di Giuseppe Liuccio [email protected] Con la festa delle Palme comincia una settimana importante per le comunità del Cilento. Le chiesette dei centri storici, nella essenzialità delle linee architettoniche, e quelle di campagna, dove penetrano fiotti di sole tiepido e folate di profumi primaverili, sono teatro di ritualità rcche di fascno e cariche di messaggi e simboli. Sullo schermo della memoria danzano fotogrammi di vita e mi rivedo bambino festante con il ramo d’ulivo, carico di mandorle e fichi secchi, che ondeggia fra cento mani a cogliere gocce d’acqua lustrale dal celebrante benedicente. Ed il pensieri corre per immediata ed istintiva correlazione di immagini alle colline dell’interno ed ai terrazzamenti a pendio della costa, dove ulivi secolari s’inargentano alla brezza e cantano al vento sto rie di lavoro paziente e di saggezza e di sapere di antichi mestieri. Ed il paesaggio rurale della mia terra si dilata al Mediterraneo e alla Grecia e parla di leggende e miti, interiorizzati nel rigor e degli studi classici. E sull’Acropoli di Atene campegga bella e possente la dea protettrice con il su dono di vita e di lavoro:l’albero forte e fronzuto con radici profonde e rami sempreverdi per feste di vitto ria e frutti generosi per sapore di alimenti, unguenti di atleti nelle gare e profumi di donne nei ginecei. E l’eco rimbomba nelle arringhe dei tribunali ( “Per l’ulivo sacro” di LIsia) o nelle platee dei teatri (“Edipo a Colono “ di Sofocle). E canti antichi di poeti e salmi di sacerdoti officianti si fondono in un superiore concetto di cultura, che trascende la ritualità religiosa e si sublima nell’eternità della cultura mediterranea. Dalla oscurità di vecchie case e dalla penombra di cantine sotterranee emerge il miracolo del grano pallido sbocciato e cresciuto per incanto nei reticoli di stoppa inumidita e riempie di vita tenera piatti di ruvida creta e con la civetteria di grappoli screziati di violacciocche adora ed odora il “SEPOLCRO” DI Cristo ed esalta il sacramento dell’Eucarestia. Quel pane che, nel miracolo della transustanziazione, si fa corpo e quel vino che pulsa sangue nelle vene del “redentore” riaccendono nostalgie per tovaglie di candido lino e cesti stracolmi di pane croccante sul lungo tavolo della chiesa madre. E il sacerdote in camice bianco e stola violacea rinnova il fascino del mistero del “giovedì santo”. E ancora una volta la mediterraneità trionfa nel fasto dei suoi alimenti. . E le campagne biondeggiano dell’oro del frumento e s’ingravidano degli umori e dei profumi dei vigneti. E libri di scuola e reperti dei musei rovesciano nell’immaginario collettivo scene di conviti e quadri di vita agreste e dei e ninfe popolano templi e campagne, fiumi e boschi. E Demetra e Cibele, Hera ed Iside, Bacco e Pan, Priapo e Sileno occhieggiano dal pantheon del passato; e cr istianesimo e paganesimo, fede e superstizione, storia e mito si mescolano e si fondono nel superiore concetto di cultura; ed il razionalismo laico spesso si appanna e, a volte si arrende, all’inaccessibilità del mistero della religione per r inascere, poi, nella fecondità del dubbio e ritrovare equilibrio e serenità nell’esaltazione del libero pensiero.. E mercoledì 25 marzo, mentre scrivo queste r iflessioni la chiesa celebra una ingenua fanciulla di Nazareth, che apprese, nel fruscio di ali di un messaggero celeste, il concepimento dell’uomo/dio e si potò nel grembo il dono d’amore di una verginità non violata. E lo stupore non turbò il candore di un volto aperto al sorriso e trasmigrò sul filo dellle complici confidenze ad amiche e par enti Nell’intimità raccolta della penombra della basilica paleocristiana di Paestum si rinnova la ritualità di una festa che vede partecipi folle di fedeli scesi dalla cinta delle colline. Vi giunsi anch’io in un marzo lontanissimo e fu la prima evasione, il primo viaggio al seguito della mamma per la sua devozione all’Annunziata e nella ricca fiera sullo spiazzale della chiesa, si forniva di tenere pianti ne per l’orto. Vi giunsi, pellegrino spaurito e curioso; e fu stupore quel muraglione di cinta della città antica, quella porta luminosa spalancata su di un viale di cipressi, piante estranee alla flora della mia montagna, orgogliosa delle chiome delle querce e della solidità dei lecci; fu apparizione da delirio, incanto di magia quella fuga di colonne doriche, rosate nel bagliore del primo sole della primavera, quella sacrale maestosità dei templi antichi. E feci,forse allora, la mia scelta di vita. Fu cotta d’amore per storia ed arte antiche, per Grecia e Magna Grecia. E nel r igore degli studi avrei successivamente rifatto un cammino a ritroso a ritrovare le mie radici di uomo mediterraneo. Ed Hera pagana e madonna cristiana si sarebbero rincorse e fuse in metope ed icone con il volto rubicondo e soddisfatto di maternità, con bambino paffuto e sazio di allattamento, con l’esplosione di fecondità di una melagrana dai chicchi rosso/ rubino. Hanno una loro logica queste mie divagazioni di uomo greco del XX secolo che ritrova nel rito delle Palme le sacre radici dell’olivicoltura ateniese, nel grano del “sepolcro” e nel pane e nel vino dell’Eucarestia la fecondità della terra mediterranea e in quella madonna nera che dispensa sorrisi di maternità sulla collina del Calpazio la statuaria maestosità della Magna Mater, che fu Cibele Demetra, Iside ed Hera e, con nomi diversi, perpetuò il miracolo della vita, quella che r inasce e si perpetua ad ogni primavera e celebra il suo trionfo e si sublima nella ritualità della Pasqua di Resurrezione.. Anche la lettura laica del mistero della vita ha una sua profonda religiosità, la religiosità della Cultura, quellq con la C maiuscola che è saldamente ancorata nel bacino della mediterraneità
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