L’articolo 27 della Costituzione recita: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. Le pene, dunque, non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. La pena, commenta Simone, accreditato MIM, ha una funzione principale: deve essere comminata nei confronti di chi ha commesso reato, ma non deve essere contraria al senso di umanità. Questo principio garantisce, dunque, che non si ritorni a quanto accadeva in passato, con il condannato che in carcere era sottoposto a trattamenti disumani. Il Costituente, inoltre, stabilisce anche un’ulteriore finalità della pena, cioè quella della rieducazione. Se è vero che la pena ha una funzione afflittiva, questa deve anche garantire che l’individuo possa essere rieducato, facendo in modo che, una volta scontata la pena, possa reinserirsi nella società. Per esempio, all’interno degli istituti penitenziari ai detenuti viene data la possibilità di imparare un lavoro o di svolgere attività che facciano in modo che il soggetto non si abbrutisca, ma che, anzi, una volta uscito dal carcere, possa rendersi utile per la società. Nell’anno scolastico 2022-2023, segnala il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, il 34% dei detenuti ha frequentato corsi di istruzione all’interno delle carceri. I promossi sono stati il 45% degli iscritti totali. Nel 2023, la formazione professionale all’interno delle carceri italiane ha coinvolto circa il 6% dei detenuti. Nel corso dell’anno accademico 2023/2024, il numero complessivo dei detenuti iscritti all’università è stato pari a 1.707, meno del 3% (monitoraggio della Conferenza nazionale dei delegati dei rettori per i poli universitari penitenziari della CRUI). In Italia il 33% dei detenuti risulta coinvolto in attività lavorative (19.153 impiegati nel 2023), ma solamente l’1% di essi è impiegato presso imprese private e il 4% presso cooperative sociali. La stragrande maggioranza, pari all’85%, lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria (talvolta solo per poche ore al giorno o al mese). Fra i detenuti alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, l’82,5% svolge servizi d’istituto. La mancata offerta di opportunità lavorative per i detenuti priva lo Stato di un ritorno sul Prodotto Interno Lordo (PIL) fino a 480 milioni di euro. Italia Viva (IV), formalmente Associazione Italia Viva, il partito politico italiano di centro, fondato nel 2019 e guidato da Matteo Renzi, sostiene che la Legge di Bilancio 2025 di Giorgia Meloni alza le tasse e tradisce anni di promesse fatte da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Italia Viva ha presentato 282 proposte per aiutare gli italiani in vari ambiti: Giovani, Famiglia, Dissesto idrogeologico territorio, Lavoro e fisco, Terzo settore, Agricoltura. Queste le proposte settore Giovani: Ripristino e rafforzamento della 18 App; Finanziamento di incentivi per il rientro dei cervelli; Facilitazioni sui mutui per l’acquisto della prima casa per gli under 36; del Piano Casa Studenti Universitari; Accesso gratuito, scontato o in comodato ai libri di testo per la scuola; Rifinanziamento del fondo per la lotta contro i disturbi alimentari. Italia Viva (IV), ha presentato un emendamento alla Legge di Bilancio 2025. L’emendamento porta la firma di Maria Elena Boschi; ha in previsione la lievitazione dei fondi destinati all’istruzione negli istituti penitenziari. La finalità di Italia Viva consiste nel fornire garanzia per favorire il reinserimento sociale dei detenuti. A questo fine assume funzione rilevante il sistema educativo. L’emendamento introduce l’articolo 84-bis, che stanzia 30 milioni di euro annui a partire dal 2025 per migliorare l’offerta formativa nelle carceri. I 30 milioni saranno ripartiti e destinati ai diversi istituti penitenziari. Uno stanziamento che si rinnoverà ogni anno. Serviranno anche per devolvere una specifica indennità agli insegnanti assunti a tempo determinato o indeterminato nelle scuole carcerarie. La criteriologia dettagliata dell’attribuzione delle risorse sarà, comunque, vagliata accuratamente dal MIM, insieme al Ministero della Giustizia. L’articolo 84-bis, precisa A. Carlino in “Orizzonti scuola”, si applicherebbe a tutti gli istituti penitenziari che