di V.G.
Sulla riforma delle BCC abbiamo intervistato il Direttore della BCC di Aquara, Antonio Marino, che dirige ininterrottamente la Banca da ben 38 anni. Una Banca che ha avuto una crescita costante, una Banca che è diventata un valido punto di riferimento per le comunità dove opera. Una Banca che ha più volte preso posizione su questa riforma delle BCC; una posizione dettata dalla preoccupazione più che dalle certezze.
Qual’è lo stato di salute attuale della BCC di Aquara?
Direi ottimo. Indipendentemente dalle dimensioni aziendali, perché delle nostre BCC anche la più grossa è pur sempre piccola, mi preme sottolineare l’armonia che regna tra le voci del nostro bilancio. A fine anno la raccolta diretta supererà i 230 mln (+ 7,5%), gli impieghi per cassa i 145 mln (+ 6,5%), le sofferenze nette sono il 2,1% degli impieghi vivi, il patrimonio (mezzi propri) raggiungerà i 29 mln, pari al 20% degli impieghi, il prestito medio utilizzato è di € 21.200. Abbiamo 9 filiali e 48 dipendenti effettivi. Si prevede un utile netto di almeno 2,5 mln. Sono cifre di tutto rispetto, frutto dell’azione di persone normalissime non certo di marziani.
Perché la BCC di Aquara si è spesa tanto per questa riforma in itinere delle BCC?
Semplicemente perché non condividiamo lo spirito di questa riforma. Le nostre perplessità le andiamo evidenziando dal marzo scorso quando facemmo quel convegno a Paestum, con tutti i nostri Soci, in cui mettemmo in chiaro i nostri dubbi.
In generale, non siamo d’accordo con lo spirito dirigistico di questa riforma. Il giorno in cui le nostre BCC prenderanno ordini da Roma saranno tutt’altra cosa da ciò che sono state finora. Le BCC, ex casse rurali per intenderci, devono mantenere la loro organizzazione locale di piccole repubbliche del credito. Diversamente, sono inutili perché omologate alle altre banche di interesse nazionale. Il problema di fondo al nostro interno è che diventa sempre più difficile far coesistere sotto lo stesso ombrello normativo banche così diverse per dimensione e per radicamento in territori economicamente non certo omogenei.
Tutta la riforma mira a inseguire nuovi capitali sul mercato a fronte di maggiori rischi sistemici legati alla qualità del credito ma ignora totalmente che i nostri problemi sono maturati nelle BCC più grosse e che sono stati generati dall’inadeguatezza del fattore umano più che dal fattore monetario.
Deve passare il concetto che meriti o demeriti non sono riconducibili alla ragione sociale della Banca ma alla qualità delle persone.
Se non mettiamo dei paletti precisi e stringenti alla qualità della nostra governance, tra qualche anno avremo consumato anche i nostri nuovi capitali e saremo punto e a capo…
Inoltre, se vogliamo aiutare le banche più piccole (e le BCC sono tutte piccole) bisogna liberarle da questo diluvio normativo che le ha investite negli ultimi tempi e che le costringe a distogliere energie vitali dalla rete commerciale. La burocrazia in genere se non è semplificazione, genera dannosi populismi. Europa docet!
Quali sono i correttivi che voi proponete?
Intanto bisogna dire che oggi nulla è facile, nessuno ce la può fare da solo, nessuno è al riparo da errori di ogni genere, nessuno può dire di avere la soluzione ottimale. Io sono personalmente molto preoccupato delle difficoltà che ogni giorno si presentano e per la mia capacità di farvi fronte.
Le BCC non sono banche da salvare, sono solo banche che, forse, hanno bisogno di fare un tagliando normativo.
Noi abbiamo semplicemente detto che per ipotizzare una buona riforma bisognava analizzare attentamente la casistica delle BCC che hanno avuto problemi per capire quali erano le comuni motivazioni delle difficoltà. Non si può ipotizzare una buona riforma se non si conoscono a pieno le pecche che motivano i cambiamenti.
Poi occorre tener presente che chi ci ha governato mentre scivolavamo verso la necessità di una riforma “riparatrice” non può certo essere idoneo a governare il cambiamento. E’ una considerazione che discende dalla logica non certo dalla sfiducia verso qualcuno.
Il nostro deficit oggi non è tanto finanziario quanto di cultura cooperativa. La finanza non genera cultura ma la cultura può generare finanza. Ecco perché noi diciamo che le BCC oggi hanno bisogno di alcuni correttivi nello scegliere i propri amministratori.
Più in dettaglio, cosa proponete?
