Ho focalizzato di recente la mia attenzione sulle pagine prestigiose di storia europea scritte nel e dal nostro territorio ed ho promesso che farò una ricerca diligente per riscoprire ed esaltare l’EUROPA CHE È IN NOI”, come orgoglio di identità e di appartenenza. Ne avverto la necessità proprio nel momento in cui l’Europa, intesa come UE, conosce uno dei momenti più drammatici della sua storia. Comincio con Paestum, come è giusto che sia, ma poi verrà Velia e la sua scuola filosofica, Agropoli e il suo”ribat”, Amalfi e la sua Repubblica, Salerno e la scuola medica, Palinuro il Grand Tour e la letteratura di viaggio. Padula e la sua Certosa, l’emigrazione ed il meticciato/ibridazione della cultura, ecc. ecc. Per Paestum ho recuperato, sul tema, una mia vecchia riflessione pubblicata il 7/10/2015, che, alla luce degli ultimi episodi evidenziati, in negativo, a distanza acquistano quasi valore profetico. Le sottopongo alla lettura attenta di quanti già si scaldano, sulla linea di partenza, per cingere la fascia tricolore di primo cittadino.
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Nel corso degli anni ho scritto molto su Paestum, che ho considerato e considero la mia Itaca, il mio “paese” dell’anima. E mi sono posto una serie di domande sul suo passato, sul suo presente e sul suo futuro, quando la città era impegnata nelle campagne elettorali per eleggere le nuove Amministrazioni Comunali e, soprattutto, mi sono sforzato di dare risposte nei limiti delle mie possibilità e capacità. Me ne è rimasta una, che mi piace riproporre ora che la campagna elettorale per le elezioni amministrative della prossima primavera è già in atto. Eccola. Come valorizzare ed esaltare a livello nazionale ed internazionale il ruolo di Paestum nella direzione della cultura come storia e tradizione consiglia e consente, nella piena consapevolezza che il territorio è, sì, gloria nostra, ma anche e soprattutto CITTÀ/MONDO per il ruolo che ha recitato nel passato ed è destinato a recitare nel futuro? Per una risposta completa e minimamente convincente, il discorso va preso da lontano.”Nulla è più prezioso dell’acqua (ariston men udor)”- cantava Pindaro nella prima olimpiade. E dovettero pensarla così anche i nostri antenati greci, quando, sulle rotte del Mediterraneo, approdarono nella pianura e vi fondarono Posidonia. Il Sele, a nord, la divideva dagli Etruschi e costituiva una naturale barriera contro possibili invasioni. A Sud, invece, c’era il Solofrone, il cui corso pacioso dalla portata limitata consentiva facili trasmigrazioni/espansioni verso i promontori di Agropoli e Tresino. La cinta dei monti lussureggianti di boschi secolari, alle spalle, era un ostacolo non facilmente sormontabile dalle bellicose popolazioni italiche, prima, e lucane, poi, che cercavano uno sbocco al mare. Comunque quei fiumi ed altri corsi d’acqua, Capodifiume innanzitutto, hanno consentito fecondità alla pianura sin dall’antichità. Forse anche per questo i Nostri Padri dedicarono templi e culti religiosi alle dee delle messi (Magna Mater, Iside, Era, Proserpina, Demetra, Cerere, Pomona, ecc). Pertanto anche un discorso sull’agricoltura, che è e resta un settore trainante dell’economia del territorio, non può prescindere dal recuperare e dall’esaltare queste origini sacre, nel segno della ritualità, del mito e della cultura.
D’altronde qui, nella pianura, tutto ci parla di grecità (mito, storia, testimonianze archeologiche, ecc.). Alla Foce del Sele approdò, pare, Giasone con il prezioso carico del vello d’oro, perseguitato dal rimorso/incubo di Medea e propiziò la protezione di Era Argiva, dedicandole un tempio.. Successivamente più a sud nella pianura fu l’approdo degli Achei con il pietoso carico del pantheon di lari e dei: ancora Era, che fu, poi, Cerere e Cibele, ma anche Nettuno, dio del mare e Minerva, della dell’intelligenza, e Venere, dea della bellezza e dell’amore, come testimoniano metope votive e pitture vascolari. E nei templi si riunivano ogni anno i Posidoniati, come ci racconta lo storico Ateneo, per rievocare e celebrare, nella malinconia del ricordo, le loro origini: “Ai Posidoniati del golfo Tirrenico, Greci d’origine, avvenne di imbarbarirsi diventando Tirreni o Romani e di mutare la loro lingua e molti dei loro costumi; ma ancora oggi essi celebrano una delle antiche feste dei Greci, nella quale si ritrovano per ricordare gli antichi nomi e le antiche usanze, e dopo essersi compatiti e compianti a vicenda, se ne vanno”.Quel clima di recupero di orgoglio e di identità dei nostri primi Padri noi lo abbiamo appannato di molto, se non addirittura perduto e cancellato. Forse ne resta vivo il ricordo in una piccola minoranza elitaria, sempre più piccola e sempre più elitaria che, chiusa nella sua torre d’avorio, frequenta biblioteche e libri storici e raramente dimostra la predisposizione a “sporcarsi” con la politica. Dovrebbe essere ,invece, abitudine di vita e pregnanza culturale di tutti, soprattutto dei giovani e, ancora di più, degli operatori turistici che su quella storia e sulle relative testimonianze archeologiche fondano le loro fortune economiche con una offerta di qualità e di assoluto spessore culturale. Farebbero bene ad impegnarsi in una riflessione ed agire di conseguenza, nella consapevolezza che anche quella che è stata definita, con un linguaggio riduttivo se non addirittura sprezzante, una “catena di montaggio del matrimonificio” può vantare origini di nobiltà proprio da questa storia.
