di ORESTE MOTTOLA
Volete far irritare l’autore del libro “Il Coraggio della Rivoluzione”, dedicato a quel Cilento che si rivoltava abitualmente nell’Ottocento e ora vive placido tra paesi ricchi di storia ma disabitati e strade franate? Paragonatelo ai Bossi e Salvini. A 79 anni vi verrà a cercare dove siete e ve ne chiederà conto. Sempre, però, con il garbo di chi si è formato nella linea tra Sapri, Padova e Ferrara. Benito Imbriaco, creatore del “Movimento Cilento”, il gruppo che da quasi quarant’anni auspica la regione autonoma, verde ed ecoturistica del Cilento. Imbriaco per laurearsi a Ferrara ha fatto finanche il poliziotto non al riparo della scrivania ma nel reparto celere di Padova. Poi è professore alle superiori, ma a Ferrara. Nella città estense, dal 1970 al 1980, è consigliere comunale socialdemocratico. Sfiora l’elezione in Parlamento, essendo il primo dei non eletti. Le soddisfazioni elettorali finiscono qui. Invece di insistere Benito apre il capitolo della nostaglia che lo poterà a rientrare per dividersi tra l’avvocatura, l’imprenditoria e le battaglie civili. L’origine è l’Edengarden, un camping su cui decide di investire e che gli attirerà gravi persecuzioni politiche e del magistrato allora in carica a Sapri, esponente di una potente famiglia di toghe ancora oggi insediata in tutti i più alti gradi della magistratura. A tutto questo Benito Imbriaco associa regolare attività giornalistica in giornali e tv. La sua militanza è sempre molto misurata tanto che il riscontro elettorale che consegue è sempre poco più che decoubertiniano. Novantuno voti totali alle ultime elezioni regionali dove correva con Mo’ di Marco Esposito. Non se ne adonta. Per lui l’importante è far conoscere alla gente i suoi tanti progetti per il Cilento. Dalla sesta provincia alla città del Parco, dalla macroregione meridionale nel segno dell’ecoturismo, dal Grande Sud federalista alla Terra degli Enotri, la prima elaborazione è sempre sua. Poi i politici e i docenti universitari se ne impadroniscono e, soprattutto i cilentani, corrono a osannare le lusinghe da convegno o direttamente comiziale, di questo o quello onorevole. E su questi furti, per fortuna solo intellettuali ecco spuntare carriere e prebende. Benito il mite, ora non ci sta più, e a sue spese, presso i tipi di Cgm di Agropoli, ecco prendere vita il suo libro – vangelo su di un Cilento orgogliosamente autonomo. Imbriaco non ha neanche la rabbia di un preciso filone di cilentani che (avendone ben donde per eccesso di materia prima) si attardano a denunciare veri o presenti su questa o quest’altra opera. O sulla gestione o meglio evidente mala gestio degli enti. Il mite Imbriaco in 125 pagine inserisce solo una narrazione positiva delle cose che potrebbe diventare ancora migliore se – come lui auspica – ai cilentani fosse consentito di fare maggiormente da soli. Sì, fare da sé. A dire che il Cilento è terra di orgogliosi individualisti è un luogo assai comune: “Robba passata, desueta”, mormorano in film di Totò. Quel Cilento che nelle difficoltà si distingue in poesia. Questo è un territorio di anarchici e mistici, cantautori e poeti. Grandi artigiani che, proprio come Maradona, l’ascia la portano, magari a occhi chiusi, a crear meraviglie, come Coccaro a Sacco e Campitiello a Stio. Con grandi agricoltori e dei tanti che hanno traversato con successo tante vite. Provetto latinista e sindacalista dei braccianti, sindaco e creatore della più moderna e bella cooperativa che ha riorganizzato la raccolta delle olive a cui ha affiancato il ristorante preferito di Antonio Bassolino e molta Napoli bene, ma a S. Mauro Cilento. Sì, lui Cilento Peppino. Professore, musicista di tutti i generi, è Santino Scarpa da Salento, rockers e bluesman negli anni ruggenti, oggi fa musica colta ed è apprezzato da Gillo Dorfles a Dario Fo. Benito Imbriaco è l’epigono di questo piccolo mondo antico che attraverso il sogno di una sua architettura istituzionale vorrebbe fare meglio e di più. E con garbo anche eccessivo sogna la sua rivoluzione di velluto. E non ha paura di rimettersi in discussione. Benito Imbriaco cambia anche il simbolo, non più la rondine, ma l’aurora, per ricominciare e rinascere. Una storia lunga quella del movimento: nasce a metà degli anni ’70 con la proposta di una gestione autonoma del comprensorio che va da Capaccio a Sapri, dialogando col Vallo di Diano; manifestazioni, cortei a Roma e bozze per proposte di legge. Qualche anno fa l’allora sindaco di Vallo della Lucania, Luigi Cobellis, verrà eletto alla presidenza. Si giunge così alla proposta di ristrutturare il movimento con un’azione più profonda nei comuni. In Imbriaco è assente un’ottica di parte ma predica invece una via largamente cooperativa. Che ora si fa culturale con quel libro che traccia la via dell’autonomia. Anche il sottotitolo è significativo: “per amore verso il mio Cilento”.