di L. R. Giovedì, 12 maggio 2016, è bastato che il papa, nel rispondere alle domande rivoltegli dall’Unione delle Superiore maggiori, dichiarasse la propria disponibilità ad istituire una commissione di studio sulla questione del diaconato alle donne per far denunciare allo scandalizzato Socci il rischio del suicidio di una Chiesa allo sbando e sprofondata nell’eresia. Il giornalista, più realista del re, ma sostanzialmente un inguaribile “complottista”, asserisce che chi ha lavorato per “dimissionare” Benedetto e lanciare Bergoglio vuole omologare la Chiesa al mondo; lo dimostrerebbe la scelta di abbandonare battaglie pubbliche sui “principi non negoziabili” per non ostacolare i poteri dominanti preferendo disquisire d’immigrati, ecologia, riscaldamento globale, ecumenismo! Un altro focolaio di polemiche nello scontro curiale pro e contro il papa, come ha dichiarato in un’intervista concessa a Repubblica il cardinale Walter Kasper, é il dibattito sulle diaconesse perché determina “un confronto feroce” tra chi ritiene il diaconato permanente femminile la ripresa di una prassi antica, quindi legittima, e chi pensa che possa costituire il primo passo, decisamente impercorribile, verso un futuro sacerdozio femminile. Chi ha avuto paura di contestare a viso aperto eventuali aperture verso i divorziati risposati ora dispone di un altro motivo per tramare alle spalle del pontefice per opporsi a rivendicazioni ineccepibili dal punto di vista antropologico evocando posizioni storico-teologiche e bloccare un magistero impegnato a celebrare il “genio femminile” nella Chiesa. Francesco conviene sulla opportunità di aumentare le responsabilità delle donne quando non è coinvolta la giurisdizione connessa all’ordine sacro, convinto che la sensibilità femminile arricchisce la fase di elaborazione e quella esecutiva di ogni decisione. A questo scopo papa Bergoglio evidenzia il rischio persistente del clericalismo di chi pretende di attribuire alla sola responsabilità dei preti la guida delle parrocchie, senza stimoli autentici per una sinodale collaborazione, consapevole che, se va apprezzato il senso di maternità, espressa nelle forme più svariate per porre riparo ad ogni emarginazione, va stigmatizzata la prassi che riserva all’azione femminile delle consacrate il mero servizio servile in una canonica. Ecco perché il Codice dopo approfonditi discernimenti può cambiare per apportare le necessarie modifiche. Questa posizione riprende in parte le affermazioni fatte nel 1994 dal cardinale Martini, il quale intravedeva ancora “spazi aperti” per intraprendere un cammino e mostrare la presenza e la missione della donna a tutto campo grazie ad un ripensamento teologico. Dal punto di vista pratico papa Francesco ha già indicato la strada con l’ammissione delle donne alla Lavanda dei piedi il Giovedì Santo, simbolico gesto dagli evidenti e sostanziosi risvolti perché aiuterebbe a superare argomentazioni evocatrici del condizionamento culturale palestinese di duemila anni fa e il non argomento del silenzio di Cristo e delle prime chiese circa la funzione femminile nella dinamiche liturgiche e catechetiche. La documentazione più antica e la prassi liturgica, confermata dai riti nella chiesa orientale, non attestano l’inconiugabilità donna-altare. Ad esempio, Severo d’Antiochia all’inizio del secolo VI, prevedendo difficoltà per l’assenza in caso di persecuzione, ricorda i principi da seguire nell’ordinazione asserendo che “la pratica di ordinare donne-diacono è diffusa, per così dire, nel mondo intero”. Non solo in Oriente sono state rinvenute numerose lapidi che ricordano donne-diacono, ma il Codex Juris di Giustiniano (535 d.C.) stabiliva quanti chierici si dovessero assumere nelle chiese: per S. Sofia di Costantinopoli 425, dei quali fino a 40 diaconesse. In qualità di chierici “diaconi maschili e femminili” ricevevano sussidi quotidiani per la sussistenza, perché “partecipano al sacro ministero, servono nell’amministrazione dei santi battesimi; partecipano agli altri riti arcani che secondo la consuetudine compiono durante i venerabili misteri”. Ancora più significativo per il nostro argomento è il rituale di ordinazione della diaconessa nel rito bizantino. Le formule di consacrazione costituiscono un importante riferimento quando s’intende esaminare la sacramentalità del diaconato femminile. Da parte nostra auspichiamo soltanto che questo tema venga ristudiato, come aveva suggerito Paolo VI, analizzando convergenze e divergenze sulla sacramentalità al di là dei timori di una strumentalizzazione per l’accesso delle donne al presbiterato. Si rimanda alle competenze del nostro direttore dell’ufficio liturgico, tanto apprezzato dalla CEI, la responsabilità di chiarire questo interessante, pur se delicato, argomento con l’auspicio di una chiarificatrice risposta. Intanto s’invita la Chiesa locale a riflettere sulle potenzialità che si aprono circa l’effettiva e coinvolgente partecipazione dei laici. Si è chiamati ad adottare disposizioni per ottemperare ai doveri che derivano dalla prima legge ecclesiastica, quella della salus animarum, e rivedere prassi, credenze, stratificate abitudini che, come secolare polvere, hanno offuscato la dinamica evangelica. In tal modo è possibile sperimentare una nuova Pentecoste, che Paolo VI riteneva “La grande ora della Chiesa”. Lo Spirito esalta ogni capacità di bene, quindi concede a tutti una grande possibilità, quella di continuare l’opera di Cristo. Lo Spirito ricorda quando Gesù ha detto. E il ri//cordare presuppone la coinvolgente esperienza di tutto il nostro essere, mente e cuore. Lo Spirito, libertà personificata, soffia dove vuole, non coinvolge solo i preti. Di conseguenza ogni cristiano ha tutto lo Spirito necessario per collaborare nella Chiesa. Egli infonde conoscenza che stimola riconoscenza e riconoscimento, inonda del balsamo della consolazione. La certezza della protezione divina infonde il coraggio di fare quanto è necessario e la capacità di discernimento suggerisce; quindi, anche la Chiesa locale si può incamminare con ottimismo verso il futuro. Il Cilento intero attende la sua convinta e convincente testimonianza.
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