In particolare noi diciamo che:
– nessun amministratore deve fare più di 2/3 mandati dopodiché deve stare fermo almeno per un turno elettorale. Abbiamo costante bisogno di nuova linfa non di staticità;
– bisogna porre un freno serio ai compensi. Ci sono in giro troppi esempi negativi su questo aspetto;
– bisogna porre un freno al mercimonio delle deleghe. Nelle BCC sotto i 2.000 soci le deleghe non dovrebbero assolutamente esistere: la democrazia (soprattutto economica) non può essere delegata, o è partecipata o non serve;
– gli amministratori ( e sindaci) delle BCC con crediti deteriorati oltre una certa percentuale rispetto agli impieghi devono automaticamente lasciare i loro incarichi;
– ogni BCC deve avere almeno il 25% dei propri sportelli ubicati in Comuni con una popolazione inferiore a 5.000 abitanti;
– gli amministratori delle BCC che chiudono un bilancio in perdita non devono percepire compensi nell’anno successivo;
– prevedere un modello di tutela basato su un fondo di garanzia forte e partecipato oppure su gruppi bancari che lascino piena autonomia (anche strategica) alle BCC sane e meritevoli.
Come se ne esce da questa situazione?
Bisogna capire tre cose fondamentali. Prima cosa, non possiamo buttare a mare le tantissime BCC virtuose per salvare alcune mele marce. Secondo, le BCC hanno un target di mercato diverso da quello delle altre banche e pertanto si deve superare il modello unico di proporzionalità per andare verso norme snelle pensate solo per loro (come negli USA). Terzo, bisogna recuperare una efficienza complessiva del sistema. Oggi abbiamo troppi sprechi negli organismi di secondo e terzo livello. Basta guardare i loro bilanci per capire che la situazione non è più sostenibile. Se evitiamo gli sprechi non abbiamo più bisogno della riforma e ci avanzano anche un pò di capitali…
Oggi, occorre salvaguardare la parte sana del movimento: quelle BCC anche di piccole dimensioni che hanno saputo interpretare al meglio lo spirito del movimento e che adesso non vanno “incatenate” ad un sistema basato sulle stesse inefficienze del passato. Ciò deve avvenire al fine di rafforzare e non indebolire le parti più solide del sistema. Occorre perciò individuare assetti e soglie minime dimensionali e favorire la semplificazione del sistema.
Bisogna, insomma, evitare quel “tutti assieme appassionatamente” che ci vuole portare verso mete indefinite all’insegna del “facciamo di tutte le erbe un fascio…” solo per fare il gioco utile a qualcuno più che al collettivo. La rivoluzione del merito, di cui si avverte sempre più bisogno in Italia, non costa nulla e dà frutti eccezionali.
Nessuno si è mai chiesto perché non siamo capaci di intervenire all’inizio di una crisi bancaria ma solo alla fine, quando tutto è irreversibile. Questo problema la riforma non lo risolve.
La convince la soluzione tipo Credit Agricole?
Non capisco perché dobbiamo prendere esempio da altri in Europa e non essere noi da esempio, visto che abbiamo alle spalle una gloriosa storia di 130 anni.
La soluzione Credit Agricole toglie autonomia. Essa è del tutto diversa dalla nostra attuale organizzazione. Sono circa 2500 banche con una media di tre sportelli ciascuna, raggruppate in 39 casse regionali ed un gruppo nazionale. Quindi sono molto frazionate. L’esatto contrario delle fusioni che ci stanno suggerendo di fare. Andiamo verso un contrordine? Sono poco più che semplici filiali organizzate in maniera molto accentrata. Godono di una autonomia fittizia perché le direttive arrivano tutte da lontano. L’esatto contrario delle nostre attuali BCC. L’esatto contrario di quello che si aspettano i 370 CdA delle nostre BCC. Un esercito di circa 4.500 unità tra amministratori e collegi sindacali che sono croce e delizia del nostro movimento anche se sono attualmente soggiogati dal “cerchio magico” che governa il nostro movimento. Non so cosa accadrà quando il “popolo bue” capirà che è stato sacrificato sull’altare della riforma “ad personam” …
L’unica cosa che possiamo e dobbiamo copiare da Credit Agricole è la loro democrazia interna: il loro gruppo dirigente è vera espressione del voto delle singole associate!
In conclusione mi sento di dire che è auspicabile un ritorno al passato più che una corsa verso un futuro incerto. Il futuro ha un cuore antico. Abbiamo tutti nostalgia delle vecchie casse rurali quando il limite di fido assembleare era basso e le sofferenze non crescevano perché stavamo con le famiglie e le piccole imprese… Bisogna salvaguardare la biodiversità bancaria del Credito Cooperativo perché è utile alle comunità dove opera. Non serve un’altra “catena” di sportelli diretti in maniera accentrata, non sarebbero certo una novità.