di L.R.
La liturgia della Parola della scorsa domenica ha invitato a riflettere sulla necessità di pregare sempre. Prevedibile la reazione di alcuni: impossibile! Certamente, se si considera la preghiera una recita di formule, ma Gesù ricorda che, quando si prega, non occorre moltiplicare le parole. Altri potrebbero chiedersi: perché farlo oggi, quando scienza e tecnica stimolano il nostro senso di soddisfatta onnipotenza? Non abbiamo bisogno di ulteriori interventi da parte di sconosciuti protagonisti! A queste note critiche si può rispondere rimandando ad una considerazione di Sant’Agostino per il quale pregare è come voler bene, un desiderio che anima sempre la vita, anche se la lingua tace.
Il passo del Vangelo fornisce uno spaccato della comunità alla quale si rivolge Luca. La sua assemblea liturgica fa fatica a credere che Dio possa difendere gli oppressi quando l’ingiustizia continua a regnare e nulla sembra poter cambiare questa tragica situazione. Gesù invece rassicura tutti e ricorda che la perseveranza nel pregare ha sempre degli effetti perché Dio è giudice giusto; sempre miopi, siamo noi incapaci di riconoscere la sua azione nel mondo.
Alla fine del passo, l’evangelista riporta anche un triste interrogativo: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” Domanda inquietante per tutti noi, infatti nulla è garantito per sempre.
La Chiesa sarà sempre presente nella storia di una regione e di un popolo? Fino al secolo VIII dell’era volgare il Nord Africa è stato la regione che ha visto operare una cristianità vivace e culturalmente avanzata, poi la catastrofe, un vero capovolgimento! Perché?
La stessa domanda possiamo porci per l’Europa. La tentazione di abbandonare la fede è presente e la sua mancanza è motivo di tante patologie col rischio che a scomparire sia la Chiesa per il suo progressivo dissolversi nella mondanità, magari con qualche sprazzo di religiosità naturale, ma comunità sempre meno autentica nel riconoscersi in Cristo, il Signore. Ciò avviene per la morte della fede non animata dalla vera preghiera cristiana. Così si mina la fiducia nell’umanità e nel suo futuro, prima ancora che nel Dio vivente. Queste considerazioni si desumono analizzando la parabola evangelica della XXIX domenica per annum, della quale Gesù fornisce anche l’esegesi. Già in precedenza, dopo aver insegnato il Padre Nostro, Egli aveva commentato narrando la parabola dell’amico inopportuno. Nel passo letto domenica scorsa fa in modo che alla scuola di preghiera ci accompagni una vedova, simbolo della debolezza, un essere indifeso e senza valore secondo la mentalità del tempo ma che Gesù trasforma in una donna forte e dignitosa, che non si arrende all’ingiustizia. La sua azione fa considerare la preghiera non un rassegnato cedimento al “così vanno le cose”! Nella sua insistenza emerge la possibilità di cambiare il cuore dell’uomo; infatti, nel contemplare Dio, chi prega lentamente si trasforma perché intreccia il respiro della propria vita con Lui.
Ecco la vera preghiera cristiana; essa scaturisce dall’ascolto della Parola e si trasforma in eloquenza della fede (Gc 5,15). Perciò occorre saper ascoltare, ripetendo mentalmente: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1Sam 3,9). La costante attenzione diventa un pensare davanti a Dio e con Dio, un invocare il suo amore, una manifestazione di lode che sfocia nell’adorazione.
Inoltre, occorre non giudicare mai la preghiera degli altri per non commettere lo stesso errore del sacerdote Eli, che ritiene la preghiera di Anna un borbottio senza senso pronunziato da una ubriaca, preghiera che, invece, Dio gradisce e per questo l’ascolta (1Sam 1,9-18)! L’implorazione di questa donna è insistente, perseverante, un dialogo continuo. Proprio come raccomanda Paolo nelle lettere quando invita a pregare “ininterrottamente” (1Ts 5,17), ad essere “perseveranti” (Rm 12,12) “in ogni occasione” (Ef 6,18), vegliando per rendere con essa grazie (Col 4,2) ed offrire l’esperienza quotidiana “come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1), senza dimenticare, come ha scritto un martire del nazismo – il pastore protestante Bonhoeffer – che “Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste, bensì le sue promesse”.