Nel giorno in cui si celebra la fine dell’occupazione nazifascista, è doveroso ricordare anche il ruolo silenzioso e determinante delle forze militari regolari italiane
Nel collettivo narrare il 25 aprile, Festa della Liberazione, il protagonismo della Resistenza partigiana è, giustamente, centrale. Ma a ottant’anni da quegli eventi, appare sempre più urgente riscoprire e riconoscere il contributo di un’altra parte d’Italia che, in divisa, scelse di disobbedire all’occupante e contribuire alla rinascita democratica del Paese: quello delle forze armate e dei corpi dello Stato. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Esercito Italiano si trovò a un bivio. Molti reparti furono disarmati o deportati dai tedeschi, ma migliaia di militari rifiutarono la resa. Nacque così il Corpo Italiano di Liberazione, che affiancò le truppe alleate nella risalita della Penisola. Fu l’inizio della cosiddetta “co-belligeranza”, che vide i soldati italiani combattere fianco a fianco con gli ex nemici per riconquistare la propria patria. Altri militari, spesso rimasti isolati dopo lo sfaldamento dei comandi, si unirono spontaneamente ai gruppi partigiani, portando con sé un sapere tattico prezioso per la guerra di liberazione.
Determinante e di grande importanza fu l’attività dell’Arma dei Carabinieri, profondamente radicata nel tessuto sociale italiano, la quale fu tra i corpi che più contribuirono alla Resistenza, spesso in modo silenzioso ma incisivo. Non pochi militari dell’Arma scelsero la clandestinità, fornendo supporto logistico, informazioni, armi, protezione ai civili e copertura ai gruppi partigiani. Molti pagarono con la vita la loro scelta: fucilati, deportati, torturati. La loro azione fu fondamentale soprattutto nei centri urbani e nelle zone rurali dove l’Arma rappresentava un punto di riferimento per la popolazione. Anche tra le fila della Polizia – all’epoca ancora denominata Pubblica Sicurezza – non mancarono gesti di grande coraggio. Sebbene alcuni reparti fossero assorbiti dalla Repubblica Sociale Italiana, molti agenti agirono per proteggere perseguitati politici ed ebrei, ostacolare le deportazioni e collaborare con la Resistenza. In diverse città italiane, commissari e funzionari di polizia furono protagonisti di episodi di resistenza civile, spesso a costo di gravi rischi personali. Non da meno la Guardia di Finanza, in particolare nelle regioni del Nord, che svolse un ruolo non secondario. Molti finanzieri abbandonarono le caserme per unirsi ai partigiani, altri rifiutarono di obbedire agli ordini della RSI. Diverse unità operarono in azioni di sabotaggio, raccolta informazioni, spionaggio militare e protezione dei civili.
Tra le forze regolari che contribuirono alla Liberazione, spicca il Gruppo di Combattimento “Legnano”, costituito il 24 settembre 1944 ad Airola. Questo gruppo, erede del I° Raggruppamento Motorizzato, era composto da diverse unità, tra cui il 68º Reggimento Fanteria Palermo, il IX Reparto d’Assalto Col Moschin e il Reggimento di Fanteria Speciale, che includeva il Battaglione Bersaglieri Goito. Quest’ultimo, in particolare, svolse un ruolo fondamentale nelle operazioni offensive, partecipando attivamente agli scontri e contribuendo in modo significativo alla liberazione del territorio italiano. Il Gruppo di Combattimento Legnano raggiunse le linee il 23 marzo 1945 nella valle dell’Idice, a sud di Bologna, sotto il comando del generale Umberto Utili. Dopo intense operazioni, il gruppo contribuì alla liberazione di Bologna il 21 aprile 1945. L’avanzata proseguì verso il nord, raggiungendo Brescia il 29 aprile, Bergamo il 30 aprile e la Val Sabbia il 2 maggio.
Utile qui ricordare e riportare integralmente quanto impresso nel libro “Il Primo Raggruppamento Motorizzato di Giuseppe Conti per l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito” (Roma, 1986): «Il futuro della nuova unità (da Raggruppamento Motorizzato a Corpo Italiano di Liberazione, costituito il 18 aprile, N.d.A.) che stava nascendo alla metà di aprile del ’44 appariva, almeno sulla carta, certamente meno drammatico di quanto non fosse quello del Raggruppamento alla fine del settembre 1943. Senza voler stabilire graduatorie di merito, che non avrebbero senso in questo caso, ancor prima di essere ingenerose, crediamo di poter dire che i 5mila del Raggruppamento si trovarono ad affrontare una prova difficile come poche altre nella storia civile e militare del nostro Paese. Non furono certamente tutti eroi i 5mila del Raggruppamento né si poteva chiedere loro di esserlo, come scrisse giustamente Gabrio Lombardi “proprio perché erano soltanto cinquemila riuniti sulla base di circostanze casuali, in mezzo alla marea degli eserciti anglo-americani”, pochi dunque, talmente pochi da far ritenere loro del tutto inutile il sacrificio che gli veniva richiesto. Proprio per questo, poiché furono soltanto 5mila, oggi possiamo apprezzare in tutta la sua portata il valore morale del loro impegno, al di là del grado di consapevolezza con il quale lo affrontarono, in circostanze nelle quali, come scriveva il generale Dapino ricordando quegli avvenimenti qualche anno più tardi, “sembrava quasi impossibile si potesse creare e organizzare un qualcosa di efficiente, anche una piccola unità, capace di rappresentare presso i potenti Eserciti Alleati, la Nazione Italia ed il nuovo Esercito Italiano”.
Il 25 aprile, non è il giorno di una ricorrenza ideologica, né una festa dove cantare canzoni di questa o di quell’altra identità partitica. Poiché, seppur trascorsi ottant’anni, ancora si odono le grida di migliaia di donne stuprate in quel contesto; ancora vivono nei ricordi storici le violenze e le esecuzioni perpetrate, dall’una e dall’altra parte, per vendette personali e camuffate per giustizia. Fatti che dobbiamo conoscere ma non strumentalizzare; fatti da ricordare non da glorificare. Il 25 aprile è molto più di una semplice ricorrenza storica identificata a seconda della propria fede politica. È il simbolo di una scelta collettiva di libertà e democrazia. Ma è anche l’occasione per riflettere su una Liberazione che fu sì popolare, ma anche istituzionale. Una parte significativa di quel cambiamento arrivò da uomini che, pur inquadrati nelle strutture dello Stato monarchico, decisero di schierarsi dalla parte della legalità e della dignità, scegliendo il coraggio civile contro la passività, la Costituzione nascente contro la dittatura e l’oppressione. Anche grazie a loro oggi possiamo ricordare ciò che è stato, quanto è accaduto e i sacrifici di tanti. La Resistenza italiana fu un movimento eterogeneo, formato da civili di estrazione ideologiche diverse, da agenti di Polizia e Guardia di Finanza, da Carabinieri e Militari, da donne e giovani ragazzi. È su questa base storica e reale che dobbiamo ricostruire la memoria. Perché la storia, per dirla attraverso il romanzo di Cesare Pavese (La casa sulla collina) “non resti la storia di una solitudine individuale di fronte all’impegno civile e storico” ma si edifichi invece nella verità degli uomini e nella sacralità dell’Umanità.