C’è un solo modo che hanno gli uomini per restare immortali: il ricordo. Quel giorno, il 9 maggio del 1978 non è morto Moro e nemmeno Impastato hanno solo sancito una linea di confine fra essere uomini ed essere Eroi. Certo, Eroi come lo sono Falcone e Borsellino che hanno dato in cambio la loro vita per una ragione semplicemente oltre l’orizzonte della logica umana.Vivere sapendo di morire per quei valori che non puoi far a meno di portare avanti. Come un riflesso condizionato. Moro dal canto suo, aveva portato avanti battaglie nel campo civile rivoluzionando la politica dell’epoca e creando un ponte non solo politico ma anche culturale col Partito Comunista. La politica intesa da Moro era ciò che di più semplice ed elementare possa esserci: l’inclusione. Abbattere quelle frontiere politiche per il bene comune conservando, ognuno a suo modo, le proprie diversità. Questo probabilmente era considerato sovversivo forse ai limiti della blasfemia considerando che il mondo era spaccato in due parti uguali dal Muro di Berlino. Già quel muro che Moro per primo aveva scavalcato trascinando con se la cultura cristiana e filo americana dalla parte opposta, da quello che era considerato il nemico numero 1. Non un grande oratore ma certamente un uomo geniale e lungimirante. Questo era Moro: un sovversivo pacifista.
In alcuni riti funerari Africani, quando passa il defunto nel feretro, viene chiamato “L’indifferente”. Cioè un semplice corpo inerme a qualsiasi cosa gli succeda intorno. Insomma un uomo senza anima e senza vita.
Impastato non era certo tra gli “Indifferenti”. Un giornalista che denunciava ad alta voce l’indenuciabile. Un giornalista che da solo si schierò contro la più grande e antica organizzazione criminale: Cosa Nostra.
Impastato è stato forse il primo squillo d’allarme di quello che poi sarebbe poi accaduto in Sicilia negli anni 80’ e 90’. La mattanza del bavaglio comincia da quell’esplosione a Cinisi (Palermo) passata sotto traccia dal ritrovamento, quello stesso giorno, del corpo di Aldo Moro. Una scomparsa la sua che è stata dal primo momento insabbiata come un tentativo, da parte di Impastato, di far saltare la ferrovia e che solo per un guasto all’innesco è fallito coinvolgendo lo stesso giornalista nell’esplosione. Veniva identificato come uno dei tanti terroristi rossi scorazzanti per la penisola. Solo il Giudice Rocco Chinnici, riaprendo l’inchiesta, riuscì a sgomitare quel groviglio strumentalizzato e a risalire al boss di Cosa Nostra, Tano Badalamenti.
Impastato combatteva la Mafia a modo suo: irridendola e facendola sembrare ridicola. Dalla sua “Radio Aut” lanciava appelli come “Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda – diceva Impastato 40 anni fa -. Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi, prima di abituarci alle loro facce, prima di non accorgerci più di niente”. Poi il boato spense la sua voce squillante ma gli echi e i ricordi del suo coraggio continueranno a ricordarci che il bavaglio e la paura significano morire per sempre. Cioè restare “Indifferenti”.