di Luigi Rossi
La certezza dei cristiani è Gesù nostra pace, come si legge in Efesini 2,14. Essa proviene da Dio e, grazie all’annuncio del Vangelo, diventa respiro dell’umanità che spera; perciò, la vita del Padre si manifesta nella comunione tra gli uomini che si sentono fratelli. Così si ricostruisce la città dell’uomo, che diventa anche la città di Dio grazie a chi é disponibile al dialogo, pronto a scelte di vita segnate dal senso di responsabilità che arricchisce e rende sapida e bella la comunità civile. L’esempio di Gesù corrobora la nostra esperienza, chiamata a intraprendere il viaggio per andargli incontro. Esso trova definitivo e salvifico compimento nella misericordia perché lo Spirito opera nella quotidianità di chi è intento a comprendere la sua azione generosa, i cui frutti sono amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Galati, 5,22).
Dovrebbe essere la testimonianza della Chiesa, capace di attrazione ma soggetta anche a critiche non sempre immeritate. Si sollecita il coraggio di proclamare l’urgenza di un’azione che aiuti a scoprire la presenza di Dio, che opera in modo sorprendente nel mondo. Siamo chiamati al discernimento per rinverdire con la nostra la speranza chi è in viaggio con noi, esperienza che si può riassumere con la parola misericordia, sentimento d’intima commozione che genera compassione, dinamica che spinge all’impegno per il senso di pietas espresso in modo sublime dal Buon Samaritano (Lc 10,37). E’ la misericordia che Dio manifesta a Elisabetta rimasta sterile, o di Gesù al cieco di Gerico (Mc 10, 47-8) dopo aver proclamato nel discorso della Montagna “Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia (Mt. 5,7).
Da qui la portata del Kyrie eleison che da inizio alla celebrazione eucaristica; l’invito è rivolto a tutta la Chiesa e a ciascuno di noi: «Rallegrati … esulta!» (Sofonia 3,14). Il motivo della gioia è espresso con parole che infondono speranza e permettono di guardare al futuro con serenità. Il Signore ha revocato ogni condanna e ha deciso di vivere in mezzo a noi. Non possiamo lasciarci prendere dalla stanchezza; non è consentita la tristezza, anche se ne avremmo motivo per le tante preoccupazioni e le molteplici forme di violenza che feriscono l’umanità. La venuta del Signore deve, però, riempire il nostro cuore di gioia e aprirlo alla fiducia perché: “Dio protegge” il suo popolo. In un contesto storico di grandi soprusi e violenze ad opera soprattutto di uomini di potere, Dio fa sapere che Lui stesso regnerà sul suo popolo e non lo lascerà più in balìa dell’arroganza dei governanti, lo libererà da ogni angoscia. Ci viene chiesto di non scoraggiarci a causa del dubbio, dell’impazienza o della sofferenza perché «Il Signore è vicino» (Fil 4,5). Perciò dobbiamo rallegrarci sempre e con la nostra affabilità testimoniare la cura che Dio ha per ogni persona.
La Porta Santa aperta in tutte le cattedrali del mondo è un segno per reiterare l’invito alla gioia perché è iniziato il tempo del grande perdono. Il Giubileo della Misericordia è l’occasione per riscoprire la presenza di Dio e godere della sua tenerezza di Padre. Come le folle che interrogavano Giovanni, anche noi chiediamo: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10). La risposta non si fa attendere: agire con giustizia e guardare alle necessità di quanti sono nel bisogno, varcare la Porta Santa per essere strumento di misericordia, consapevoli che su questo saremo giudicati. La fede in Cristo sollecita un cammino che dura tutta la vita per essere misericordiosi come il Padre e testimoniare un amore che va oltre la giustizia, non conosce confini e di cui siamo responsabili, nonostante le nostre contraddizioni.
Il mondo ha bisogno di misericordia e di compassione. Abituati alle cattive notizie e alle atrocità che offendono Dio, dobbiamo riscoprire che Egli è Padre. Sovente la Chiesa cade nella tentazione di porre attenzione solo alle norme senza preoccuparsi di chi resta fuori, ferito e distrutto dalla perdita di speranza! I malati vanno curati, aiutati a guarire; questa é la misericordia. Il traffico di armi, l’assassinio d’innocenti nei modi più crudeli, lo sfruttamento di persone, bambini sono un continuo sacrilegio dell’umanità, perché l’uomo è l’immagine del Dio vivo. Il Padre dice: “Fermatevi e venite a me”; ci guarda con misericordia e ci perdona, scoperta che induce ad avere un atteggiamento più tollerante, paziente, tenero. Così si determina la rivoluzione della tenerezza dalla quale può derivare un’autentica e solida giustizia.
