Lo sbarco a Salerno (nome in codice operazione Avalanche), fu un’operazione militare di sbarco anfibio messa in atto dagli Alleati lungo le coste del golfo dell’omonima città di Salerno il 9 settembre 1943, nel corso della campagna d’Italia della seconda guerra mondiale. Con questa operazione, gli alti comandi Alleati intendevano costituire una importante testa di ponte nel territorio dell’Italia continentale, con l’obiettivo di creare un trampolino di lancio per la conquista di Napoli e il suo fondamentale porto, per rifornire le truppe alleate schierate nel sud Italia. Le forze statunitense della 5ª Armata statunitense del generale Mark Clark impegnate nello sbarco, si sarebbero inoltre ricongiunte con le forze dell’8ª Armata di Bernard Montgomery provenienti da sud, con i quali avrebbero poi attaccato le postazioni difensive tedesche nell’Italia centrale. Le truppe del generale Clark vennero violentemente contrattaccate dalle forze tedesche che il feldmaresciallo Albert Kesselring era riuscito a concentrare sulle alture dominanti il golfo di Salerno; gli anglo-americani si trovarono in grande difficoltà e il generale Clark temette un disastro. Attaccando lungo il corridoio del fiume Sele, che rappresentava uno spartiacque naturale tra i due corpi d’armata sbarcati nel golfo di Salerno, i tedeschi arrivarono molto vicini allo sfondamento, ma la tenace resistenza anglo-americana e il supporto dell’artiglieria alleata scongiurarono il disastro. Dopo dieci giorni di aspri scontri, gli alleati, che avevano subito perdite molto più elevate dei tedeschi, riuscirono a uscire dalla testa di ponte e riorganizzarsi in vista dell’avanzata verso Napoli, che venne conquistata il 1º ottobre 1943. I tedeschi al contempo preferirono ripiegare ordinatamente verso nord in direzione della linea fortificata, denominata linea del Volturno, arroccata nell’impervio territorio appenninico a nord del capoluogo campano, dove si prepararono ad affrontare gli alleati in avanzata Durante la terza conferenza interalleata di Washington, nel maggio 1943, gli Alleati decisero di comune accordo la continuazione della campagna di bombardamento contro la Germania e l’incremento delle operazioni nel Pacifico, ma lasciarono la pianificazione dei dettagli della strategia nel Mediterraneo al comandante in capo di quel teatro, Dwight Eisenhower, il quale avrebbe dovuto decidere come proseguire la campagna d’Italia dopo l’operazione Husky. Gli americani, che tenevano decisamente di più alla programmata invasione dell’Europa nordoccidentale, e nel contempo consideravano le esigenze nel Pacifico più impellenti, erano consapevoli del costo che il secondo teatro d’operazioni in Italia comportava in termini di impegno bellico ed economico e di come questo condizionava e procrastinava le questioni da loro ritenute più importanti. Mentre la campagna di Sicilia si avviava alla sua inevitabile conclusione, iniziarono molti dibattiti su dove si sarebbe dovuto attaccare nella fase successiva. Un’opzione che fu presa seriamente in considerazione fu l’invasione della Sardegna, caldeggiata da Eisenhower e dall’ammiraglio Andrew Cunningham, ma non da Winston Churchill, il quale propendeva per un attacco nei Balcani. Secondo lui una campagna in quel settore avrebbe impedito ai tedeschi di utilizzare significative materie prime, minacciando nel contempo le linee di comunicazione dell’Asse col fronte russo. A Washington non ne erano convinti, ma nessuno propose delle alternative, l’unica cosa di cui erano certi gli americani era che non dovevano esserci nuove campagne che intaccassero le risorse già destinate al secondo fronte o che minassero la campagna di guerra contro il Giappone. Il 24 luglio, dopo il drammatico bombardamento di Roma, il dittatore italiano Benito Mussolini ricevette il voto di sfiducia del Gran consiglio del fascismo, e l’autorità politica e governativa tornò nelle mani del re Vittorio Emanuele III. Da quel momento partirono le trattative segrete con gli Alleati, che il 3 settembre portarono alla firma dell’armistizio, che venne annunciato alla nazione da Pietro Badoglio l’8 settembre 1943. Nel contempo Albert Kesselring convinse Adolf Hitler che vi erano serie motivazioni per tentare una difesa della penisola a sud di Roma; in primo luogo a causa dell’impossibilità di evacuare le forze tedesche non senza dover rinunciare ad un grande quantitativo di uomini e materiali, e in secondo luogo, considerando l’importanza strategica del complesso di aeroporti nei dintorni di Foggia. Questa decisione fece scattare i preparativi tedeschi di mobilitazione dei reparti che sarebbero stati destinati alla difesa della penisola, e quando l’armistizio entrò in vigore, prese il via l’operazione Achse, ossia il piano elaborato già nel maggio 1943 dall’Oberkommando der Wehrmacht (OKW) per controbattere un’eventuale uscita dell’Italia dalla guerra, neutralizzare le sue forze armate schierate nei vari teatri bellici del Mediterraneo ed occupare militarmente la penisola. Il 14 agosto Churchill e Roosevelt si incontrarono a Québec, con i loro stati maggiori e i loro consiglieri. La conferenza confermò il 1º maggio 1944 come data dell’invasione della Normandia, e fu deciso che tutte le operazioni in Europa dovessero essere subordinate a questo scopo. Eisenhower ricevette l’ordine di accettare solo una resa incondizionata dell’Italia, conquistare la Sardegna e la Corsica e continuare a premere contro i tedeschi. In questo contesto, i comandi riuniti a Québec diedero l’assenso all’operazione «Avalanche», ossia il piano d’invasione dell’Italia continentale elaborato da Eisenhower e dallo staff della 5ª Armata statunitense. Gli Alleati erano pronti a rischiare nove divisioni per tenere l’Italia e permettere quindi alle forze aeree di schierarsi, ma né gli americani né i britannici consideravano Avalanche come il preludio per la conquista dell’intero paese.
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