Credo di sfondare una porta aperta se penso e sostengo che Sindaco ed Assessore alla Cultura ed al Turismo ancora in carica e quelli che verranno dovrebbero puntare il massimo dei loro sforzi su questo settore esaltandone la qualità dell’offerta nel segno della cultura e della storia. Da un anno circa è stato nominato dall’onorevole, Dario Franceschini, Ministro dei Beni Culturali, un nuovo Direttore del Museo e dell’Area Archeologica.. Si tratta di Gabriel Zuchtriegel, professore alla Università della Basilicata. È giovane, 34 anni, motivato, molto professionale, di origini tedesche e, quello che più conta, lontano dalla beghe paesane. Offre, quindi, ampia garanzia di impegno per un rilancio dei Beni Culturali del territorio. Ho avuto con lui, di recente,un proficuo scambio di idee su passato, presente e, soprattutto, futuro di Paestum. Ne ho avuto una buona impressione ed ho messo da parte qualche prevenzione negativa, frutto di disinformazione . È una bella intelligenza, vivace e creativa. Dotato di determinazione e di legittima ambizione quanto basta, darà un impronta decisiva per rilanciare il ruolo di Paestum in Italia e nel mondo, come storia e tradizione consiglia e consente. Glielo auguro e me lo auguro per l’amore che mi lega alla mia terra di origine. Mi auguro, poi, fortemente che i nuovi amministratori (soprattutto sindaco ed assessore alla cultura ed al Turismo) stabiliscano un rapporto di fecondo lavoro con lui nell’interesse della crescita dell’intero territorio di Capaccio Paestum e della sua kora. Ripeto quello che ho già scritto in altre occasioni. Non è più il caso di amministrare stancamente l’esistente nella routine della quotidianità. Occorre “cambiare passo e volare alto” con una progettualità di livello, di caratura e di spessore internazionali. Ed è quanto mai necessario poter disporre di uomini adeguati alla bisogna. Credo che Capaccio/Paestum abbia più che mai bisogno di un Sindaco e di un’Amministrazione Comunale con queste ambizioni e che mirino non tanto, o non solo, a VINCERE la competizione elettorale quanto a GOVERNARE nel migliore dei modi il territorio Buon lavoro, quindi a tutti:candidati sindaci (anche se a mio giudizio sono troppi), all’esercito degli sgomitanti aspiranti consiglieri comunali, al nuovo giovane e promettente Responsabile dell’Area Archeologica, agli operatori turistici tutti, ma soprattutto ai più aperti e sensibili alla cultura, a tutta la più vasta società civile… A tutti formulo i più affettuosi auguri di Buon Natale e di Felice Anno Nuovo. E a tutti sottopongo la lettura meditata di questa poesia del grande COSTANTINO KAVAFIS, che rievoca, anche lui, la testimonianza di Ateneo, a cui ho fatto riferimento in precedenza, nella speranza di non doverci rattristare anche noi nella constatazione di esserci ulteriormente imbarbariti, rinnegando o, comunque, non valorizzando le nostre prestigiose radici culturali.
POSIDONIATI
La lingua greca i Posidoniati/l’obliarono, mischiandosi per secoli/con i Tirreni, i Latini e altri stranieri./Tutto ciò che rimane loro di ancestrale/era una festa greca, con cerimonie splendide,/con cetre e flauti, con corone e giochi./Verso la fine della festa erano soliti/raccontarsi le antiche tradizioni,/e ripetere quei nomi greci/che a stento pochi ormai capivano/.E la festa finiva sempre nella malinconia./Perchè si ricordavano che anche loro/erano Greci- anche loro Magnogreci, un tempo:/e ora come erano decaduti, come erano arrivati/a vivere e a parlare come i barbari,/sradicati (ahiloro!) dalla grecità.