offrono percorsi formativi, inclusi i corsi di istruzione e formazione professionale previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000. La copertura finanziaria di 30 milioni di euro annui sarà garantita da una corrispondente riduzione del Fondo di cui all’articolo 1, comma 200, della legge n. 190 del 23 dicembre 2014. Nella primavera dello scorso anno il Ministero dell’Istruzione e del Merito e il Ministero della Giustizia già avviarono una collaborazione per migliorare l’istruzione nelle istituzioni penitenziarie e nei centri minorili penali. L’obiettivo era quello della formazione congiunta del personale e definire Protocolli d’intesa regionali per garantire il diritto all’istruzione. Le riflessioni e le proposte allora presentate si rappresentavano esito di una collaborazione tra le Direzioni Generali regionali e furono collocate in un documento destinato agli operatori del settore. Edoardo Albinati, scrittore con anni di esperienza di insegnamento in carcere, segnala otto punti dolenti del sistema educativo carcerario: 1. Carenza di spazi, materiali didattici e mezzi. È il problema cronico di quasi tutte le scuole in galera. Si deve prima di tutto agli ambienti inospitali, mal costruiti e disumani che sono i penitenziari italiani, quelli di recente edificazione (le cosiddette carceri d’oro) peggio ancora delle vecchie fortezze. Nei reparti dove ha sede una scuola ci si contende gli spazi angusti per poter aprire una nuova aula e farla funzionare. Normalmente si tratta di celle male illuminate e con un’acustica pessima, da sgolarsi, in mezzo ai rumori della vita reclusa (urla, sbattimento di cancelli, megafoni ecc.). Ci si svolgono attività a rotazione. Due carte geografiche e una lavagnetta completano l’arredamento. L’acquisto di libri e di materiali didattici è sporadico. E questo perché l’insegnamento cade giusto a metà tra le competenze della scuola e del carcere, viene rimpallato di qua e di là; quindi, è ora l’una ora l’altra istituzione a finanziare gli acquisti – ma il più delle volte nessuna delle due, perché non ci sono soldi. Del resto, se i detenuti sono ammassati in quattro o in sei o in otto nelle loro celle, come si può pretendere di avere un ambiente dignitoso dove fargli scuola? E le lezioni vengono condotte con l’ausilio di una singolare collezione di testi spaiati. 2. L’accesso dei detenuti alle lezioni è ridotto. Anche in penitenziari affollati con un grande bacino di potenziali studenti, quelli che frequentano sono una minoranza. I numeri spesso risicati pongono le classi di scuola carceraria a rischio di chiusura. Le ragioni sono di ordine logistico e burocratico. In molti casi, se un detenuto studia, non può ottenere un lavoro; quando un detenuto, viene obbligato a scegliere è naturale che scelga il lavoro, una chance rarissima e che non si presenta due volte, in galera. Verso la scuola l’istituzione carceraria ha un atteggiamento ambivalente: da una parte le necessità scolastiche (per esempio, gli spostamenti interni degli studenti verso le celle adibite ad aule, a orari fissi) comportano carichi di lavoro supplementare per gli agenti; il fatto che durante le lezioni si crei dell’intimità umana e intellettuale tra detenuti e docenti viene spesso malvisto o rimproverato o invidiato, e gli studenti in qualche misura considerati dei ‘privilegiati’. D’altra parte, però la scuola torna utile al carcere perché rappresenta una delle pochissime attività trattamentali degne di questo nome. Il carcere ha un disperato bisogno d’impiegare in qualche modo l’immensa quantità di energia umana inutilizzata e altrimenti priva di sfogo. 3. Tra gli studenti c’è un’alta percentuale di abbandono, dovuta a: perdita di interesse, trasferimento da carcere a carcere, processi, incompatibilità con gli orari imposti dal carcere o con altre attività considerate più convenienti, scarcerazione, malattia, autolesionismo, morte. 4. Un insegnante si ritrova in classe la gente più disparata del mondo e deve trovare un comune denominatore. I livelli culturali, l’estrazione sociale e geografica, le competenze, l’età, i percorsi scolastici, le tipologie caratteriali e dei reati commessi sono incredibilmente disomogenei (questo però, oltre che un problema, è anche uno degli aspetti più ‘challenging’ del lavoro). Un insegnante si ritrova in classe la gente più disparata del mondo e deve trovare un comune denominatore. 