di Giuseppe Liuccio
E’ stato varato un progetto di ben 70 milioni di euro, che sono tanti, per arginare e ,possibilmente, eliminare il fenomeno preoccupante della erosione delle coste da Salerno a Paestum.Non sono un tecnico e mi astengo dall’ entrare nel merito con approssimazione e pressapochismo. Non è nel mio stile. Se mai avanzo qualche riflessione, auspicando finanziamenti ugualmente cospicui per tutelare ed esaltare la bellezza di un territorio che ha ben altri tesori da salvare a partire dalla fascia pinetata e trasmigrando dalla pianura alle colline e alle montagne della Kora, dove, tra l’altro, incombe, come spada di Damocle, lo sciagurato e dissennato progetto di una Centrale a biomassa..Che la vocazione di Paestum sia prevalentemente il turismo nel segno della cultura è risaputo. E il turismo, si sa,vende “beni e servizi”. I beni consentono un elenco considerevole di rilevanza straordinaria per qualità e quantità. Cominciamo dal “mare”,che, storicamente, è l’elemento principe del turismo balneare lungo chilometri di spiaggia sabbiosa con la specificità della fascia pinetata. Ma si potrebbe dire, provocatoriamente, il mare non bagna Paestum per il disinteresse quasi totale per un organico piano spiaggia che potrebbe e dovrebbe consentire di viverlo lungo tutto l’arco dell’’anno assumendolo a pretesto per incontri e “feste” che ne esaltino la grande storia sulle rotte del Mediterraneo, la prismaticità nell’arte, nella letteratura, nello sport, nella moda, nel lavoro, ecc. Continuiamo con” i fiumi”, “le sacre acque del territorio”, che consentono e consigliano itinerari di penetrazione dalla costa verso l’interno alla scoperta di storia,miti, leggende e tradizioni nella cornice di un paesaggio di fascino e malia. E che dire della “risorsa archeologia”, che non può e non deve esaurirsi nell’enorme patrimonio della città dissepolta (cintura muraria, templi, foro, terme, teatro, museo), ma dovrebbe trasmigrare lungo tutta la pianura ed arrampicarsi sulle colline della kora(Fonte, Albanella, Altavilla. Giungano. Trentinara. Eredita, Finocchito) alla riscoperta e valorizzazione di necropoli, santuari, ville rustiche , frurion/castra con itinerari attrezzati per il turismo scolastico e non solo? C’è ancora una Paestum Minore (Bambacaro docet), sconosciuta o quasi, ritmata da dimore nobiliari, casini di campagna, bufalare, borghi rurali, che hanno fatto la storia dell’agricoltura e sono testimonianza delle modificazioni del paesaggio lungo i secoli e che reclamano conoscenza della evoluzione dei costumi, delle tradizioni e dell’economia del territorio. A quando un coinvolgimento di scuole, associazioni ed ordini professionali che recuperino l’orgoglio di identità e di appartenenza, attivando ricerche e percorsi didattici in grado di stabilire rapporti e sinergie tra turismo e agricoltura, turismo ed enogastronomia con il ricco e variegato mondo di saperi e sapori, turismo e artigianato e chi più ne ha più ne metta.?A quando piccoli ma significativi investimenti per il “recupero del sacro”, che alita nella pianura e sulle colline e trova i suoi punti di forza in dee pagane e madonne cristiane, in martiri delle origini (San Vito) e santi del medioevo e della moderntà (Sant’Antonio) e che si materializza in cappelle votive, santuari spalancati sull’infinito, chiese cattedrali e conventi non privi di grazia architettonica? E perché non immettere nel circuito della fruizione dei mercati la grande storia dei paesi, che si materializza in castelli e palazzi gentilizi e che evoca sovrani spietati ed illuminati insieme(Federico II), conti, baroni e feudatari testimoni del notabilato che ha recitato un ruolo importante nel corso dei secoli? E che dire della civiltà contadina, le cui tracce sono ancora presenti nella pianura, ma anche, e soprattutto, nell’anfiteatro arioso delle colline dei crinali che ostentano con grazia disinvolta l’eleganza geometrica di vigneti ed uliveti e che, di fatto, sarebbero “le nostre Langhe”, se solo attivassimo percorsi attrezzati di esplorazione e fruizione? E per finire la CULTURA nel senso più ampio e totalizzante della sua accezione, che consentirebbe di immettere sui mercati lo scrigno inesauribile di “beni immateriali” se solo percorressimo la strada feconda dello “spettacolo che teatralizza la storia e della storia (ampia e variegata) che si fa spettacolo”, interpretando cuore d anima del territorio così ricco di spunti creativi, senza ricorrere a sciocchi ed improduttivi scimmiottamenti lontani mille miglia dalla nostra sensibilità.