di Oscar Nicodemo
Periodicamente, pare, il territorio di Capaccio Paestum, viene attentato dalla meschinità più deleteria, quella che pretende di essere valutata, a tutti i costi, come furbizia al servizio del profitto. Sistematicamente, infatti, salta fuori l’idea (ma a chi?) della costruzione di un inceneritore (mistificato con definizioni ad hoc) da ubicare sul suolo comunale. Da Cannito, passando per Valle Cent’anni, arrivando alla località Sorvella: i nefasti impresari della sciagura ambientale ci provano ripetutamente e in ogni modo, spostando l’asse di attenzione per diversi chilometri. Per quale motivo scelgano i nostri luoghi come meta dei loro affari e quale amministrazione o fazione politica locale funga da partner interlocutore, non è dato sapere. L’argomento è tale da non ammette fronzoli di nessun genere o divagazioni di sorta che potrebbero portare ad un esercizio di retorica e non a considerazioni di coscienza. Le opinioni, talvolta, necessitano di una concreta asciuttezza, e questa è una di quelle circostanze che ne richiedono l’uso.
Dato per scontato, che ognuno di noi sia quantomeno discretamente informato sul piano scientifico e storico delle biomasse, passiamo direttamente alle preoccupazioni che questo tipo di impianti suscita. La domanda di fondo è questa: quale biomassa verrebbe gestita sul nostro territorio? Basta una elementare ricerca per sapere che esiste la biomassa legnosa, data da alberi, colture dedicate o residui delle lavorazioni agricole; materiale sostenibile e realmente bio. Ce n’è, però, un’altra specie, definita biomassa per decreto ministeriale piuttosto che per caratteristiche tecniche. Difatti, si compara alla biomassa anche il Css (combustibile solido secondario), che, pur derivando dai rifiuti ne resta fuori dall’elenco, diventando gestibile, pertanto, come una biomassa combustibile.
Tanto per essere chiari: nel Css rientrano prodotti di matrice plastica. Va da sé che la combustione di una simile biomassa si traduce, nel tempo, quasi in un’arma chimica. Ad onor del vero, gli esperti sostengono che anche la stessa biomassa derivante dalla legna comporta dei gravi rischi. Essi asseriscono che ogni processo di combustione implica l’emissione di Cov (composti organici volatili), di diossine, di metalli pesanti contenuti nel legno e di particolato ultrasottile (nanopolveri), che sono la fonte di maggior pericolo per gli esseri viventi, legandosi alle molecole e generando forme tumorali. Pare certo abbastanza, inoltre, che una centrale che utilizza un processo di combustione, inevitabilmente immetta nell’aria particolati pericolosi e anidride carbonica.
Fin qui, l’aspetto salutare, che resta comunque fondamentale. Per gli altri risvolti inerenti all’installazione dell’impianto valgono le seguenti domande:
- Resta eticamente possibile salvaguardare un investimento e il relativo business arrecando danno ad una collettività e alle sue future generazioni?
- La località Sorvella, sito che dovrebbe accogliere la struttura a biomassa, è da ritenersi territorio dell’antica Poseidonia. Può, l’area pestana, col suo arredo culturale e paesaggistico, essere interessata da una realizzazione così sconveniente, senza comprometterne il flusso turistico e, dunque, gran parte dell’economia?
- Può essere considerata una priorità, o rendersi necessaria, una struttura che rovinerebbe su tutte le altre e sulle reali esigenze del territorio, provocando una serie di orribili brutture, a partire dall’inquinamento dell’aria per finire ad un insostenibile traffico di mezzi pesanti che andrebbero a scaricare immondizia tossica in un territorio storicamente tanto elitario?