5. I docenti sono costretti a coprire infiniti ruoli di supplenza. Per la carenza oggettiva di qualsiasi supporto i docenti sono costretti a coprire infiniti ruoli di supplente. Un professore in prigione deve improvvisarsi medico, terapeuta, scrivano, guardia, prete, assistente sociale, psicologo, mamma, avvocato, e può pericolosamente diventare tutte queste figure a scapito di quella per cui viene effettivamente pagato. È spesso una drammatica questione di priorità: se ho uno studente in crisi, debbo insistere a insegnargli le equazioni di secondo grado oppure ascoltare il suo sfogo e magari impedire che stanotte, in cella, provi a impiccarsi? 6. Il parere degli insegnanti conta poco o nulla nelle decisioni importanti riguardo la detenzione. Ciò malgrado che gli insegnanti siano di gran lunga le persone che conoscono meglio i detenuti-studenti, dato che trascorrono mesi e anni insieme a loro il loro parere conta poco o nulla quando si tratta di prendere decisioni importanti riguardo la detenzione. A giudicare se un detenuto potrà, per esempio, ottenere benefici e sconti di pena saranno persone che lo hanno visto e ci hanno parlato sì e no una volta. Su questo tema dell’irrilevanza dei docenti si fronteggiano due ‘scuole di pensiero’: la prima che vorrebbe che il ruolo ‘trattamentale’ della scuola venisse riconosciuto e la figura dell’insegnante inserita nell’équipe decisionale; la seconda che considera pericolosa e snaturante questa ipotesi (chi scrive la pensa così: meglio essere irrilevanti ma liberi di esercitare la propria funzione senza venire assimilati all’istituzione). 7. Il carcere rimane nella sua essenza un’istituzione punitiva. Tra i suoi scopi sociali dichiarati vi è la deterrenza, cioè la paura che può incutere l’idea di finirci rinchiusi. Con questo fatto incontrovertibile come si misura un’attività che dovrebbe invece far maturare e progredire chi la esercita? Come si conciliano afflizione e istruzione? 8. Il rischio dell’abbellimento. Questo riguarda qualsiasi iniziativa culturale all’interno delle prigioni. Scuola, teatro, concerti, letture, corsi di fotografia o di questo e di quello, rischiano sempre di dare all’ esterno un’idea positiva della vita carceraria e dunque di contribuire a una mistificazione, a una conveniente ipocrisia. Ecco il paradosso: ogni volta che si organizza qualcosa per rendere meno squallida e inutile la vita delle persone recluse, in qualche misura si contribuisce a lasciare inevasi i problemi strutturali, quasi mascherandoli con qualche risultato di cui immancabilmente l’istituzione si farà bella, per dimostrare che ‘va tutto bene’. Abbiamo le scuole, il cineforum, il concorso di poesia, che volete di più? Talvolta gli insegnanti hanno la sensazione di stare dando una mano di vernice su un muro marcio e screpolato. Mentre forniscono il loro servizio, insegnando inglese o chimica o geografia in un’aula dove si può avere la sensazione che gli altri problemi siano sospesi – tutt’intorno, invece, implacabile, si perpetua la realtà disumana dello stato di abbandono e di ozio in cui versa il 90% dei detenuti, la pratica degli abusi e dei maltrattamenti, l’inesistenza dei rapporti affettivi, la diffusione capillare della droga e degli psicofarmaci utilizzati per mantenere l’ordine e sedare le coscienze, l’autolesionismo, l’illegalità sistematica, mentre i detenuti continuano ad ammalarsi e a morire per il disservizio e, insomma, esplode tutta l’assurdità della detenzione come risposta unica e pervasiva alla devianza sociale. In queste condizioni: insegnare cosa? a che scopo? con quale ricaduta sull’intero mondo recluso?
30 milioni alle scuole carcerarie, un emendamento alla Legge di Bilancio di Italia Viva
Urge un intervento migliorativo dell’istruzione nelle carceri. È prevista una specifica indennità per i docenti di ruolo e i precari. L'emendamento di Italia Viva alla Legge di Bilancio. Gli otto punti dolenti di Edoardo Albinati, scrittore con anni di esperienza di insegnamento in carcere. "Insegnare in galera è un'opera contraddittoria".