Di L.R. Questa settimana a colpire la mia attenzione è stata l’evidente antitesi tra un anticlericale ed un ateo devoto nel loro modo di porsi nei confronti del magistero e dell’azione di papa Francesco. Da una parte Marco Pannella che, il 22 aprile, dalla “stanza all’ultimo piano” dove la sofferenza affinava il suo spirito e lo faceva sentire “vicino al cielo” ha inviato al papa una lettera. A scriverla lo aveva spinto il bisogno di sottolineare il gesto compiuto dal pontefice a Lesbo, dove abbracciava “la carne martoriata di quelle donne, di quei bambini, e di quegli uomini che nessuno vuole accogliere in Europa”, una concreta azione di Francesco che Marco Pannella ha così commentato: “Questo è il Vangelo che io amo e che voglio continuare a vivere accanto agli ultimi, quelli che tutti scartano”. Dall’altra, la feroce presa di posizione di Giuliano Ferrara, il quale ha sentito la necessità di stigmatizzare con acredine l’intervento del pontefice sui cani e sui gatti accusandolo di essere un tuttologo pronto a dire la sua pur di rimanere al centro dell’attenzione. Eppure Francesco non aveva fatto altro che ricordare la necessità di amare di più i propri vicini in difficoltà piuttosto che gli animali domestici. Il noto giornalista-opinionista, con l’ironia degna di un elefante in una vetreria, sul “Foglio” di lunedì scriveva: “A Ratzinger piacciono i gatti, a Francesco no, cani e gatti entrano come esseri disdicevoli nelle sue parabole del buon vicinato”. Poi ha continuato con una pelosa e non richiesta giustificazione di non avere “sentimenti di ostilità preconcetta” verso questo Papa per rendere più penetrante l’affondo “contro gli aspetti più convenzionali e banali” del suo magistero. Ha asserito, inoltre, di attendersi “da lui di tutto, quindi niente” distratto dal suo inopportuno bussare alle porte del vicino invece di preoccuparsi veramente di porre qualche riparo al “paesaggio di rovine” al cui centro il papa sarebbe impegnato a “insediare la chiesa”. Il protagonista di “Radio Londra”, informatore di potenti esteri e consigliere di potentati italici, una volta al centro del panorama mediatico ed oggi un po’ offuscato, si appella al papa per invitarlo a non occuparsi della “privacy di amore e solitudine”, del “gaudio di conversazione e abbaio” nel quale il giornalista ama crogiolarsi, raccomandandogli, se proprio vuole fare crociate, come dovrebbe ogni buon papa, di occuparsi di “aborto, della società neutra di genere” o del pervadente soggettivismo che mina l’essere e la realtà che ci circonda. Il fondatore del “Foglio” si è intruppato nella galassia degli atei devoti, i quali al tempo dell’impero ruiniano hanno tentato di dettare l’agenda anche alla chiesa italiana, oggi sempre più marginale ed emarginata rispetto ai processi che animano la cattolicità come si evince dalla lettura sinottica del discorso del papa, patriarca della chiesa italiana, all’apertura dei lavori della CEI e di quello del cardinal Bagnasco, presidente dell’assemblea dei vescovi. Parole, concetti e prospettive delineano due mondi diversi: l’uno, ecclesiale, è attento al futuro, l’altro, ecclesiastico, cerca di difendere le rovine fumanti di un passato che non può ritornare e che ha fatto la fortuna di cordate ora confuse e silenti. Forse l’attacco di Ferrara al papa, sproporzionato rispetto all’occasione che l’avrebbe determinato, è stato causato piuttosto dall’intervista che Francesco ha rilasciato al quotidiano cattolico francese «La Croix» e che ha avuto per oggetto le relazioni Stato-Chiesa. Il papa, rispondendo ad una domanda su matrimoni gay e eutanasia, ha asserito che è compito del Parlamento discutere, argomentare, spiegare, ragionare e, quando si approva una legge, lo Stato deve rispettare le coscienze, un diritto umano rivendicato dai cristiani fin dall’inizio della loro storia e per questo perseguitati. Il Papa ribadisce che uno Stato deve essere laico, ma senza esagerare, annotando che quelli confessionali finiscono male perché “vanno contro la storia”. Chi ha fatto della devozione per il nulla – significato effettivo dell’espressione ateo devoto perché presta la propria devozione ad un’entità che non esiste – un riferimento costante della battaglia condotta negli ultimi anni trova certamente ostico l’orientamento della chiesa di Bergoglio che, invece, pare risultare molto più vicino ad un anticlericale come Pannella. Questo personaggio dell’Italia repubblicana, estremamente ostico per i poteri forti e ferocemente critico della Chiesa e per questo esacrato da tanti preti, come mi è capitato di sentire in questi giorni in giudizi pronunciati da esponenti del presbiterio diocesano, alla fine sembra essere più vicino al Vangelo del Crocefisso quando, in calce alla lettera inviata a Francesco, in un significativo post scriptum, rivelativo del suo stato d’animo e del pensiero che nel profondo lo assillava, ha scritto: “Ho preso in mano la croce che portava mons. Romero, e non riesco a staccarmene”. Vero ateo è chi non s’impegna per creare legami, comunione, accoglienza, chi diffonde gelo attorno a sé. Infatti, chi è incapace di coinvolgenti relazioni amichevoli non è ancora entrato in Dio, il Dio che è Trinità, che non è complicata formula matematica perché, asserisce S. Agostino: «Se vedi l’amore, vedi la Trinità». Allora si comprende perché quando si accoglie e si è accolti si realizza la vocazione dell’uomo.
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