Di Diodato Buonora Il Vinitaly è sempre di più un evento irrinunciabile per tutti quelli che amano il vino in tutte le sue sfumature. È la principale manifestazione di riferimento del settore vinicolo. Qualche numero: 50ª edizione, oltre 4 mila espositori, 130 mila visitatori, 2500 giornalisti accreditati e circa 100.000 metri quadri netti di superficie espositiva. Quattro giorni di grandi eventi, rassegne, degustazioni e workshop mirati all’incontro delle cantine espositrici con gli operatori del comparto, assieme ad un ricco programma convegnistico che affronta ed approfondisce i temi legati alla domanda ed offerta in Italia, Europa e nel resto del mondo. Anche quest’anno ho trascorso, in fiera, 2 giorni di “full immersion”, alla scoperta di novità e per salutare vecchi amici produttori. Come faccio annualmente, tra un bicchiere e l’altro, vi trasmetto le mie emozioni “di Vino” cercando di rendervi partecipe dei miei assaggi. Mi sembra doveroso parlarvi del padiglione della Campania, quest’anno meno cupo degli altri anni. Vi erano presenti tutte le province. L’Irpinia, dopo un paio d’anni in altri padiglioni (per disaccordi tra politici), è ritornata in “Campania”. Questo è stato sicuramente un bene per tutti, perché la qualità dei vini avellinesi è ben nota a tutti ed attira visitatori da tutto il mondo. Quello che ha sorpreso era la scarsa presenza delle aziende salernitane, compresi 2 liquorifici (il Gusto della Costa e Russo), in totale erano solo 15: Marino, San Giovanni, I Vini del Cavaliere, Albamarina, San Salvatore, Tenuta San Francesco, Reale, Ettore Sammarco, Apicella, Cobellis, Montevetrano, Andrea Pagano e Lunarossa). Gli altri? Qualcuno ha scelto altri padiglioni, come Maffini, De Conciliis e Marisa Cuomo, altri hanno rinunciato ad essere presenti. Poi, c’era uno spazio ben attrezzato dalla Camera di Commercio di Salerno, dove in pratica erano presente tutte le aziende. I miei assaggi nella provincia di Salerno si sono limitati al Leukòs dei Vini del Cavaliere, vino di 14 gradi alcolici di freschezza e complessità, ottenuto dalle uve fiano coltivate in una vigna adiacente alla cantina; al Pino di Stio della Salvatore, vino ottenuto da uve pinot nero che ho degustato con Peppino Pagano mentre mi complimentavo con lui per il Premio che gli era stato consegnato il giorno prima da Mattarella; al Borgo di Gete di Reale, vino prodotto con il tintore, vitigno autoctono della Costiera Amalfitana; ho concluso i miei assaggi salernitani con il Greco di Cobellis, prodotto per la prima volta dalla rinomata azienda di Vallo della Lucania. Altri assaggi che ho apprezzato sono “Le Riscoperte” di Tenute Rubino, azienda pugliese che per la prima volta ha prodotto 3 vini nuovi da altrettanti vitigni autoctoni pugliesi che erano stati “dimenticati”: il Mimante, vino bianco aromatico ottenuto dal Minutolo; il Lamiro, bianco secco e promettente prodotto con il vitigno Bianco d’Alessano; il Lamo, rosso che ha una certa somiglianza con il Pinot nero, facilmente abbinabile ad alcune portate di mare, ottenuto dal vitigno Ottavianello. Francamente mi hanno entusiasmato tutti anche perché il costo ha un ottimo rapporto qualità-prezzo. Concludo per citare altre aziende che mi hanno emozionato: Carbone (Basilicata), ottimo il fiano e grandi gli aglianici; Basile (Toscana), per i grandi rossi di Montecucco; Poderi Mattioli (Marche), un verdicchio che quando lo bevi ti emozioni; Maso Poli (Trentino), ottimo lo spumante riserva metodo classico; Terenzuola (Liguria), intriganti e piacevoli i vermentini. Poi, il tempo a mia disposizione è scaduto. Ho deciso che il prossimo anno farò una giornata in più. Troppo bello il Vinitaly.
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