di Giuseppe Liuccio A volte la toponomastica, anche o, forse, soprattutto quella popolare, offre indicazioni preziose per scoprire avvenimenti che la storiografia ufficiale e colta trascura. Questo vale soprattutto per i territori del Cilento, dove incursioni vandaliche, dominazioni e rapine, da un lato, e incontrollati eventi naturali, dall’altro, hanno sconvolto, nei secoli, i centri abitati cancellando testimonianze importanti di civiltà. Nei pressi di Sacco, là dove la strada si inerpica verso la Sella del Corticato, che fu teatro di taglieggiamenti e truci misfatti del brigantaggio, sorge una località nota con il nome di Zatalampe. E’ un termine di origine greco-bizantina e significa “cerco la luce”. Qui si stabilì una comunità di monaci greci e vi fondò la Chiesa di San Nicola, i cui ruderi, poveri scheletri di muraglia nella campagna disabitata, dominano dall’altura il percorso del Sammaro, che, zigzagante, attraversa verdi colline e campi coltivati prima di ingrossare le acque del Calore. Un tempo fu meta di pellegrinaggi di fedeli alla ricerca della luce dello spirito. Fu il primo insediamento, di una certa importanza, dei monaci orientali giunti nel Cilento o in pellegrinaggio sulla tomba di San Matteo, nella chiesa “ad duo fulmina”, alla confluenza del Palistro con l’Alento, o come “cappellani militari” al seguito di Belisario nella guerra gotica. I Goti si asserragliarono a Magliano e ne fecero il loro centro fortificato a dominio del Cilento interno. Oggi il paese, in bella posizione panoramica con quel grumo di case in bilico su di un dirupo, esalta la sua posizione strategica tra l’alta valle dell’Alento e quella del Calore. L’antico “castrum” inglobava l’unico stretto passaggio naturale, che si apriva tra due rocce ripide dalle striature rosate, chiamato ancora oggi “Preta Perciata”. Fece la fortuna dei Goti, prima, e dei Longobardi, poi, e, nel corso dei secoli, fu pedaggio di terrore per viandanti alla mercè di malavitosi. Una parte non trascurabile di storia cilentana fu scritta attraverso quel varco, che amministratori tanto incauti quanto incolti hanno cancellato per fare spazio alla moderna rotabile. Eppure quelle contrade furono teatro di eventi che sconvolsero vecchi equilibri politici e di potere e ne crearono dei nuovi. Qui incrociarono le armi Goti e Bizantini, Bizantini e Longobardi con la vittoria finale di questi ultimi, che per secoli dettarono legge nel Cilento e ne ridisegnarono l’assetto politico e ne influenzarono lo sviluppo. Ed è ancora la religiosità e la tradizione popolare a farci da guida per cogliere usi e costumi dei nuovi venuti e la reciproca influenza con le popolazioni indigene. I Longobardi adoravano la vipera, il cui morso letale apriva al defunto il passaggio da questa vita terrena a quella di un altro mondo misterioso e sconosciuto; e praticavano il “culto dell’albero”, con una simbologia carica di profondi significati. L’albero metteva in comunicazione i tre livelli del cosmo: il sotterraneo con le radici, il terrestre con il tronco, il celeste con la chioma. Nell’albero si estrinsecavano forme e valori del loro principale dio, Wotan o Odino. Fu la duchessa Teodorata a facilitare la conversione dei Longobardi al cattolicesimo. Ma il vecchio culto del dio Odino non fu abbandonato del tutto e fu, in parte, trasferito in quello dell’Arcangelo Michele, che incarnava la bellezza, la forza e lo spirito guerriero del vecchio dio pagano. E non a caso proprio nel periodo longobardo nacquero e si svilupparono i santuari rupestri dedicati all’Arcangelo Michele: Bellissimo ed ancora oggi meta di pellegrinaggi quello sul monte Pittari. Famoso e, fino a qualche tempo fa, aperto al culto quello di Valle dell’Angelo,per non parlare,poi, di quello notissimo di Sant’Angelo a Fasanella. Risalgono, forse, allo stesso periodo i santuari rupestri di Magliano e Capizzo, dedicati rispettivamente a Santa Lucia e a San Mauro, che dall’alto dei monti, nel folto della vegetazione, nel cuore verde del Parco del Cilento, dominano l’intera valle dell’Alento, dai castagneti di Stio e Gorga e, ruinando giù giù fra campagne coltivate e paesi che arabescano colline, fino alla Piana di Casalvelino ed al mare greco di Velia. Di sicuro si riallacciano in qualche modo ai Longobardi e al culto dell’Arcangelo Michele i cenobi di Sant’Arcangelo di Perdifumo e di Sant’Angelo di Montecorice e le suggestive “rappresentazioni”, cariche di simbolismo, di Rutino, di Vatolla e di Prignano nell’epica lotta tra Angelo e Diavolo, Bene e Male. Ma quella dei “cenobi” è un’altra storia legata alla persecuzione iconoclasta di Leone III Isaurico, che spinse verso il Cilento tanti monaci con il pietoso carico di icone e libri di preghiera, alla ricerca di luoghi appartati, dove praticare in serena tranquillità la preghiera, la meditazione e le opere di evangelizzazione. Bella storia quella del monachesimo italo-greco da recuperare e valorizzare in un viaggio tra laure, cenobi, conventi ed abbazie: un viaggio che ci ripromettiamo di fare e che riserverà non poche sorprese.
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