di Giuseppe Liuccio
I dati statistici rilevano l’abbandono delle attività tradizionali da parte dei giovani. Ne è un esempio lampante l’agricoltura, un settore che ha costituito per secoli impegno costante di generazioni ed ha scandito i ritmi di vita di centri piccoli e grandi del nostro Cilento, lungo le coste assolate come sulle dolci colline ondulate, nelle brevi vallate ubertose come sui monti boscosi. Le ragioni vanno ricercate in un insieme perverso di concause: poca redditività del lavoro agricolo, eccessiva frammentazione della proprietà contadina, usura delle colture tradizionali, scarsa o, comunque, insufficiente meccanizzazione, bassa qualità della vita della gente dei campi (mancanza, spesso, di servizi elementari: acqua, luce, ecc,), carenza di un accettabile sistema di strade inberpoderali. Ma forse la prima è da ricercarsi in una sorte di rifiuto psicologico che ha ingenerato nei giovani l’errata convinzione che il lavoro in agricoltura sia socialmente degradante. C’è da giurare allora che lo spopolamento e l’abbandono in atto nelle campagne soprattutto nelle zone più impervie dell’interno sia destinato a galoppare verso la desertificazione delle attività con la poco allettante prospettiva dell’espansione del regno dei rovi, delle ginestre, delle eriche e dei lentischi, là dove un tempo, non tanto remoto, prosperavano ficheti ed uliveti, con effetti disastrosi sull’ambiente e sul paesaggio? Il timore è fondato e l’evento paventato è ritardato solo dalla sopravvivenza di una generazione forte e generosa, che, nonostante gli anni, dissoda e sarchia, pota e irrora, scruta il cielo e trema per piogge alluvionali e grandinate violente, gelate improvvise siccità prolungate e registra nello specchio tremulo degli occhi il miracolo delle gemme a primavera, del grano che imbionda con i primi caldi, dell’uva che si gonfia e traluce a settembre, delle olive che s’ingravidano di umori solari in estate e brillano nelle iridescenze viola con il primo autunno. Forse siamo alla vigilia della morte annunziata della dolce poesia georgica cilentana in una con la naturale decimazione di potatori e contadini tutto fare, bonari dei Pan delle nostre campagne? Rivivremo la straordinaria epopea della civiltà contadina solo attraverso i fotogrammi di memoria consegnati ai musei? Temo proprio di sì, a meno che…i giovani non riscoprano la storia dei padri e ne continuino, rinnovandola, la tradizione. E le condizioni ci sono tutte: le dighe del Carmine a Cannaloga e di Piano della Rocca sull’Alento assicurano sistemi di irrigazione all’avanguardia, consentendo rinnovo, reimpianto e redditività delle colture; la pratica dell’agriturismo facilita il recupero ed il riuso dell’edilizia rurale e la diffusione dell’imprenditoria agricola con risvolti positivi e consistenti sul reddito; la cooperazione può annullare l’atavico individualismo, ridurre gli effetti perversi della parcellizzazione della proprietà fondiaria. consentire progetti di meccanizzazione riducendo i costi, sperimentare nuove tecniche delle colture tradizionali, utilizzare al meglio e senza furbizie i fondi regionali, nazionali ed europei. Un esempio per tutti: nel mio esilio di lusso nella capitale qualche volta mi confondo con l’umanità varia ed anonima dei supermercati. Compro con ingordigia le piccole confezioni di fichi secchi che provengono dalla mia terra e che mi portano a Roma afrori, odori, sapori raccolti, concentrati e impacchettati (gli afrori, gli odori, i sapori) sulle luminose colline del Cilento antico. E sullo schermo della memoria si popolano le campagne cilentane,che, in anni non lontani, a settembre pulsavano di vita e di lavoro e sulle aie fioriva lo spettacolo di graticci stracolmi di fichi: i mondi (le mmonnate), i moscioni, le spaccate; e mani esperte ed abili le orientavano verso il sole e provvedevano alla selezione del prodotto destinato per buona parte al commercio e in piccola parte al consumo familiare. E chi non ricorda la straordinaria abilità delle nostre nonne nel creare pupazzi e figure geometriche utilizzando astucci di canne e fichi secchi per la gioia dei nipotini? Quel miracolo si rinnova in forma moderna innervata nella tradizione per l’intraprendenza di alcuni piccoli imprenditori, a cui si deve il profumato viaggio dei fichi cilentani in Italia e nel mondo. Questo esempio potrebbe essere seguito e con fortuna da tanti giovani, da soli o associati in cooperativa.
