di Ermanno Corsi
E’ dal 1970 che ce lo chiediamo:ma quale è il motivo,quale la ragione per cui debba esistere la Regione in Campania? La prima obiezione,però anche la più ovvia,è:ma perché nelle altre parti del Paese questo problema non si pone? Risposta,altrettanto ovvia:si pone ma in termini diversi rispetto a noi. Nelle altre parti qualcosa continua a non funzionare,mentre da noi quasi tutto. La “damnatio memoriae” ci costringe a ricordare che non solo nei primi due anni della sua vita la Regione viene ubicata,a Napoli,in uno scantinato di Palazzo reale (una rivincita della Monarchia sulla Repubblica?) ma che anche negli anni successivi (quindi dopo l’inconcludente biennio bianco) ha avuto vita provvisoria e stentata,lacerata dalla dura contrapposizione fra le “due Campanie”:quella col mare e quella senza,la lunga fascia costiera e la zona interna (il grande meridionalista Manlio Rossi Doria parlava di “polpa” e “osso”).Da allora le “due Campanie” sono ancora alla ricerca di un punto di equilibrio. Lungo la fascia costiera (da Sessa Aurunca a Sapri) si fa il conto di quanti abitanti vivono per chilometro quadrato;nelle zone interne si fa il conto al contrario:quanti chilometri quadrati sono a disposizione per ogni singolo abitante. Come dire:là una caotica antropizzazione,qua un desolante spopolamento. La Regione,in 45 anni da che esiste,non è stata in grado di darsi un piano di assetto territoriale capace di stabilire bene dove si vive,dove si lavora,dove si produce. Lo smaltimento dei rifiuti è uno dei più laceranti esempi:nessuno vuole aree di raccolta,inceneritori,siti di compostaggio,termovalorizzatori (ora la prima proposta del nuovo presidente Vincenzo De Luca:basta inceneritori,i rifiuti si bruciano nei cementifici).Il risultato è ancora questo: paghiamo fior di euro per portare l’immondizia fuori regione e all’estero dove diventa materia prima per produzioni (dai fertilizzanti all’energia) che noi andiamo a comprare sborsando altri fior di milioni . Ma il discorso solo accennato per il territorio,vale anche per l’economia e i servizi. La insistita mancanza di un piano regionale per lo sviluppo economico,ha fatto prevalere scelte di insediamento decise altrove per cui siamo passati,in tutti questi anni,attraverso pesanti docce scozzesi:territori che venivano occupati da insediamenti non compatibili con l’ambiente per cui erano facilmente prevedibili le crisi ricorrenti (emblematiche le vicende del Cilento e del Vallo di Diano) . Dalle “cattedrali nel deserto” all’odierno “deserto senza cattedrali” il passo è stato breve. Finito il ciclo dell’industria di Stato,si è fatto di tutto per scoraggiare gli imprenditori privati (sono oggi,in tutta la Campania,più le aree industriali dimesse che quelle in funzione).La conseguenza è che se la recessione accenna ad arretrare,diminuisce al Nord e si concentra tutta al Sud. E i servizi? Ha voglia la Cassazione di ribadire che il diritto alla Salute è il primo nella scala di quelli garantiti dalla Costituzione. Più di 100mila campani ogni anno sono costretti ad andare fuori regione,o all’estero,per le cure sanitarie di cui hanno bisogno. E il lavoro?Non si fa più nemmeno il conto di quanti debbono emigrare (giovani diplomati e laureati compresi) in quello che ancora oggi continua ad essere considerato,in Italia,il “triangolo” di maggiore attrazione (Torino,Milano,Genova) cui si è aggiunto il Nordest (dove pure non tutto fila liscio come l’olio e motivi di affanno non mancano).Senza contare l’incidenza negativa della illegalità, del disordine pubblico e di una malavita che è diventata stragista. Quale imprenditore verrebbe a investire propri capitali a sud di Roma (incominciando dalla Campania e non escludendo alcune aree salernitane),sapendo in partenza due cose:che dallo Stato e dal complesso delle sue istituzioni non riceverebbe alcun supporto e che,invece,ancora prima di insediarsi riceverebbe immediatamente la “visita” degli esattori della camorra. Imprenditori sì,ma eroi e generosi benefattori per forza, no. La politica regionale,nel suo insieme,non è stata all’altezza dei problemi. A Napoli il Porto viene quotidianamente declassato senza vertice com’è da un tempo mostruoso;Bagnoli grida vendetta per lo spreco di un territorio molto adatto alle tanto attese,ma sempre più virtuali, attività eco-compatibili. Tuttavia,se Atene-Napoli piange, Sparta-Salerno non ride: anche qui il porto non ha spazi adeguati per le merci che arrivano e partono,per il turismo crocieristico che sta diventando una crescente risorsa.A sua volta l’aeroporto di Pontecagnano ha il bel nome di Costa d’Amalfi ma ancora non ha dato una bella e convincente prova di sé. Pessima prova,invece,continua a dare di sé la politica che viene ricambiata con il crescente assenteismo da parte degli elettori. Più volte la “dialettica” elettorale è stata un duello quasi “rusticano” fra chi criticava di più e chi prometteva di più. Un modo di far politica prigioniero della feudalizzazione degli spazi:piccoli comuni diventati grandi serbatoi di voti ed emblematiche “capitali elettorali”,da Nusco a Cava dei Tirreni,da Ceppaloni a Casal di Principe. Bisognerebbe cominciare a smentire la “regola” secondo cui si vince più per demerito dell’altro che per merito proprio.