di Giuseppe Liuccio La mia riflessione di questa settimana parte dall’analisi della società del nostro territorio che avevo già in parte fatto la settimana scorsa, accentuandone le caratteristiche di fluidità, per passare, poi, a quella della classe politica, che è inadeguata ed incapace a cogliere i mutamenti in atto, per individuare ed esaltare le prestigiose pagine di Storia d’Europa, che sono state scritte nel nostro territorio, se solo sapessimo leggere nel nostro passato; e di lì partire per costruire, con legittimo orgoglio, il nostro futuro. Andiamo con ordine … Nell’immediato secondo dopoguerra Battipaglia, Capaccio ed Agropoli ebbero in contemporanea tre sindaci socialisti, rispettivamente Lorenzo Rago, Salvatore Paolino e Nicola Crisci, che gonfiarono di speranza il cuore di militanti, simpatizzanti ed elettori di tutta la Piana del Sele, prefigurando “un’alba nuova”, come cantava un altro sindaco, lucano, socialista e poeta, Rocco Scotellaro. Di lì a poco Rago scomparve, o fu fatto scomparire, misteriosamente, (se ne è occupato recentemente in un bel libro l’amico/collega, socialista anche lui, Massimiliano Amato) e Battipaglia archiviò sul nascere l’ipotesi di una ricostruzione razionale nella direzione di uno sviluppo armonico. E le conseguenze dissennate e disastrose sono sotto gli occhi di tutti. Ad Agropoli, la reazione in agguato, riverniciata e benedetta dal confessionalismo democristiano, defenestrò Crisci, che fece appena in tempo a seminare chicchi di riformismo germogliati negli anni, e rifioriti rigogliosamente, di recente, con l’ottimo sindaco Franco Alfieri. A Capaccio Salvatore Paolino resistette ed allevò una covata di pulcini, che, nel nome del socialismo, avrebbero governato e, spesso, governato, purtroppo, la città nei decenni futuri. Organizzò e guidò l’assalto ai latifondi, con conseguente riforma agraria, che, anche se monca, nello spazio di un decennio rivoluzionò costume, economia e vita di un territorio più di quanto non avessero fatto tutti i secoli precedenti messi insieme. Rifiorì l’agricoltura con prodotti di pregio e di nicchia. Mosse i primi passi il turismo, che, poi, esplose tumultuoso e caotico con l’imbarbarimento di costa e pianura sull’onda anomala di una urbanizzazione intensiva e da rapina. Si prosciugò la palude geologica, ma restò il pantano della politica e della cultura, salvo qualche raro miracolo di ninfea solitaria. E, comunque, un’analisi minimamente seria dei mutamenti etno-antropologici, sociologici e politici dell’intero territorio comunale non può che partire di là. Il vecchio capoluogo è regno, sempre più esiguo, di quanti, a tutela di orgoglio di identità, vi sono rimasti ad argine di migrazione biblica verso il mare e guardano con disincanto, sempre, con disappunto, qualche volta, il meticciato della Piana con i parvenu dai portafogli gonfi di affari non sempre puliti. Monta la rabbia contro disinteresse e latitanza dell’Amministrazione Comunale incapace di affrontare e risolvere anche i problemi minimi della quotidianità. E cresce la tentazione, in alcuni, di un referendum per un Comune autonomo (absit iniuria verbis!). È, comunque, una bella provocazione da non sottovalutare e da approfondire. Contrariamente a Capaccio paese, dove non mancano intellettuali lucidi, la Piana non ha un’anima, molecolarizzata com’è tra borghi e casali rurali. La centralità dell’area archeologica è involgarita da un turismo mordi e fuggi, che esalta il pendolarismo dei visitatori sudaticci a caccia di gelaterie e pizzerie dopo le brevi emozioni a fruizione di museo e templi dorici. L’abusivismo selvaggio, impudente ed impunito, su cui la magistratura indaga, finalmente!, ha fatto il resto. Gli imprenditori turistici, che sono tanti, hanno interessi consolidati, anche se non sempre con una visione unitaria della qualificazione, della diversificazione e della destagionalizzazione dell’offerta; ed arrancano ad ipotizzare un progetto articolato in sintonia e sinergia con gli Enti Territoriali, per lo più latitanti. Il mondo delle campagne, atomizzato in numerose categorie, spesso rissose ed in conflitto tra loro, non riesce ad esprimere speranze, attese e problemi in un progetto condiviso per obiettive incapacità dei protagonisti e per tacita quanto palese pigrizia di leader, o presunti tali, che su quella parcellizzazione costruiscono spesso fortune economiche e carriere (!?) politiche. Di sicuro il mondo dell’agricoltura e della zootecnia dà voce, quando la dà, a problemi ed interessi diversi da quelli del turismo. Il compito della