di Giuseppe Liuccio
Qualche settimana fa nella buca della posta ho trovato
una gradita sorpresa. Il sindaco di Cicerale mi ha fatto omaggio di un calendario con ministoria corredata di belle foto della comunità cilentana, che dalle terrazze di luce delle colline si apre all’infinito di cielo e mare fin laggiù a Capri, oltre Punta della Campanella, da un lato, e alla costa dei miti, che da Licosa trasmigra giù giù fino a Palinuro, e che di sera accende, nelle baie raccolte, arabeschi di luci in gara con le stelle che brillano nel blu lavagna del cielo. Salle spalle le montagne del Cilento interno, il Cervati, il Gelbison, l’Antilia innevate, assorte nell’argento della luna piena. E’ uno spettacolo tutto da vedere e da gustare in questo inverno 2016 piuttosto mite, nonostante qualche capriccio di tempesta di vento, pioggia e neve. Sfoglio il calendario e mi accende orgoglio di appartenenza lo stemma comunale con quella pianta di cece in fiore incorniciata dalla dichiarazione identitaria “Terra quae cicera alit”. E scattano i meccanismi della moviola dei ricordi e della nostalgia e, soprattutto schegge di belle pagine di storia interiorizzate nelle mie frequenti peregrinazioni di amore e di cultura nei borghi cilentani contigui al mio. Fu feudo dei Carafa. Ne è testimonianza il Palazzo Marchesale, che si apre ai panorami ariosi e che, opportunamente restaurato per un riuso intelligente, potrebbe trasformarsi in contenitore di eventi culturali per tutto il territorio. La piccola piazza fa da postazione/vedetta alle case che, da un lato, caracollano verso l’Alento, che a Piano della Rocca rifrange sole e promette agricoltura di qualità con opportuni impianti di irrigazione a media collina in virtù di una diga ardita, intervento d’avanguardia europea in un Mezzogiorno povero. E quanto sogna il mio amico Franco Carpinelli, che lasciai alunno motivato sui banchi del Liceo Classico di Agropoli e che ritrovo sindaco fattivo e determinato della comunità, che gli ha dato i natali. Ha idee chiari e progetti credibili e praticabili per il territorio che amministra e che elenca con linguaggio comprensibile, senza clamori con la concretezza dell’umiltà del fare, che ne delinea il carattere. Me ne convinco ancora di più quando ripercorro, dall’altro lato i comodi tornati di una strada che punta su Giungano e Trentinara. Qui v’è una mia memoria di infanzia lontana tra colli gibbosi ed avvallamenti franosi, che pure furono trincea di lavoro per contadini alla difficile arte de vivere di una agricoltura di sussistenza tra vigneti generosi, ficheti a scivolo di passolare assolate e radi uliveti a ricamo di terre rossicce. Oggi qualche imprenditore intraprendente e lungimirante vi ha impiantato un vigneto di geometrica fattura che catturano sole e gonfiano umori ai vitigni fin giù a Giungano, facendo dell’intero territorio la nuova frontiera della vitivinicoltura di qualità. Ne sono protagonisti, qui Maffini, a Cannito Peppino Pagano e a Prignano De Conciliis. Mi carico d’orgoglio pensando alle tante opportunità della mia terra. Mentre da lontano mi ferisce di dolcezza e bellezza la cupola a minareto del campanile della Madonna di Loreto a testimonianza di passaggio dei monaci italo-greci. Chiamò a raccolta i fedeli di campagna perla novena e la festa di agosto con la bada e i fuochi d’artificio in una con il concerto di grilli e di cicale a fuga di serpi a rifugio di tane e passeri impazzidi a nugoli di volo. Ma penso anche alla statua lignea di San Giorgio e il Drago, nella parrocchiale di Cicerale a testimonianza della dominazione dei Longobardi, che trasferirono il culto del loro dio Odino nella rutualità micaelica e cristiana. E mi trafigge ancora di dolcezza il cuore il ricordo della festa grande per quel Santo Patrono, che rifrangeva sole alla spada vendicatrice tra strade e vicoli di devoti oranti nella lunga processione.C osì come ho memoria nitida della frazione di Monte che ti accoglie, a margine di strada, con la Chiesa di San Nicola e ritma la vita di lavoro e di fede della comunità fin dal XII secolo. Tra i muri sbrecciati occhieggiava il riso di una bocca di leone,ch succhiava linfa e vita dalle fessure inseminate dal vento per un atto d’amore. Che tenerezza la poesia della memoria! Ma il calendario mi accende memoria di una assolata giornata di agosto quando fui invitato ad un convegno sulla agricoltura biologica e fu gara con gi altri convegnisti nell’elogio del cereale, che l’ha rilanciata e che ormai viene servito con ricette della civiltà contadina e che il calendario ripropone con ricchezza di particolari mese per mese. Bene farebbero i tanti, troppi, sedicenti “esperti” di “dieta mediterranea”, se invece di cimentarsi in bla bla approssimativi venissero a fare una full immersion di umiltà , presso i contadini delle campagne di Cicerale. È un bagno di consapevole responsabilità che dovremmo fare tutti, soprattutto noi dell’informazione, che affrontiamo, spesso, con approssimazione, o, addirittura, superficialità, temi della nostra cultura e delle nostre tradizioni. Io mi riprometto di farlo,anche perché ho in animo di (ri)affrontare un viaggio/vagabondaggio di amore e di cultura attraverso tutti i paesi della kora pestana, consapevole e convinto come sono che il territorio ha ancora tante e tante sorprese da rivelare a chi ha cuore sensibile, orecchie aduse all’ascolto e ed intelligenza capace di interiorizzare a futura memoria. Grazie, bravo sindaco Franco Carpinelli, mio caro amico e motivato ex alunno, che con l’omaggio del tuo calendario mi hai dato l’opportunità di questa divagazione d’amore nelle nostre calde tradizioni. Complimenti per la tua attività. Ti abbraccio con l’impegno di venire ad assaggiare una pasta e ceci neri che mi manca e magari nel ristorante/terrazza, che con i profumi della campagna si affaccia sul “lago” della diga, dove mi portasti una sera di estate di due o tre anni fa. È un impegno.