Di Monica Acito San Vito, mille facce di una stessa medaglia, un’icona capace di affascinare e rapire anche gli atei più restii a qualsiasi esternazione religiosa. San Vito è un soffio di vento, è la freschezza della gioventù, un ragazzino dagli occhi vitrei che siede sui nostri altari e che non smette mai di ispirare rituali e cerimonie ricche di pàthos e spessore emotivo. Ma chi era San Vito Martire? Egli non era altro che un giovanissimo cristiano che subì un martirio per la fede nel 303. Secondo una Passio del VII secolo , Vito sarebbe stato siciliano e avrebbe compiuto molti miracoli già dalla tenera età. Tutto ciò gli costò l’ira funesta del padre e anche dell’imperatore Diocleziano, che lo supplicò di liberare suo figlio dal demonio per poi ucciderlo. Altre versioni invece lo vedono protagonista in vesti leggendarie come protettore dei cani, infatti un’antica storia siciliana narra che avrebbe incontrato dei pastori disperati per lo scempio compiuto da un gruppo di cani su un bambino. Vito avrebbe ridonato la vita al bambino, compiendo così un altro dei suoi miracoli. E’ molto diffusa la voce secondo cui, dopo il martirio, i resti di Vito sarebbero stati gettati nel fiume Sele, infatti molti comuni appartenenti alla Valle del Sele (Caposele, Calabritto, Oliveto Citra) conservano una salda memoria agganciata al culto del martire. Il culto di San Vito è avvertito con ampio respiro, con una devozione impressionante che scuote le membra di chiunque, credente o non credente che sia, poiché riesce a toccare le corde più intime, infantili e recondite dell’animo umano. In primis è doveroso citare il culto di San Vito a Felitto: una poderosa processione che si sveglia la mattina presto e si snoda come un serpente umano partendo dall’omonima chiesa immersa nelle profondità della campagna. Si cammina, si suda, si porta il santo sulle spalle, sul petto e sul cuore, si intonano canti catartici, ci si sente una sola cosa con i sassi e i fili d’erba che costellano il cammino, ci si immerge in una specie di delirio che affonda le sue radici nelle tradizioni pagane e nelle antiche processioni greche. Ci si strugge, si accarezza la campagna vergine e si calpestano sentieri rustici, ci si inebria di vino e si consumano i tradizionali taralli di San Vito. La campagna diventa lo sfondo ideale per questa mimesi, diventa il teatro di questa rappresentazione popolare che ha il sapore delle origini della tragedia. Ma non solo a Felitto è celebrato il culto di questo santo, ma anche a Capaccio, dove già dalla sera del 14 giugno iniziano i solenni festeggiamenti con i primi vespri, per poi concludersi ai secondi vespri con la grande Concelebrazione Eucaristica e la consueta processione. A Pagani invece, nel rione di Barbazzano, si tiene una processione per le vie del rione, che termina con la benedizione dei cani e una via crucis con lo scopo di narrare le tappe della vita del santo. Per quanto riguarda invece la Valle del Sele, il 15 giugno nei comuni di Ricigliano e San Gregorio Magno, si tengono dei festeggiamenti molto caratteristici e suggestivi: nel corso della cosiddetta “turniata” (che una volta si celebrava in tutti i paesi della valle del Sele e del Tanagro) , i pastori si dilettano in riti primordiali come la “benedictio super animalia” e “circumambulatio”. Qui siamo evidentemente in un campo che sconfina e affonda le sue antiche radici all’alba dei tempi, all’alba di qualsiasi tradizione conosciuta ai più. Si potrebbe parlare per ore dell’agitazione popolare che questo santo fa scaturire, egli è invocato per ottenere la protezione e la guarigione da patologie particolari quali la “Corea di Sydenham”, una forma di encefalite nota come “Il Ballo di San Vito” della canzone di Vinicio Capossela, ma anche per guarire dall’idrofobia , malattie degli occhi e letargia. Inoltre è anche il protettore di tutti i danzatori. La spiritualità spesso non è solo intesa come religione, ma anche come quell’insieme di emozioni, sussulti e scosse che un’anima può provare trovandosi al cospetto con qualcosa di mistico e inspiegabile e che riesce a colorare gli occhi con un soffio di eternità.
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