Con la quinta domenica di quaresima si completa il cammino cristiano di preparazione alla Pasqua, esperienza che vivono i fedeli e che può risultare utile a tutti coloro che vivono la condizione prefigurata da Ezechiele quando descrive la valle delle ossa inaridite. Infatti, il nostro quotidiano è scadenzato da vicende che ci danno la sensazione di essere precipitati inesorabilmente verso la morte della speranza per le assurde manifestazioni di violenza, per la diffusione della droga, per i tanti aborti, per il ricorso all’apparente liberazione dell’eutanasia. Un senso di repulsione e di stanchezza pervade il nostro animo. Si guarda in giro alla ricerca di una possibile liberazione per spezzare queste oppressive catene e ritornare nella terra promessa. Una traccia per questo approdo è stata delineata nelle scorse settimane: tentazioni superate, una rivelativa Trasfigurazione, una fonte capace di dissetare definitivamente, la possibilità di riacquistare la vista, tutti momenti di un pellegrinaggio che fa uscire dalla tomba del nulla i Lazzaro del XXI secolo segnati dalla nostalgia della risurrezione.
Il risorto del vangelo di domenica scorsa è un malato come tanti uomini e donne; egli vive un dramma fisico ed esistenziale che si conclude con la morte. La notizia turba profondamente Gesù, il quale non riesce a trattenere le lacrime. Un Messia che scoppia in un pianto dirotto è un particolare che lo rende veramente vicino a tutti noi, anzi perfettamente simile; da qui la sua grandezza ed unicità nel far intraprendere il passaggio dalla morte alla vita: la Pasqua per tutti coloro che si trovano nella stessa condizione. Di fronte al distacco dell’amico, Gesù sente la lacerazione di un turbamento che genere profonda angoscia; impartisce dei comandi che diventano altrettanti segni e tappe del pellegrinaggio verso la vita.
La nostra risurrezione è un obbedire a tre imperativi: “esci, liberati e vai”. Così si smuove la pietra di una esistenza di schiavitù, un raggio di luce riscalda il cuore, una voce amica rompe il silenzio del nulla e lacrime di compassione irrorano la rigidità di chi è precipitato in una condizione priva di senso. Dio, innamorato dell’uomo, tende la mano e lo salva tramite l’umanità di Gesù, che è profondamente fedele agli amici da non sopportare le loro sofferenze.
Il Messia afferma deciso “Io sono la risurrezione e la vita”. Non usa un verbo al futuro, ma al presente per illuminare di certezze la nostra speranza secondo una scansione dei termini – prima risurrezione, poi vita – agli antipodi rispetto alla nostra predisposizione logica per significare che egli è la risurrezione di vite spente ma che vuole risvegliare. Ciò è possibile se, liberati dalle bende di una umanità in disfacimento, si esce con determinazione dalla tomba del male che aggrava la condizione di una umanità moribonda.
Anche noi, Lazzaro del XXI secolo, possiamo considerare i legacci della condizione umana bende di neonati che rinascono perché la pietra che ci incolla al buio della tomba è stata rimossa e la luce torna ad illuminare la nostra vita liberandoci dall’angosciante idea della morte come fine definitiva.