di Ilaria Longo Questo museo a cielo aperto che è l’Italia (purtroppo spesso sottovalutato), a volte ha bisogno di essere restaurato. Tra le figure che si occupano di questo prezioso compito vi sono anche gli architetti. “Unico” ha intervistato Federica Comes, una giovane architetta originaria di Centola che recentemente si è occupata del restauro di Santa Maria delle Grazie, il complesso monumentale milanese che ospita uno dei dipinti più famosi della storia dell’arte mondiale: l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Quali esperienze ha maturato prima di lavorare al complesso monumentale di S. Maria delle Grazie? Dopo la laurea in Architettura, conseguita presso l’Università Federico II di Napoli, ho svolto i primi tirocini in studi professionali napoletani e salernitani. Contemporaneamente mi sono iscritta alla Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio, presso l’Università degli Studi di Genova, dove ho conseguito il Diploma di Specialista nel 2011. In questo stesso anno ho vinto il dottorato in questa disciplina presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 2014 ho conseguito il dottorato e ho iniziato a collaborare con l’“Herculaneum Conservation Project”, il progetto internazionale voluto da David Packard Jr. per la conservazione e valorizzazione del sito archeologico di Ercolano. Quando ha iniziato a lavorare presso S. Maria delle Grazie e di che cosa si è occupata precisamente? Nel dicembre 2014 ho iniziato a lavorare a Santa Maria delle Grazie dirigendo i lavori di restauro del Chiostro bramantesco e, successivamente, il restauro della facciata del Chiostro stesso (lavori ancora in corso). Nel 2015 i padri domenicani, miei committenti, mi hanno chiesto di predisporre un programma di interventi per la manutenzione delle coperture del complesso di S. Maria delle Grazie. Il progetto è stato redatto in risposta al Bando “Arte e Cultura – Buone prassi di conservazione del patrimonio”, promosso dalla Fondazione Cariplo (una realtà filantropica molto attiva in Lombardia), è stato selezionato e i lavori sono iniziati lo scorso 9 maggio. Sua nonna è di Centola. Torna in questo paese? Qual è il suo rapporto col Cilento? Anche se mia nonna è di Centola, io non ho mai vissuto nel Cilento. Ho vissuto a Salerno e adesso vivo a Milano. Tuttavia il Cilento è una realtà che conosco molto bene e che frequento con piacere. Centola, Palinuro, Caprioli, San Mauro la Bruca sono posti che amo particolarmente perché, quando mi reco lì per pochi giorni o per un’intera vacanza, ne apprezzo il sapore antico e la bellezza quasi del tutto intatta che li rende posti ideali per rigenerarsi. Lì, dove il tempo sembra essersi fermato, tutto appare autentico e genuino. Sempre più spesso si parla di ripristino e manutenzione dei beni culturali che, in Campania, sono pregevoli e numerosi. Hai mai pensato di lavorare nel Cilento al ripristino di qualche struttura? Il Cilento potrebbe rappresentare una sfida interessante per chi, come me, si occupa di recupero di beni culturali e paesaggistici. Al di là dei numerosi elementi architettonici di pregio, è l’intero territorio cilentano con i suoi tessuti urbani sparsi a meritare un’attenzione particolare. Penso, ad esempio, ai piccolissimi centri disabitati, posizionati sulle sommità dei monti. Vorrei sottolineare, però, che preservare un territorio non significa cristallizzarlo in uno scenario immutabile, ma aiutarlo a crescere e a svilupparsi incanalando il cambiamento nel giusto solco del rispetto della tradizione e delle peculiarità del territorio. A suo avviso quale sito avrebbe bisogno di maggiore manutenzione o di un ripristino? È difficile rispondere a questa domanda, ma personalmente coglierei con entusiasmo la sfida di trasformare in “cantieri aperti” i borghi per recuperare e restaurare il costruito e rendere questi posti poli d’interesse culturale e turistico.
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