di Gaetano Ricco I’ vorrei che Albanella e Capaccio presi per incantamento e “messi in un vasel… andassero al voler “ di come la loro comune storia comanda. L’articolo n. 4 dello statuto comunale di Capaccio dedicato alla descrizione del suo stemma comunale recita infatti che: “Emblema del comune di Capaccio è lo stemma riconosciuto : tre torri che rappresentano i centri urbani della Contea, da sinistra verso destra: Albanella, Capaccio Vecchio e Li Casali di San Pietro” e ancora continuando: “ Tre monti che sovrastano i campi arati della piana, la cui fertilità è attestata dal mazzo di prodotti agricoli e la luna calante” richiamando ufficialmente ne suo destino di città il nome di Albanella che non tace chè anzi rispondendo Albanella a Capaccio avanza ancora in modo più solenne e segnando il suo controcanto conferma con lo stemma non solo la comune appartenenza alla stessa storia ma fregiandosi di tanto vanto ne onora nel suo stemma comunale la memoria associandolo, per il simbolo dei due cipressi, alla dolorosa distruzione della comune madre Paestum. Ricorda infatti lo storico Lucido di Stefano nel suo saggio “Della Valle di Fasanella” Aquara 1781, ed è oggi lo stemma ufficiale del comune di Albanella, che : “Formano l’insegna del suo suggello due cipressi, con due stelle sopra e alcune onde di sotto, indicanti, come io credo, la memoria dolorosa delle due città distrutte, di Pesto sua madre, e di Capaccio sua sorella, due lucidissime stelle e le onde dei fiumi Calore e Silaro,o sia Selo”. Una discendenza antica e solenne che vede da sempre uniti Albanella e Capaccio allo stesso cammino, se come conferma il sopravvissuto parallelismo popolare dei due toponimi di “ Capaccio Vecchio” vale anche per “Albanella Vecchia “ . E ancora oltre nell’immaginario cantare popolare quando, questa comune e condivisa appartenenza, facendosi canto, narra addirittura della stessa conformazione urbanistica dei due paesi e come: “Capaccio bello è fatto a quatto pizzi, re tutt’e quatto mme so’ nnamorato: a Munticiello so’ li mussi afflitti, Santuliveto li scummunecate, nCasecappolla ng’è la rosa reccia, nmienzo a lu Lauro la rosa ngarnata; si vuoi sape’ addo’ so’ le bellizzi: ra lu Tampone fi’ a lu Capostrata” così allo stesso Albanella : ”Arivanedda è di quattu pizzi e tutti e quattu l’aggiu camminati: a Casalunuovo ci su li dirilitti, nun trova paci pi li suoi piccati;a lu Purtieddu so li mussi afflitti, notte e ghiornu stannu accinnicati, a lu Curonu so li trascurati, pocu chiù nanti ri li scumunicati; a lu Puzziddu ci so li biniritti, ce lu riposu ri li nnamurati”! Una consapevolezza, una appartenenza ed una prospettiva di sviluppo che la storia dei nostri dei nostri due paesi “umilmente” ci consegna ed alla quale, oltre gli steccati che talvolta si alzano ai propri confini comunali, dovremo necessariamente tornare se vogliamo affrontare con beneficio le sfide difficili che il mondo ci impone e già da molto tempo! E’ tempo infatti che chi ha il governo di questi nostri paesi e della stessa “chora pestana” si apra e guardando con lungimiranza in avanti si promuova e facendosi artefice di tanta storia riprenda il vecchio cammino comune sollevandosi a quell’unico, condiviso destino “amministrativo“ che è la nuova, policentrica città della “chora pestana”, cui da più tempo e da più pagine appassionatamente ci chiama il nostro poeta Giuseppe Liuccio. Una città aperta che, puntando sulla necessaria sussidiarietà degli oneri e dei dei servizi, rimanga però rispettosa delle diverse e alte vocazioni territoriali di ogni paese, oltre guadagnando al nostro futuro e degli altri un modello di sviluppo compatibile e sostenibile. E come un tempo, noi che pure tenemmo radici greche, non mancammo, con la comune madre Paestum, l’appuntamento con la storia, così non mancheremo domani chè anzi segnando l’ora della nostra riscossa disegneremo finalmente quella grande “città della chora” che tornando ad unire per elezione tutte insieme le cinque sorelle, farà della nostra storia ritrovata il viatico più solenne al nostro futuro! Utopie, evasioni innocenti, dirà qualche nostro affezionato lettore o peggio ancora scorrerie bizzarre di uno storico dilettante che non trattenendo il suo amore per il passato, si lascia con il presente sfuggire anche il futuro. Un futuro che al netto della tara e “illuminato”da tanta luce storica, ”accecato”, io leggo da ostinato profeta, invece già tutto scritto e prossimo da venire se solo coloro che oggi hanno “orecchi per udire” ascoltassero e ascoltando,con saggezza e lungimiranza, ne fecondassero la tanta voce. Una voce antica eppure sempre presente e viva, se solo, rallentando un po’ “il dolce rumore della vita” come ci ricorda il poeta, noi tutti ci fermassimo un momento e ascoltando ascoltarla nei mille e mille “loghi” che ogni giorno in concerto di memoria ci parlano, dichiarando delle nostre comuni radici greche di quando insieme alle altre tre figlie di Paestum, Capaccio e Albanella furono le prime sorelle! Ah, se solo potessimo ascoltarla!
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