La nostra Associazione Asmef (associazione Mezzogiorno Futuro), nel 2015 compirà dieci anni di attività. Il Ministero degli Affari Esteri è uno degli enti patrocinanti. Asmef è un’associazione che ha per finalità quelle di stimolare riflessioni, dibattiti e studi sulla tematica dell’emigrazione,dalle origini ad oggi, tessere e rinsaldare rapporti con le nostre comunità all’estero ( 60 milioni sono le persone di origini italiane nel mondo), incentivare lo scambio di know-how tra gli imprenditori di origine italiana all’estero e quelli in patria. Da dieci anni l’Asmef organizza rassegne, autofinanziate, itineranti in tutto il sud Italia e all’estero (USA, Argentina, Canada, e Brasile) incentrate sulla tematica emigrazione, cercando di valorizzare gli aspetti culturali e imprenditoriali dei territori delle nostre periferie segnati dall’esperienza migratoria e che più hanno contribuito in termini numerici all’emigrazione verso l’estero, quali il Cilento. Asmef tende alla valorizzazione dell’identità italiana, convinta di coglierne appieno aspetti e sfaccettature attraverso la ricchezza culturale preservata dai nostri connazionali all’estero. Il recupero delle origini, il percorso che stiamo realizzando come nazione e la consapevolezza identitaria di noi, residenti in Italia, passa proprio attraverso la prospettiva che i nostri connazionali all’estero ci restituiscono. Come non provare imbarazzo ed emozionarsi quando personalità illustri, orgogliosi della loro origine italiana, nei momenti di massima gloria rivolgono il loro pensiero alla patria Italia, come nel 2010 fece Mauro Fiore, nel ritirare l’Oscar per la migliore fotografia, e non nella sezione film stranieri, ma nella competitiva sezione americana, mentre noi non esitiamo a ridicolizzarla e a sminuirla coi fatti, ancora prima che con le parole. Proprio nel 2010, Asmef incentrava la sua attenzione sull’emigrazione dal Cilento verso il Brasile, partendo da Vatolla, e registrando le testimonianze di coloro che hanno assistito alla partenza dei propri familiari, scegliendo invece di restare. La ricerca è continuata in Brasile, a San Paolo, dove la comunità cilentana è prestigiosa e numerosa. Strade, ponti, palazzi, scuole, ricordano di continuo la gloriosa epopea dei Matarazzo, degli Scarpa e di tanti gloriosi cilentani che hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo industriale ed economico del Brasile. L’accoglienza riservataci dalle istituzioni, dall’ambasciata, alla Camera di Commercio, dalla scuola Dante Alighieri alla scuola privata per bimbi italiani gestita e cofinanziata dalla straordinaria Sandra Papais, dall’Istituto Italiano a tutti i nostri connazionali, è stata coinvolgente e densa di emozioni. Il Brasile continua ad essere un paese con PIL in crescita, nonostante la crisi globale, rappresentando ciò un possibile spiraglio per le nostre realtà aziendali in affanno. Nel corso dell’incontro ufficiale con affermati imprenditori paulisti di origini italiane, si rivelava la disponibilità e il desiderio per la creazione di partnership con le imprese italiane. Rispetto alle dichiarazioni ufficiali, alle intime propensioni, ai discorsi intavolati, dalla parte italiana sembra ancora aleggiare uno spirito di sfiducia che induce all’inattività, che invece potenziali rapporti commerciali condizionati da forti contenuti evocativi e identitari, dovrebbero superare. Serbo il delicato ricordo di alcuni facoltosi cilentani-paulisti, che mi salutarono dicendo: “Non ci dimenticate, non ci dimenticate”. Noi di Asmef crediamo fermamente che la nostra ripresa e crescita potrebbe partire da loro, dalle tante Italie sparse per il mondo e che forse oggi rappresentano al meglio l’”italianità”. L’emigrazione alleviò le tensioni demografiche ed economiche nazionali, interessò intere famiglie dirette verso i paesi transoceanici in cerca di maggiore fortuna. Tra gli emigranti italiani, lo stesso dicasi in particolare per i cilentani, c’erano sì braccianti e nullatenenti, contadini e pescatori, operai generici ed ex militari, ma anche capaci imprenditori e professionisti dotati di ambite qualifiche come avvocati, ingegneri e medici. Tra il 1875 ed il 1913 il Brasile ne accolse non meno di 1.300.000, cioè il 44% degli ingressi totali. Gli italiani di successo in Brasile nacquero quasi sempre dal redditizio commercio d’importazione (soprattutto di prodotti alimentari tipici zonali), dalla nascente industria locale oppure tra le famiglie