E quello dei fichi è soltanto un esempio. L’avventura si può correre per l’olio e per il vino (nei cui settori è in atto un positivo rilancio), per le castagne e per i frutti del sottobosco, per la zootecnia e per l’economia agricola di montagna, riscoprendo e valorizzando anche la dieta mediterranea, che da noi è nata e qui ha precedenti di grande valenza culturale. e che io propongo di chiamare “cibo degli dei”, anche per dare nobiltà e sacralità di cultura, riallacciandoci alla mitologia dei nostri Padri Greci e Latini e che si respira in ogni angolo del nostro Cilento Basta un pizzico di fantasia, la disponibilità all’associazionismo ed una buona dose di coraggio ed. il più è fatto. L’avventura si può correre. La scommessa si può vincere. Spetta, naturalmente, alla Politica fare la sua parte non tanto e non solo con risorse adeguate ma con la formazione delle nuove generazioni a praticare i mestieri dei padri, rinnovandoli, comunicando ai giovani lo spirito di intraprendenza e non parcheggiandoli nell’attesa, ormai quasi inutile, di un posto da parassita al comune, al consorzio, alla comunità montana, alla Provincia o alla Regione, promesso dal potente di turno. Ma spetta anche a noi del mondo dell’informazione fare fino in fondo la nostra parte di stimolo e di pungolo, accendendo i riflettori sui problemi reali del territorio e, magari, riducendo di molto l’attenzione sulle risse dei politici di piccola, media o alta statura che invadono con vanità e spesso con arroganza l’agorà mediatica.Quello dell’agricoltura è un mondo di grande potenzialità, soprattutto ora che a reggerne le sorti regionali è stato chiamato un uomo di grande capacità amministrativa, motivato e determinato e, quel che più conta, legato alla nostra terra, come ha ampiamente dimostrato in qualità di sindaco di Torchiara, prima, e di Agropoli, poi,Credo che in molti lo hanno scelto come punto di riferimento per alimentare speranze e costruire un futuro di rinascita delle nostre campagne, come consiglia e consente la nostra prestigiosa tradizione nel settore. Mi piacerebbe se l’amico Franco Alfieri puntasse a dare una “impronta culturale” anche in questo settore attraverso iniziative integrate tra:Turismo ed Agricoltura, Itinerari attrezzati alla scoperta delle strade del vino, le città dell’olio, le città delle castagne, agricoltura e mito, letteratura e agricoltura, musica e agricoltura, cinema ed agricoltura ecc, ecc.,utilizzando gli enti regionali preposti al governo di quello che fu e dovrebbe ridiventare il settore primario della nostra economia. E’ un modo, non l’unico, ma certamente efficace, per rimotivare i giovani al ritorno ai campi Il tema mi affascina e certamente ci ritornerò, perchè. sogno da tempo un concerto di musica, magari con le Quattro Stagioni di Vivaldi, o una recita di poesie scelte, su di un’aia di uno dei tanti paesi delle colline cilentane che sono spalancate sul mare dei miti e della storia Sarebbe da rivoluzione culturale teatralizzare Virgilio(Georgiche e Bucoliche, soprattutto), ma anche Omero(Canti dell’Iliade e dell’Odissea), e Teocrito, Esiodo (le opere e i giorni) Lisia (Per l’ulivo sacro) Sofocle (Edipo a Colono) ecc. ecc. Anche le campagne hanno una grande storia di cultura da esporre e proporre. Tornerò sul tema. Ma tu, Franco Alfieri, facci una riflessione.Buon Lavoro!