Marco Vecchio ha inaugurato venerdì 13 novembre 2015, presso il Luogo d’Arte Carmine Pandolfi, in via Picasso ad Agropoli, l’ultima sua produzione di opere “consapevole che, nella nostra epoca, la superfetazione dei codici e l’abbondanza dei circuiti comunicativi hanno reso quanto mai problematica qualsiasi mediazione. Ciò lo porta a proiettarsi verso la propria essenza, a superare cioè la soglia della propria coscienza infelice al fine di cogliere, nel segreto della propria interiorità, la geometria delle proprie passioni…” Scrive così Gerardo Pedicini nel presentare la mostra dell’artista che, nonostante la sua giovane età, ha già al suo attivo, in mostre personali e collettive in Italia e all’estero una nutrita e ricca esperienza che ha interessato, per il rigore della sua ricerca, numerosi critici dell’area visiva. Nelle opere presenti ad Agropoli, Marco Vecchio, su tela, superfici lignee e cartoni, con tecniche miste che variano dalle tempere allo smalto, scompone il suo universo di segni e di simboli in un disordinato ordine in cui la geometria del segno ricompone i vari elementi delle composizioni in una sorta di almanacco e di grammatica della storia dell’arte. Geografia della fantascienza in cui gli elementi, i frammenti del proprio vissuto e la confusione del contemporaneo si fondono attraverso la mitologia del mistero, di un mondo che non esiste se non attraverso le linee di una cultura post-metropolitana. I soggetti e la natura rappresentati da Marco Vecchio, seppure iconograficamente identificabili, assumono, nella suddivisione marcata e decisa dei colori, per scomparti, una dimensione atemporale, sospesi in attesa di un evento futuro, di una prossima e urgente nuova stagione dell’arte.
La mostra è stata visitabile fino al 2 dicembre 2015, accompagnata, come già detto, da un esauriente testo di Gerardo Pedicini che, nell’analisi delle opere, sottolinea “il sacrum silentium alla ricerca di ciò che manca alla nostra coscienza”. Di una nuova e fresca stagione dell’arte di cui Marco Vecchio è, in Campania, uno dei più rappresentativi testimoni del “nuovo”.