proprietarie di vastissimi latifondi monocolturali. Essi seppero creare fabbriche ed aziende anche di grandi dimensioni e divennero la necessaria base di partenza e di sviluppo della crescente economia brasiliana. Con il tempo, gli imprenditori ed i commercianti campani giunti in Brasile sul finire dell’800, con tanto lavoro, sacrificio e pesanti economie, divennero personaggi fondamentali per la crescita economica, sociale e culturale del Brasile. Di molti di loro, però, oggi rimangono scarse tracce storiche ed archivistiche, oppure sono stati del tutto dimenticati. Ne rimane memoria, in qualche caso, soltanto tra gli storici locali, nella toponomastica dei loro paesi d’origine o in quelli in cui ebbero successo. Molti di quelli che seppero sfruttare al meglio l’iniziale e disordinato sviluppo economico, demografico ed urbanistico di quelle terre provenivano dalla provincia di Salerno. Indispensabile tra gli italiani di successo furono le reti di relazioni esistenti, soprattutto fra compaesani poiché spinsero molti di loro ad affidargli i risparmi perché più scaltri ed abili. Furono accumulati così grossi capitali poi reinvestiti in un’economia in veloce espansione. Sorsero addirittura istituti di credito preposti agli investimenti nei maggiori settori strategici italo-brasiliani ed alla gestione delle copiose rimesse degli emigranti verso l’Italia. Il Brasile, d’altra parte fu terra di emigrazione meridionale fin da quando, l’imperatore d. Pedro II sposò nel 1843 la principessa napoletana Teresa Maria Cristina di Borbone la quale accolse a sé artisti e studiosi conterranei. La principessa napoletana sostenne l’afflusso di meridionali in Brasile e li aiutò quando poté come nel caso dei fratelli Francesco e Giuseppe Farano di Sapri, giunti a Rio De Janeiro sul finire del 1843, divenuti col tempo i direttori della zecca imperiale. Gli italiani si difesero in Brasile con l’associazionismo nazionale, regionale, provinciale e comunale, civile o religioso e, mediante i diffusi Patronati. All’inizio, molti di loro furono semplici mediatori di derrate tra la terra natia ed il crescente mercato brasiliano. L’esportazione di prodotti cilentani garantì una cospicua fonte di guadagno per cui sorsero numerose attività commerciali proprio per sopperire ai bisogni dell’accresciuta collettività campana in Brasile. Carmine Mazzarella di Castellabate per esempio, emigrato a 20 anni in Brasile, direttore del grande Mulino Matarazzo di Santos con l’annesso Panificio, nel 1921, insieme al fratello Oreste, aprì a São Paulo un centro commerciale dove vendeva i tipici prodotti alimentari meridionali. Divenne, soprattutto un grande importatore di vino «sanginella fino» cilentano che, acquistato direttamente a Castellabate e dintorni, imbottigliava, etichettava e commercializzava in tutto il Brasile riscuotendo grossi risultati economici ed imprenditoriali. Sempre nel campo dei rinomati vini cilentani, d. Antonio Criscuolo, importava nel popolare bairro della Moóca il ricercato vino dell’azienda «Pasquale Ruggiero» di Moio della Civitella. Molti cilentani, invece divennero proprietari di vaste o immense proprietà terriere sostituendosi ai più antichi portoghesi a quel tempo in crisi economica e demografica. Uno di questi fu Giuseppe Cesarino di Sapri che nel 1870 possedeva una fattoria tra le più grandi dello Stato di São Paulo. La sua ricca attività commercializzava in Brasile i propri prodotti, alcuni dei quali sostituivano ormai quelli cilentani. Nel settore agricolo, furono famosi i fratelli Gennaro, Domenico, Nunzio e Filippo Malzone, di Fornelli, i quali, stabilitisi nel 1887 a Matão nei pressi della città di Araraquara (São Paulo) dopo rocambolesche vicende, arrivarono a possedere la vastissima fazenda Trinidade di ben 450 alqueires d’estensione. Il medico, d. Giulio Gallo, originario di Licusati, invece divenne uno tra i più ricchi ed affermati produttori ed esportatori mondiali di caffè perché emigrato in Brasile nel 1904, aveva sposato d. Zica Jungueiras chiamata allora la «Regina del caffè». Anche il barone Annibale Pepi di Castellabate si trasferì a São Paulo dedicandosi all’importazione e vendita in Brasile di prodotti cilentani come la frutta secca lavorata ovvero il fico bianco del Cilento. Imprenditori di successo, impegnati nell’importazione e vendita di specificità colturali cilentane molto apprezzate in Brasile furono poi i fratelli Francesco e Manlio De Vivo di Castellabate, nipoti