di Bartolo Scandizzo Il dossier di Legambiente lancia l’allarme sullo spopolamento nei comuni sotto i 5mila abitanti: “In 25 anni cimiteri pieni e case vuote”. Oltre al divario Nord-Sud, c’è un altro problema più orizzontale che trattiene la ripartenza dell’Italia. Da un lato ci sono le aree metropolitane, i capoluoghi di provincia e centri maggiori che hanno consolidato specificità imprenditoriali spesso trascinandosi dietro l’hinterland. Dall’altra c’è la pletora dei piccoli comuni: paesini alpini che resistono alle asperità della montagna, mini-insediamenti abitativi abbarbicati sull’Appennino, municipi dimenticati da Dio e dagli uomini sparsi nelle campagne del Sud. Di questi mini-Comuni, 2430 (il 30% del totale) rischiano di non sopravvivere a causa del lento spopolamento. IL CALO DEMOGRAFICO Un dossier di Legambiente (che sarà presentato oggi a Roma con l’Anci) fotografa il calo di popolazione e le caratteristiche di quello che viene definito il «disagio insediativo» dei piccoli Comuni. Non è un pericolo marginale: nei 2430 Comuni a rischio sopravvivenza vivono quasi 3 milioni e mezzo di italiani, il 5,8% della popolazione. Ma in 25 anni i Paesi sotto i 5 mila residenti hanno perso 675 mila abitanti. Un calo del 6,3%, mentre nello stesso periodo la popolazione italiana cresceva del +7% con oltre 4 milioni di cittadini in più rispetto al 1991. La differenza demografica netta è quindi del 13%. Significa che in un quarto di secolo una persona su sette se n’è andata dai piccoli Comuni. La densità è scesa a 36 persone per chilometro quadrato: 13 volte in meno rispetto agli insediamenti con oltre 5 mila abitanti. PAESI FANTASMA Sempre di meno e sempre più vecchi. In quest’Italia in miniatura, dall’anima rurale, gli over 65 sono aumentati dell’83% a fronte degli under 14. Dalla sostanziale parità si è passati a oltre due anziani per ogni giovanissimo. I piccoli comuni sono poco attraenti anche per la popolazione che arriva dall’estero. Dato ribadito dal deficit di imprese straniere, il 25,6% in meno della media. Il pericolo è che i borghi siano destinati a diventare i paesi fantasma del terzo millennio. Già oggi le abitazioni vuote sfiorano i 2 milioni (mentre sono 4 milioni e 345 mila quelle occupate): vale a dire una su tre. E finora nemmeno il turismo ha salvato il patrimonio dei mini-Comuni, dove la capacità ricettiva è cresciuta meno della metà di quella urbana. A pensare che basterebbe avviare una politica di ripopolamento con l’innesto di famiglie di immigrati per riaprire le case vuote, dare ad esse una prima sistemata per farle rivivere. Senza contare il beneficio che ne avrebbero le piccole attività artigianali e alla riscoperta dei piccoli mestieri. Per non parlare delle scuole che tornerebbero a vivere di vite vogliose di crescere. LA CORSA ALLA FUSIONE Lo stato spinge i piccoli comuni a fondersi confermando un contributo straordinario pari al 40% in più dei trasferimenti statali dell’anno 2010 per chi si mette insieme. Il primo gennaio 2016 sono spariti 40 Comuni. Altri sette progetti di accorpamento hanno già ottenuto il via libera dei cittadini tramite referendum. È il paradosso del Paese dei mille campanili: per salvarsi, bisogna superarsi. Ma non c’è la corsa alla fusione. I sindaci preferiscono aderire alle unioni di comuni che aggregano i servizi e lasciano intatto il piccolo potere nell’ambito delle comunità. LA MISSIONE DEL PARCO Incredibilmente, il nuovo presidente del Parco Nazionale del Cilento, Diano e Alburni, Tommaso Pellegrino, l’intero consiglio e la struttura tecnica dovrebbero darsi come primario scopo proprio quello di arrestare la desertificazione demografica se vogliono difendere la natura e la storia dei paesi e delle innumerevoli frazioni ad essi collegate. Il nostro territorio necessita di una strategia condivisa che guidi, poi, ogni azione tesa a non far decantare ancora oltre verso l’oblio le nostre comunità che, nonostante il disastro che stanno subendo, bisogna dirlo, sono anch’esse accecate da una forma di protezionismo arroccate a difendere una “purezza” che è stata già persa dalla notte dei tempi. In fondo, quando alla fine del XIX secolo cominciò il travaso di anime verso le Americhe, prima, e poi verso l’Australia e l’Europa del nord, dopo. Tutti alla ricerca del meglio per loro e per i loro figli. Un fenomeno che oggi ancora continua e si è tradotto nella diaspora dei giovani che hanno studiato e partono alla ricerca di mondi che vanno oltre il concetto di patria e oltre il recinto della terra dei padri. Più tentiamo di trattenere dentro chi vuole andare, tanto più si ha voglia di partire; più costruiamo recinti e muri per tenere fuori, tanto più saremo assediati da chi vuole entrare con ogni mezzo. Mai come in questo caso sarebbe necessario fare nostro il motto “di necessità virtù”. Dopotutto, oggi la nazione più grande e potente della terra sono gli Stati Uniti d’America che ha saputo, prima schiavizzare, poi emancipare e infine integrare ogni uomo e donna proveniente da ogni angolo della terra. Scheda: così in Europa Nel Paese dei campanili l’85% dei Comuni (6875) ha meno di 10 mila abitanti. Di questi 5627 sono incasellati dalle statistiche sotto la voce «piccoli» perché non raggiungono i 5 mila residenti. Di più: ben 3532 (vale a dire il 43,8% del totale) restano sotto i 2 mila. Attenzione però, l’Italia non ha un numero di municipi superiore al resto d’Europa. A fronte degli 8 mila Comuni italiani (circa uno ogni 7500 abitanti circa), in Germania ci sono 11.334 gemeinden (uno ogni 7213), nel Regno Unito 9434 wards (uno ogni 6618) in Francia 36.680 communes (uno ogni 1774) e in Spagna 8116 municipios (uno ogni 5687). La media dell’Ue è di un ente ogni 4132 abitanti. Il problema è un altro e si chiama crollo demografico. Speso conseguenza della mancanza di lavoro e servizi locali.
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