politica, se ci fosse una politica, sarebbe quello di ridurre ad un unicum sinergico queste due realtà, che non comunicano, purtroppo. È tutta qui la scommessa. Forse il collante potrebbe essere la cultura, nel senso più ampio dell’accezione prismatica del termine. È l’unica strada fruttuosa e produttiva per un mélange che ne esalti e fonda gli interessi condivisi. La società italiana è fluida, sfugge, in generale, a controlli ed indagini, per la rapidità dei mutamenti, come sostengono acutamente sociologi e politologi. Il fenomeno è drammaticamente dilatato nella pianura pestana con la conseguenza della quasi impossibilità di incasellare in categorie più o meno credibili le schegge, spesso impazzite, della rappresentatività sociale ed economica. La politica o non si pone il problema o è incapace di farne una lettura accurata. Eppure non è più ora di gestire stancamente l’esistente, all’insegna della più piatta routine della quotidianità. Urge uno scatto di orgoglio ed un guizzo di fantasia per una radicale rivoluzione, se si intende costruire un futuro minimamente competitivo sui mercati. Di qui la necessità di eliminare, in primo luogo, la frattura tra i due mondi, agricoltura e zootecnia, da un lato, e turismo, dall’altro, e sanare la ferita profonda. Tra i due mondi ci deve essere un proficuo e duraturo rapporto di dare e avere. Questo vale per qualsiasi territorio; a maggior ragione per il nostro. E la strada per raggiungere l’obiettivo è quella di una valida infrastrutturazione nel segno della cultura: Laboratorio per e del Turismo, parchi fluviali del Sele e del Solofrone, musei del sacro, dell’agricoltura e della zootecnia, masserie didattiche, biblioteche e cineforum di quartiere, utilizzando i locali delle scuole, ecc. ecc. L’importante è spalmare su tutto il territorio efficaci forme di acculturazione uguali per tutti, eliminando la ingiusta classificazione, vera o presunta, di cittadini di serie A e serie B, dando pari opportunità a tutti per cancellare definitivamente la convinzione che, soprattutto nel turismo, ci sono pochi privilegiati che banchettano lautamente e molti, troppi, a cui sono destinate soltanto le briciole. Il progetto è ambizioso, lo so. E per realizzarlo c’è bisogno di una classe dirigente nuova, motivata, proiettata verso il futuro (e passo al secondo tema). Invece in giro ce n’è una vecchia, stanca, demotivata, inadeguata con in più la pesante responsabilità del passato ed il conseguente pericolo incombente di altri guasti. Ma mi chiedo, mutuando il linguaggio dal titolo di un fortunato saggio, piuttosto recente, di Sergio Romano, noi “saremo mai moderni”? È l’interrogativo impegnativo, quanto amaro, con l’augurio di “Buon lavoro” ai tanti già impegnati nella formulazione delle liste in vista della campagna elettorale, la cui scadenza naturale è ormai prossima, ma che potrebbe essere anche anticipata alla luce degli sviluppi imprevedibili di una indagine in corso della magistratura sull’abusivismo pubblico e privato. Il terzo tema è l’Europa, che ha fatto irruzione nel dibattito pubblico in seguito all’esito del referendum inglese sulla Brexit. Me ne sono occupato ampiamente la settimana scorsa con un ampio articolo ad hoc su questo settimanale. Ci ritorno anche oggi e anticipo che ci tornerò ancora nelle prossime settimane per focalizzare l’attenzione su alcune prestigiose pagine d’Europa che è in noi, nel nostro territorio cioè, e che noi dovremmo riscoprire ed esaltare con legittimo orgoglio di identità e di appartenenza ed agire di conseguenza. Me lo impone l’etica della responsabilità di cittadino e di intellettuale, che vuole dare un contributo di crescita al suo territorio di nascita. Anticipo qui di seguito i temi di caratura europea ed internazionale del territorio salernitano: 1) L’universalismo della Magna Grecia di Paestum e Velia; 2) Palinuro, il Grand Tour e la letteratura di viaggio; 3) Sulle orme dei monaci (le abbazie – Padula, Perdifumo, San Giovanni a Piro, Pattano, Castellabate, ecc); 4) La Repubblica Marinara di Amalfi; 5) La Scuola Medica Salernitana; 6) Il “ribat” di Agropoli e la positività di una pagina buia di pirateria in un rapporto di ibridazione e meticciato con l’altra sponda del Mediterraneo; 7) La lezione dell’emigrazione italiana nelle sue varie fasi: transoceanica, europea, australiana, la fuga dei cervelli, ecc. Forse dall’analisi di questi temi potremmo imparare ad essere più europei, tutti. Saranno i temi di cui mi occuperò nelle prossime settimane.
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