Peccato e perdono, libertà e grazia sono le componenti radicali di una grandiosa riflessione. Non si tratta di un perdono automatico, che ignora le esigenze della giustizia. Ciò è possibile grazie al Natale di Gesù, che si è caricato delle nostre sofferenze (Isaia 53, 4-6). La sua debolezza di servo di Jahvé è la nostra forza, il suo dolore la nostra gioia, il suo sacrificio la nostra salvezza, la sua passione la nostra redenzione, la sua umiliazione nostra risurrezione. Nella riconciliazione cristiana la passione di Cristo diventa la sorgente della liberazione, disponibilità di un cuore nuovo (Ezechiele 11, 19-20). A quello incrostato dal gelo dell’egoismo e dell’odio si sostituisce una coscienza vigile, sensibile, amorosa se, come asserisce Agostino, perdonati perdoniamo perché perdonando siamo perdonati.
Gesù lo annuncia fin dal suo primo apparire: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino (Mc 1, 14-15). La storia della redenzione e della salvezza in Cristo giunge alla pienezza. Credere al vangelo si accompagna alla conversione, non gesto esteriore di penitenza e rito lustrale, ma scelta profonda e decisiva per orientare verso nuove direzioni la propria volontà e la propria esistenza sul presupposto che operiamo secondo il metro di ciò che desideriamo gli uomini facciano a noi (Lc 6,31-38), atteggiamento di amore che supera le leggi dell’economia, che travalica persino il buon senso e, nella sua radicalità, diventa imitazione di Dio, Padre di tutti. La riconciliazione é anticipazione dell’armonia finale tra Dio e la creatura redenta (Romani 5,8-9) perché gli uomini sono diventati imitatori di Dio (Efesini 5,1-2). Cuore di quest’appello è seguire l’esempio di Cristo attraverso l’agape perché camminare nella carità è il segno più autentico della sincera conversione (Gv 13,15).
Ne deriva la necessità di ringraziare con gioia il Padre (Colossesi 1,12-14). La remissione dei peccati ci fa partecipi della risurrezione di Cristo, che si ramifica in tutti i fedeli; infatti, la riconciliazione non è solo liberazione dal male, ma anche ingresso nella gloria e nella vita divina se il fedele lascia cadere le spoglie dell’uomo vecchio e si cinge dell’abito tenuto insieme in modo armonico dalla carità, vincolo della perfezione (Colossesi 3, 8-10.12-17). Allora acquista nuovo significato il decalogo, esame di coscienza nella sua dimensione verticale con Dio nei primi tre comandamenti – appello alla purezza della fede, religione senza superstizione, impegno nel culto – e in quella orizzontale per le relazioni con i fratelli esaltando quelle sociali a partire dalla famiglia, rispettando la vita, la santità del matrimonio, la tutela della libertà, il diritto all’onore per ognuno, l’autonomia personale e la distribuzione dei beni.
Il culto senza la giustizia è una farsa, il sacramento ricevuto senza quotidiano impegno è magia, la preghiera separata dall’esistenza si rivela una parola vuota, la liturgia che non converte si riduce a rito di società. Allora, mentre ci scambiamo gli auguri, varcando la soglia della porta della misericordia, intoniamo coralmente il nostro Miserere, canto nel quale emerge il bisogno di adorare Dio, la riconferma del proposito di amore, la disponibilità all’offerta, il ringraziamento per i doni ricevuti, il pentimento per le colpe e la richiesta al Padre, pur nella consapevolezza dei propri peccati, di contemplarlo passando attraverso il prossimo, inscindibile unione tra rito e vita grazie al perdono che trasforma l’esistenza e genera una conversione sincera, frutto di un cuore contrito.
In tal modo si vive secondo i dettami del discorso della montagna, ritratto del cristiano in tutto il suo splendore perché, se il peccato l’ha deformato, la riconciliazione ne restaura la luce. Poveri in spirito e puri di cuore, atteggiamento globale e costante, siamo liberati dall’idolatria della ricchezza, del potere e dell’orgoglio, la mitezza ci apre alla giustizia, frutto dell’essere misericordiosi. Operatore di pace, pronto ad accettare persecuzioni e afflizioni per amore della verità, l’uomo è esaltato perché gli si concede l’opzione per la vita e per il bene, cuore della morale. Fede e conversione richiedono silenzio e solitudine, sembra quasi che Dio si ritiri perché l’uomo possa esercitare in libertà la scelta dopo aver sperimentato che Lui è la vita e, scegliere per la vita, assicura un futuro di gioia.
E’ l’augurio per il 2016: dal natale del consumatore alienato, al Natale del Misericordioso!