscienze in grado di terremotare nel profondo i singoli e la collettività con idee/progetti capaci di gonfiare cuore, anima e pensieri per RIFONDARE LA POLITICA e, conseguentemente, LA SOCIETA’.
E, mai come in questo momento, ci possono essere di aiuto i saggi/lezioni di Cicerone e Bauman, il primo per educarci all’ETICA DELLA RESPONSABILITA’ come semplici cittadini o come, per quelli che lo sono, responsabili del governo delle collettività.
La società italiana è fluida e spesso sfugge a controlli ed analisi per la rapidità dei mutamenti. Se scendiamo nello specifico della nostra realtà territoriale, quella cilentana, ad esempio, registriamo la quasi impossibilità di incasellare in categorie più o meno credibili le schegge, spesso impazzite, della rappresentatività sociale ed economica. La politica (!?) locale o non si pone il problema o è incapace di farne una lettura accurata. Eppure non è più tempo di gestire stancamente l’esistente, all’insegna della piatta routine della quotidianità. Urge uno scatto di orgoglio ed un guizzo di fantasia per una radicale rivoluzione, se si intende costruire un futuro minimamente competitivo sui mercati. Di qui la necessità di eliminare, in primo luogo, la frattura fra i due mondi, agricoltura e zootecnia, da un lato, e turismo, dall’altro: e si tratta di una frattura profonda. Tra i due mondi ci deve essere, invece, un proficuo e duraturo rapporto di dare e avere. E la strada per raggiungere l’obiettivo è quella di una infrastrutturazione di servizi nel segno della cultura. Anche per questo mi permetto di suggerire ai candidati, impegnati alla conquista di uno scranno di governo delle città impegnate nelle elezioni della prossima primavera la lettura dei due saggi. Ne potrebbero avere spunti e suggerimenti utili. Ne potrebbe e dovrebbe, trarre spunti anche e forse soprattutto IL PARCO per ipotizzare un Laboratorio di idee, una due giorni di dibattito/confronto tra Enti Territorali, imprenditori, intellettuali e società civile per pervenire all’elaborazione di un credibile “PROGETTO CILENTO”. Sarebbe un evento utile e necessario, rivoluzionario nella sua normalità, se Parco e Fondazioni rinunziassero alla pretesa dell’AUTOSUFFICIENZA. Ma l’umiltà ed il dialogo/confronto non sono qualità degli uomini di potere, che preferiscono l’IO al NOI. Purtroppo!