di Matarazzo, i quali fondarono con il barone Pepi la Loyas Reunidas De Vivo-Pepi. Tra i più ricchi cilentani del Brasile ci fu Nicola Scarpa, noto industriale in São Paulo originario di Gioi Cilento. L’azienda Scarpa era specializzata nella fabbricazione di olio, sapone e macchine per la lavorazione del cotone. Francesco Scarpa e suo figlio Nicola furono i maggiori industriali del Brasile di primo ’900 rilevando numerose aziende quali industrie di cemento, concessionarie di automobili, molini da zucchero, fabbriche di birra e fattorie di bestiame. Francesco Scarpa arrivò a possedere ben quaranta fattorie e nel 1918 divenne socio del vastissimo complesso industriale tessile Votorantim. Tra i più affermati importatori ed industriali del Cilento in Brasile fu senza dubbio Francesco Matarazzo di Castellabate, indiscusso leader della colonia italiana di São Paulo, figura mitica per i propri connazionali. Emigrato da Napoli il 25 novembre 1881 con la moglie ed i due figli, portò con sé un migliaio di lire in tasca, un carico di grasso di maiale, ma anche salumi, formaggi, olio d’oliva, vino, fichi secchi ed altri prodotti cilentani per iniziare lì i propri commerci. Tutto il carico di Matarazzo affondò però nella baia di Guanabara per cui dovette realmente partire da zero. Fu il settore della trasformazione dei prodotti agricoli il suo primo interesse, che poi divenne l’origine delle sue enormi ricchezze finanziarie. Di fatto, Matarazzo notò che i richiesti generi alimentari importati dal Cilento, per la difettosa confezione e l’imballaggio, e per i cattivi depositi dello scalo e dei centri di distribuzione arrivavano deteriorati ed erano causa persino di malattie. Tra i prodotti importati c’era poi lo strutto di maiale prodotto negli Stati Uniti, principale condimento della cucina degli emigranti il quale arrivava spesso rancido e deteriorato. Così Matarazzo incoraggiò i proprietari del luogo ad allevare maiali che comprò per produrre lo strutto tramite uno stabilimento dove lui stesso e la moglie lavoravano utilizzando le loro consolidate conoscenze familiari. Il suo segreto era che come si diceva nel Cilento “nulla va sprecato” soprattutto nel trattare la compravendita di carne di maiale. Per facilitarne poi la vendita lo inscatolò in piccoli barattoli di latta e questo gli garantì un rapido successo ed una veloce quanto straordinaria ricchezza. Altro prodotto ricercato dagli emigrati italiani divenne il motivo del suo arricchimento ovvero la farina prodotta dal suo primo mulino meccanico ed in seguito la pasta, la pane ed i biscotti dolci e salati prodotti dalle vicine panetterie e pastifici. Creò, così, in breve tempo ingenti capitali utili ad aprire nuove attività industriali e commerciali. Il giro d’affari, che nel 1907 era di 30 milioni di lire salì a 140 nel 1912, mentre i guadagni erano passati da 2 a 10 milioni di lire. Nel 1933, lavoravano nelle Industrie Matarazzo circa 15.000 operai, 600 esperti e tecnici, 30 direttori. La IRFM era composta da 170 proprietà, alcune delle quali di grande estensione e valore. Esse occupavano un’area di 1 milione di metri quadrati. L’impero Matarazzo nel 1936, controllava 365 stabilimenti industriali e circa 30.000 operai. Dopo qualche incertezza dovuta alla Seconda Guerra Mondiale il Gruppo con il figlio Francesco II si riprendeva e nel 1952 le IRFM avevano 30.000 operai, 5.000 lavoratori agricoli e 1.000 tecnici specializzati; coprivano un estensione di 2 milioni di metri quadrati ed i suoi veicoli, su strade rotabili e ferroviarie, trasportavano annualmente 600.000 tonnellate di prodotti. Francesco Matarazzo fu l’italiano più temuto, rispettato ed odiato del suo tempo, ed al suo funerale nel 1937 parteciparono, più di 100.000 persone che lo scortarono fino al Cimitero della Consolazione. Lo Stato brasiliano proclamò il lutto nazionale e le attività commerciali ed industriali rimasero chiuse. I pochi personaggi cilentani citati dimostrano il grande ruolo da essi svolto nella storia economica del Brasile del primo trentennio del ’900. Oggi è riconosciuto come gli elementi più attivi della borghesia industriale salernitana riuscirono a controllare parte notevole dell’economia paulista e brasiliana anche attraverso l’associazionismo filantropico e patriottico italiano d’oltremare, nonché a tenere un vivo legame con la madrepatria, che oggigiorno non sempre li ricorda in maniera adeguata.
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